La cultura aziendale è fondamentale
Tank (Neuberger Berman): fornisce un'identità che è anche una guida. È un fattore che fa un'enorme differenza sia per i dipendenti che per i clienti
Con il passare del tempo, iniziamo a comportarci e a pensare come le persone avanti con gli anni. Una cosa a cui penso molto spesso è l'importanza di lavorare in una società con una buona cultura aziendale. Un'altra che mi ritrovo a fare molto più spesso di prima è avere da ridire sulla TV.
Entrambe le cose mi sono successe oggi, il giorno in cui mi trovo a scrivere questo articolo.
Avevo iniziato la giornata come al solito, pedalando sulla cyclette con il caffè in una mano, l'iPad nell'altra (per dare un'occhiata ad alcuni appunti di ricerca del giorno prima) e la TV sintonizzata su un programma di economia. In onda in quel momento c'era l'intervista a un ex dirigente di una nota compagnia aerea statunitense che di recente ha avuto clamorosi disservizi finiti sui giornali di tutto il mondo. Alla domanda se la compagnia aerea avesse un "problema di cultura aziendale", l'intervistato ha risposto di no, se non altro a suo parere.

Me la sono presa con la TV. "Ma fatemi il piacere! Se non è un problema di cultura, allora che cos'è? Finché non si sistemerà la cultura aziendale, difficilmente si sistemerà l'azienda!"
I risultati incarnano la cultura
Ho avuto la fortuna di lavorare in società la cui dirigenza dava moltissima importanza alla creazione e al mantenimento di una buona cultura aziendale. È un fattore che fa un'enorme differenza sia per i dipendenti che per i clienti. A lungo andare, influenza positivamente anche la performance aziendale.
Sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, cioè durante la stagione d'oro delle fusioni di banche e società di assicurazione (che conferì al settore dei servizi finanziari buona parte della sua fisionomia odierna), tra i due "Sandy" vi fu un incontro che passò alla storia. Correva l'anno 1998 e, nel discutere le prospettive di una fusione, Sandy Warner (CEO di J.P. Morgan) parlò a lungo a Sandy Weill (CEO di Travelers) dell'importanza di preservare la "cultura" di J.P. Morgan. Weill non parve molto colpito e, anzi, in un successivo scambio di idee con i suoi principali collaboratori dichiarò che tutti quei discorsi sulla cultura gli ricordavano lo yogurt. Le trattative si spensero e alla fine Travelers si fuse con Citibank.
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