Tanto rumore per nulla? Gli investitori e il rischio politico
O'Carroll (Aberdeen AM): il mondo è scosso da eventi destabilizzanti, eppure i mercati finanziari sono relativamente calmi. Alcuni fattori, però, potrebbero metterli in crisi
I mercati azionari statunitensi hanno preservato una buona parte dei guadagni conseguiti all'indomani dell'election day, nonostante le speculazioni su possibili interferenze della Russia nell'elezione del presidente degli Stati Uniti, i lanci di missili della Corea del Nord e una moltitudine di altri eventi potenzialmente allarmanti. Questa spensieratezza del mercato non è affatto una novità.
Dalla Seconda guerra mondiale, l'indice statunitense S&P 500 ha ceduto mediamente 3,5 punti percentuali in risposta a shock di vario genere, dalla crisi missilistica cubana al conflitto in Crimea nel 2014. E di norma ha sempre recuperato i livelli pre-shock nell'arco, in media, di cinque giorni.

I mercati finanziari sono certamente più calmi di quanto non sarebbero senza la liquidità delle Banche centrali. In generale, la consapevolezza che istituzioni importanti come le autorità monetarie intervengano in tempi di crisi (ad esempio con un taglio dei tassi come avvenne dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre) è di un certo conforto per gli investitori.
Anche il mercato energetico ha giocato un suo ruolo. Il prezzo del petrolio, che in passato è stato un importante conduttore di shock tra mercati ed economie, è oggi molto meno sensibile agli eventi in Medio Oriente o in altri Paesi o regioni produttrici di greggio. La rivoluzione shale ha trasformato i mercati petroliferi globali nel corso dell'ultimo decennio, invertendo la tendenza al lungo declino della produzione negli Stati Uniti, mettendo in discussione il ruolo dell'OPEC e contribuendo a innescare il brusco calo dei prezzi cominciato nel 2014.
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