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28/06/2017

economia

Svizzera, Giappone e la trappola dei porti sicuri

Rosenstreich e Quelenn (Swissquote): perchè il franco svizzero potrebbe indebolirsi e lo yen rafforzarsi

Come largamente atteso, la Banca Nazionale Svizzera non ha toccato i tassi: sia i dati misti provenienti dall'economia elvetica che la riduzione dei rischi politici attesi in Europa non stanno spingendo l'istituto centrale a rivedere la propria politica monetaria. Infatti, nonostante gli ultimi miglioramenti registrati sul fronte dei prezzi, la BNS ha ribassato le proprie stime sull'inflazione per il periodo 2018-2019.
Questo downgrade ha conferito alla riunione una tinta vagamente accomodante rispetto all'outlook precedente, cautamente più ottimista. La banca centrale ha anche reiterato il suo impegno a mantenere tassi di interesse negativi e gli interventi sul cambio.
Con l'economia che cresce meno del previsto e con segnali di ripresa ancora non confermati, la BNS a nostro parere fa bene a mantenere la politica monetaria inalterata. Infatti con le previsioni di un andamento generale sotto tono, il franco svizzerò è destinato a rimanere in balìa degli eventi europei e potrebbe rivelarsi sensibile ai cambiamenti che interverranno a livello globale sui rendimenti.

Il passaggio verso la "normalizzazione" della BCE e l'incertezza politica europea continueranno a guidare i flussi verso il cambio Euro-Franco: pur tuttavia, il restringimento del differenziale sui tassi tra periferici e Paesi core del Vecchio Continente a indicare minori rischi politici a breve (elezioni francesi, elezioni italiane, rifinanziamento del debito greco) potrebbe portare ad un momento di debolezza del franco nei confronti della moneta unica. Il livello base di 1,0860 potrebbe infatti supportare un rimbalzo fino a 1.1000.
A Tokio, invece, la BoJ finora non è riuscita a trovare altra soluzione se non quella di mantenere immutata la propria politica monetaria che consiste nel lasciare i tassi in territorio negativo (-0,1%) mantenendo il rendimento sul decennale fermo a zero attraverso l'acquisto di 80.000 miliardi di yen di titoli di Stato all'anno.
Il Giappone appare così ingessato in una politica ultra-accomodante in risposta a spinte deflattive molto aggressive. Alcuni recenti dati macro mostrano che iniziano a intravedersi segnali di miglioramento: secondo un report diffusion mercoledì scorso, la domanda giapponese è aumentata e i banchieri centrali, una volta ancora, si aspettano che continui a crescere, soprattutto nella componente riguardante la richiesta proveniente dall'estero.

Eppure, nonostante ciò, l'inflazione continua a rimanere molto al di sotto del target, una situazione che non è cambiata negli ultimi dieci anni (dato annuale è a meno 0,4%).
Nonostante le spinte verso l'apprezzamento dello yen, la BoJ non può operare un restringimento di politica monetaria se non vuole danneggiare pesantemente l'economia. Il fatto di rappresentare un investimento "sicuro" è un ulteriore elemento critico in quanto, a prescindere dalle reali condizioni dell'economia giapponese, i capitali internazionali continueranno a riversarsi qui sullo yen non appena dovessero tornare a riaccendersi comportamenti di avversione al rischio.
Pertanto, riteniamo che il Giappone nel medio termine proverà ad aumentare la sua divergenza di politica monetaria con gli Stati Uniti per tentare di ridurre le pressioni sullo yen.
Da parte nostra, consideriamo l'economia statunitense sovrastimata e pertanto riteniamo che potrebbero esserci capitali in entrata verso gli investimenti in yen. Rimaniamo rialzisti sulla moneta giapponese confermando un target a 112 contro dollaro.

Peter Rosenstreich, Head of Market Strategy, e Yann Quelenn, analista di Swissquote
 

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