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15/03/2017

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Scansani (Valore Welfare): come soddisfare i lavoratori con il welfare aziendale

Una grande opportunità che le imprese italiane possono ora utilizzare al meglio, sfruttando lo scouting in outsourcing. Comprese le PMI

Il tema è di quelli caldi. Le più recenti indicazioni legislative e normative sul lavoro ora agevolano e normano tutte quelle iniziative che stanno sotto l'ombrello del welfare aziendale. Si tratta di un ambito di grande rilevanza, viste le aspettative dei lavoratori e delle aziende, che presenta però luci e ombre, oltre che opportunità.  Ne abbiamo parlato con Giovanni Scansani, Amministratore Unico e co-fondatore di Valore Welfare (www.valorewelfare.it), advisor specializzato nella consulenza direzionale per la costruzione e l'implementazione di piani di welfare aziendale di flexible benefit. 

In che fase siamo dal punto di vista complessivo del welfare aziendale?

Siamo in una fase di avvaloramento, nel senso che questo ha acquisito e acquisirà sempre di più un particolare valore all'interno delle imprese. Anche dal punto vista del suo significato strategico, all'interno della più generale strategia di impresa. Ma siamo anche in una fase di sviluppo, nel senso più letterale del termine, cioè eliminazione di "viluppi", di restrizione e di incertezze, che prima limitavano la possibilità adottare policy di welfare in azienda.

Questo lo dobbiamo ai recenti interventi normativi della legge finanziaria del 2016-17 e da una compendiosa risoluzione della Agenzia delle Entrate che ha fatto chiarezza, anche se già questa esisteva.
Da questo punto di vista ci sono tre novità fondamentali: una è la contrattabilità del welfare all'interno delle imprese su tutti i servizi possibili, mentre prima una delle parti più importanti non era contrattabile; poi c'è la possibilità di ampliare oggi il novero dei servizi, sfruttando le nuove norme fiscali o la riscrittura di alcune di esse. Infine, la possibilità di convertire o "welfarizzare" i premi di risultato, uno strumento che nel tentativo di migliorare i livelli produttivi e di produttività del nostro Paese, ha visto nel welfare aziendale uno strumento che possa favorire questo tipo di processo e, pur permanendo degli aspetti critici, oggi rappresenta una chiave di volta per introdurre il welfare nelle imprese. Tant'è vero che l'ultimo dato significativo sul deposito delle dichiarazioni di conformità, presentate ai fini della fruizione della defiscalizzazione dei premi di risultato, su 19mila e oltre contratti depositati il 20% (oltre 4mila) prevedono premi di risultato welfarizzabili.

Siamo quindi in una fase potente sviluppo.

Che differenze ci sono tra i Piani di Welfare Aziendale (PWA) e quelli di Flexible Benefit (PFB)? E perché parlate di gap cognitivo per le aziende?

Ci sono non poche differenze. Un piano di Flexible Benefit è in genere una operazione connessa e limitata ad un sostegno reddituale: è un intervento sostitutivo di remunerazione. Dietro c'è una logica di "corto" termine e, soprattutto, quando questi PFB derivano dalla welfarizzazione di un premio di risultato, ci scontriamo con una incertezza, una aleatorietà, che sono tipiche per definizione di un premio di risultato. Il welfare invece non è né incerto nè aleatorio. E' un fatto, esiste, e nel tempo cresce e si modifica, secondo quello che veniva definito il "Welfare lifecycle" nella vita dei lavoratori. Esiste e rappresenta l'incremento o la riduzione di bisogni della vita reale in funzione delle diverse fasi di questa. Il PFB che in genere lascia al lavoratore di scegliere "a catalogo" una serie di beni, servizi e prestazioni, all'interno di un valore predefinito, rappresenta un'operazione poco strategica.


Invece un PWA è assolutamente strategica che presuppone un investimento da parte dell'impresa, e ha alle spalle una logica di lungo termine. Si inserisce come "people strategy" nell'azienda, nella più generale strategia dell'impresa, ne rappresenta un grado fondamentale, e in quest'ottica - in quanto investimento - diventa fondamentale determinarne i risultati in termini di ritorno di valore. Mentre un PFB evidentemente ha un risultato di tipo "mordi e fuggi", perché oggi c'è ma domani potrebbe non esservi, nel caso del PWA, essendo in presenza di un intervento di tipo strategico, ci troviamo di fronte ad un elemento misurabile nel tempo, perfezionabile, e soprattutto in grado di autofinanziarsi. Perché l'obiettivo del welfare aziendale fatto bene è quello che essendo un investimento, deve esser possibile averne un ritorno, che continui ad alimentarlo e finanziarlo, e che entri nella vita dell'impresa, delle persone in maniera stabile.

Avete fatto una survey sui trend dei operativi dei Piani di Flexible Benefit. Quali sono le principali evidenze emerse?

Una prima evidenza concernente la popolazione che abbiamo indagato è il peso crescente, soprattutto in alcuni settori, da parte degli over 50.


E questo è il tema del futuro, poiché la seniority in azienda diventerà un tema importante e già impatta e sempre più impatterà sui temi di welfare aziendale. Significa tenere conto di esigenze diverse da quelle di una popolazione di età più giovane. Abbiamo avuto conferma che la principale fonte istitutiva del PFB è l'unilateralità, ma cresce ovviamente il peso della contrattazione, quella di secondo livello, ovviamente favorita dalla nuova normativa sui premi di risultato. Rispetto alla tipologia di servizi che vengono stanziati ed adottati dai dipendenti sono anche in funzione del valore medio del PFB che in genere è intorno ai 650 euro. Si riesce quindi a fare in genere un'allocazione di questo importo per 2-3 macroclassi di servizi. Prevalente è l'utilizzazione di questi importi per l'acquisto i servizi concernenti l'ambito scolastico dei figli. Una certa apprezzabile percentuale sceglie l'ambito ricreativo (palestre, cultura e viaggi). Nell'11% dei casi nella nostra survey abbiamo l'adozione di buoni acquisto o buoni spesa.

Quali sono i principali comparti ad aver adottato i PWA?

Ormai tutti principali comparti oggi adottano piani di welfare aziendale.


Abbiamo chiare indicazioni circa la necessità di inserire programmi di questo tipo a livello di contrattazione nazionale, basti pensare al recente contratto collettivo dei metalmeccanici, e ne stanno arrivando altri che prevedono interventi di questo tipo. Ovviamente, ci sono settori che tradizionalmente hanno adottato politiche di welfare in azienda da tempi antecedenti le recenti disposizioni: possiamo andare indietro ai primi del 900 per risalire ad alcuni casi. Ma, in una visione contemporanea del welfare aziendale possiamo dire che questo tipo di prassi non solo è trasversale a tutti i settori produttivi, dal manifatturiero al mondo dei servizi, ma sarà sempre più trasversale anche rispetto alla dimensione delle aziende. E' vero che tutte le grandi imprese fanno welfare in azienda, ma l'80% della popolazione che lavora sta nelle PMI. In queste realtà c'è un trend di sviluppo di adozione di queste prassi che è crescente, così come crescente è l'adozione da parte anche delle PMI di alcune dinamiche concernenti ciò che sta intorno all'adozione di PFB o PWA, che è per esempio tutto il mondo legato alla tipologia dei servizi, alle opportunità che attraverso l'outsourcing, per fare un riferimento a quello che oggi va un po' di moda, è in grado di dare rispetto al potenziamento dello stesso piano di welfare.




Quindi questi servizi possono essere amministrati in outsourcing?

Si, dal punto di vista gestionale. Esiste oggi un vero e proprio mercato in merito agli operatori dei servizi di supporto al welfare aziendale. Si tratta di società che offrono alle imprese che hanno adottato un PFB o un PWA una serie di servizi per ottimizzare la fruizione da parte dei dipendenti di questi servizi, e per rendere possibile alle aziende la rendicontazione e la gestione delle transazioni economiche che stanno dietro alla fruizione. Questi operatori sono oggi numerosi e provengono da settori merceologici differenti. Esistono società emettitrici di titoli di legittimazione di voucher, società che appartengono al mondo del brokeraggio assicurativo; sono entrate in questo mondo gli operatori del "pay-roll", quindi chi si occupa di cedolini e buste paga o, attraverso portali web, di organizzare l'uscita, l'entrata e la registrazione di tutti i permessi e quant'altro, che ha fatto un upside dei propri servizi attraverso la costruzione di portali per gestire la rendicontazione dei piani di welfare.


E poi, ovviamente, ci sono i provider puri, cioè quelle società che per prime hanno intuito che il welfare aziendale avrebbe avuto un importante sviluppo e per prime hanno intuito che attraverso il web sarebbe stato possibile gestire e ottimizzare la gestione di questi piani.

L'identificazione dei provider dei servizi di supporto al Welfare Aziendale è spesso complicata. Quali sono le soluzioni?

Essendoci da una parte un mercato di operatori che offrono servizi di welfare aziendale ed essendoci dall'altra una domanda crescente di questi servizi, si pone il tema dell'identificazione dell'operatore più consono rispetto al PWA o di PFB che si vuole introdurre in azienda. Le grandi imprese sono ovviamente, seppure con qualche criticità, in grado di organizzare delle vere proprie gare. Le PMI in genere fanno da sé, e quindi con piani di welfare più contenuti cercano di gestirli ancora in house. Ma c'è un forte interesse da parte delle PMI a mandare in outsourcing anche questo tipo di servizio. Il tema è come acquistare in maniera coerente rispetto alla tipologia del piano di welfare che viene introdotto in azienda per rendere ottimizzato questo piano dal punto di vista operativo.


Su questo esistono delle modalità di scouting su questi operatori, delle quali noi ci occupiamo, perché molti dei nostri clienti e prospect ce l'hanno chiesto, e noi operiamo in una logica di semplificazione delle loro procedure di procurement. Oggi gli operatori del settore sono numerosi e le aziende sentono la necessità di semplificare la parte relativa alla scelta. Le grandi imprese sono attrezzate per acquistare qualsiasi tipo di servizio, ma quello del welfare è un servizio particolare: dietro ci sono i bisogni e le necessità, e la loro relativa soddisfazione, espressi dai lavoratori. Non vorrei mai che questo tipo di servizio venga vissuto da parte dei committenti come una commodity. I bisogni e le necessità dei lavoratori non devono e non possono diventare una commodity. Quindi, sarà bene che questo tipo di gare d'appalto - che cominciano ad esser numerose - siano organizzate in maniera molto attenta dal punto di vista qualitativo. E su questo confido che la neonata Associazione Italiana Welfare Aziendale, che trovo essere un'iniziativa validissima, saprà certamente difendere gli interessi degli operatori in primis, ma anche quelli del welfare in azienda in linea generale.




E' possibile fare una stima del welfare in Italia?

Esiste un dato di questo genere: l'Osservatorio Sociale Europeo non molto tempo fa ha rilasciato un'informazione concernente l'incidenza percentuale del welfare occupazionale volontario. Questa incidenza sulla spesa sociale complessiva nazionale è il 2,2%. In UK è superiore al 17% mentre in Germania è di poco superiore al 6%. Si tratta di welfare state diversi da quello nostro, ma questo comunque significa in Italia che c'è uno spazio enorme di crescita in termini di valore. Questa è un'opportunità che certamente non potrà essere persa poiché dall'altra parte esiste un welfare pubblico in contrazione, sempre meno capace di dare risposte a tutti e su tutti i bisogni. Per cui, quantomeno dal punto di vista dei bisogni espressi dalla popolazione attiva, sta alle imprese trovare una risposta, in una logica di reciprocità che i lavoratori restituiscono sotto forma di maggiore produttività, più engagement e motivazioni.  


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