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18/01/2017

economia

Mercati emergenti sotto pressione in attesa delle mosse di Trump

Secondo il team di Raiffeisen CM, la Cina sta diventando sempre meno attraente come luogo di produzione. L'India è alle prese con la demonetarizzazione e la Russia tiene nonostante le sanzioni, in attesa del 20 gennaio

L'elezione di Donald Trump a presidente degli USA ha sorpreso la maggior parte degli operatori di mercato e nell'arco di poche settimane ha già lasciato tracce profonde sui mercati finanziari. Il dollaro USA si è apprezzato mediamente del 3% circa rispetto a tutte le altre valute. Anche i rendimenti dei titoli di Stato USA hanno registrato un forte rialzo. I rendimenti dei Treasury a 10 anni sono aumentati di oltre mezzo punto percentuale segnando un nuovo massimo degli ultimi due anni (2,38%), l'aumento mensile più consistente dal 2009.
In cambio sono finite sotto pressione le azioni, obbligazioni e valute della maggior parte dei mercati emergenti (EM). Nell'ultimo em-report avevamo segnalato questo rischio, nel caso in cui il dollaro e/o i rendimenti USA dovessero registrare un aumento molto forte. Se nei prossimi mesi dovessero proseguire questi trend del dollaro e dei titoli di Stato USA, anche gli Emerging Markets dovranno fare i conti con ulteriori ribassi dei corsi, in particolare sul fronte delle valute.
I forti movimenti di novembre (indice MSCI EM -4,7%, MSCI-World +1,3%) sono bastati per dimezzare l'intero vantaggio accumulato da inizio anno dalle azioni EM rispetto ai mercati sviluppati.

Lo stesso vale per i flussi di capitale. Nelle prime due settimane dopo le elezioni USA gli investitori internazionali hanno ritirato così tanto capitale dai fondi azionari EM e dai fondi obbligazionari EM da cancellare gran parte dei flussi in entrata dei mesi precedenti.
Vi è, tuttavia, anche uno spiraglio di luce: già a fine novembre/inizio dicembre i flussi in entrata e in uscita si sono di nuovo compensati e per le obbligazioni ci sono addirittura già stati di nuovo degli afflussi netti. È quindi possibile che si sia trattato solo di una reazione di panico molto forte, ma solo di breve durata di alcuni investitori. Ci sono inoltre segnali secondo cui i forti movimenti sui mercati delle ultime settimane sarebbero anche l'espressione e il risultato di molti posizionamenti precauzionali. Perciò potrebbe del tutto essere che il rialzo dei tassi d'interesse negli USA, che ormai viene praticamente dato per sicuro a dicembre, avrà ripercussioni soltanto minime sul tasso di cambio del dollaro o che porterà addirittura a prese di profitto e una correzione al ribasso del dollaro.
Le settimane e i mesi futuri daranno sicuramente maggiori indicazioni, se ottobre e novembre sono stati solo l'inizio di ulteriori rialzi del dollaro, delle obbligazioni e azioni USA o se abbiamo già visto gran parte dei relativi trend.


A proposito di mesi prossimi: al più tardi da gennaio/febbraio, quando si insedierà realmente la nuova amministrazione, l'attenzione si sposterà sulla misura in cui le azioni del nuovo governo concorderanno con le attese dei mercati e se l'economia USA riuscirà veramente a stimolare crescita e inflazione così come viene scontato al momento. Un altro tema centrale di novembre è stato senza dubbio il maggiore impegno dei Paesi produttori di petrolio per stabilizzare il prezzo del petrolio con una strategia comune di produzione. Già soltanto questi intenti hanno leggermente aumentato le quotazioni del greggio e, nonostante il diffuso scetticismo, l'effettivo accordo trovato ha spinto ancora più in alto i prezzi nei primi giorni di dicembre. In alcuni mercati azionari (per esempio, Russia, Arabia Saudita) questi effetti positivi hanno avuto la meglio sulla generale tendenza al ribasso delle azioni dei paesi emergenti. Contrariamente al trend negli EM, anche le azioni cinesi hanno fatto registrare un incremento, tra l'altro grazie ai dati congiunturali ultimamente di nuovo più solidi.
Vediamo il focus su alcuni Paesi.

Cina

I programmi congiunturali del governo sembrano avere sempre di più l'effetto desiderato, almeno questo viene segnalato dai più recenti dati congiunturali.


Di conseguenza, nell'ambito del suo enorme atto di equilibrismo, il governo di Pechino può dedicarsi di nuovo maggiormente al controllo del rischio. I prezzi immobiliari in alcune città sono pertanto saliti del 50% circa negli ultimi 12 mesi, un chiaro segnale di surriscaldamento dei rispettivi mercati regionali.
In generale, è calato significativamente il numero di immobili finiti, ma non ancora venduti. Questo a sua volta significa che basta una domanda relativamente modesta da parte degli acquirenti per avviare un grande numero di nuovi progetti edilizi, con le relative conseguenze positive sui settori coinvolti e sull'economia.
Sempre in generale, l'attuale ripresa economica viene fortemente trainata da industria ed edilizia. Tutti gli stimoli congiunturali del governo non riescono, tuttavia, a nascondere il fatto che il Paese continua a dover affrontare grandi sfide. Grazie agli aumenti dei salari molto superiori al tasso di crescita economico e la sistemazione di milioni di persone in cerca di lavoro nelle imprese statali, in parte anche in progetti all'estero, Pechino ha garantito ampiamente la pace sociale. L'aspetto negativo è, tuttavia, che la Cina sta diventando sempre meno attraente come luogo di produzione e la produttività nel settore pubblico è relativamente bassa e continua a rimanere bassa.



Lo yuan continua intanto a deprezzarsi contro il dollaro USA e questa tendenza dovrebbe continuare anche nei prossimi mesi. Allo stesso tempo, i deflussi di capitale mostrano, tuttavia, un trend decrescente e sono nettamente inferiori ai livelli dell'anno precedente. Contrariamente al trend degli EM, le azioni cinesi sono salite a novembre. Le azioni A sul continente hanno guadagnato quasi il 5%, le azioni H a Hong Kong il 3% circa. A dicembre la Borsa di Shenzhen, solitamente vista come corrispondente del listino tecnologico Nasdaq, ha in programma un collegamento diretto per gli investitori stranieri. Di conseguenza, otterrebbero un accesso nettamente migliore a molte società tecnologiche cinesi. Queste dovrebbero essere più rappresentativi della futura Cina dei grandi titoli industriali e bancari, spesso di proprietà dello Stato.

India

La crescita economica indiana ha registrato un'accelerazione a settembre/ottobre, in particolare grazie all'agricoltura e alla maggiore spesa pubblica. Tuttavia, nella seconda metà dell'esercizio (che finisce a marzo 2017) c'è il rischio di un massiccio rallentamento della crescita.


Ciò è dovuto a un'azione del tutto inaspettata e sempre più criticata del governo del premier Modi. Praticamente dalla sera alla mattina ha messo fuori corso legale le banconote da 500 e 1.000 rupie (l'equivalente di circa 7 e 14 euro). Possono essere scambiate solo presso le banche e depositate sui propri conti. L'azione è stata motivata come misura contro la corruzione e l'evasione fiscale.
Il contante in circolazione nell'economia è stato, quindi, ridotto dell'80% circa da un giorno all'altro. Tenuto conto che nell'economia indiana il 90% circa (!) delle transazioni avviene ancora tramite contanti, questa misura è altamente rischiosa. In questo modo si potrebbero aumentare le entrate fiscali nel lungo periodo e ridurre significativamente l'economia sommersa. Ma nel breve periodo l'economia viene spinta in una situazione in parte caotica che potrebbe potenzialmente mettere a repentaglio l'esistenza di molte delle persone più povere e delle piccole imprese. Molti tra le centinaia di milioni di indiani con un reddito molto basso non possiedono nemmeno un conto in banca!
Stando alle prime stime, nelle prime settimane dopo la demonetarizzazione delle banconote da 500 e 1.


000 rupie si registra una riduzione dell'attività economica pari al 15 - 20%, specialmente in termini di consumo.
Molti osservatori parlano già del fatto che in questo caso la "medicina" potrebbe avere effetti molto peggiori della malattia stessa, soprattutto perché la misura è stata evidentemente preparata in modo poco professionale. Adesso molto dipenderà dal fatto se le autorità e il sistema bancario saranno lo stesso in grado di effettuare questo cambiamento in modo rapido e di mantenere gli effetti negativi collegati entro limiti abbastanza ragionevoli.
Tra la popolazione sembra esserci per ora un forte sostegno, nonostante tutte le difficoltà collegate. Molti considerano tutto ciò un'iniziativa incoraggiante del governo per contrastare finalmente in modo concreto la quotidiana corruzione molto diffusa. Più dureranno, però, le file davanti ai bancomat e più grandi saranno le sofferenze delle singole persone e dell'economia a causa delle conseguenze di queste misure, più rapidamente potrebbe venire a mancare l'iniziale consenso.
Di fronte all'improvvisa massiccia scarsità di contante nell'economia, molti analisti prevedevano un ulteriore taglio dei tassi d'interesse da parte della banca centrale che a sorpresa ha, tuttavia, mantenuto i tassi guida invariati.


Il mercato azionario ha reagito negativamente agli sviluppi (Trump, dollaro, eliminazione del contante) e ha perso quasi il 5%. Sono finite sotto pressione soprattutto le azioni cicliche. Anche la valuta ha ceduto e ha perso il 3% circa contro il dollaro, il che è, però, stato in linea con il trend generale a livello globale.

Russia

L'output economico della Russia è calato solo dello 0,4% nel terzo trimestre e quindi meno di quanto atteso dal consenso di mercato. Anche la produzione industriale a ottobre ha sorpreso positivamente. Tuttavia, le vendite al dettaglio sono rimaste al di sotto delle stime degli analisti. L'inflazione è scesa oltre le previsioni e ultimamente si è assestata intorno al 6,1% p.a., il valore più basso da quasi tre anni. Gli argomenti dominanti sono ovviamente stati l'elezione presidenziale negli USA e l'accordo dei più importanti Paesi produttori di petrolio (ad eccezione degli USA) sui tagli della produzione.
Entrambi gli eventi sono stati accolti molto positivamente dal mercato azionario russo. Il primo, perché il conseguente aumento del prezzo del petrolio (+7% a novembre) è naturalmente molto vantaggioso per la Russia con la sua forte dipendenza dalle esportazioni di petrolio e gas.


Il secondo, perché con l'elezione a sorpresa di Donald Trump si spera in un miglioramento delle relazioni tra USA e Russia, fino ad arrivare a una possibile fine delle sanzioni occidentali.
L'indice Micex ha, di conseguenza, registrato un forte aumento, contrariamente al trend negativo degli EM. Il suo guadagno di quasi 6% lo ha catapultato verso un nuovo record massimo. L'indice RTS calcolato in dollari è, tuttavia, ancora molto lontano da livelli record; è comunque salito del 4% circa.


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