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18/01/2017

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Eurozona: prosegue la fase di crescita, ma fino a quando?

Secondo l'Eurozone Economic Outlook di Istat, Insee e IFO nel I semestre 2017 il Pil dovrebbe attestarsi a +0,4%. La domanda interna sarà il motore della crescita. Miglioreranno i consumi e il mercato del lavoro. Ma varrà anche per l'Italia?

Crescita costante ma su ritmi moderati. Talmente moderati che la parola ripresa per il 2017 pare decisamente fuori luogo. E quello che emerge dall'Eurozone Economic Outlook rilasciato da Istat, Insee e IFO, gli Istituti di statistica italiano, francese e tedesco. Ma il problema non sono le politiche di austerity, la moneta unica o i disequilibri della bilancia commerciale di alcuni Paesi, oppure le scelte europee per un mercato del lavoro completamente sbilanciato sulla supply side. Neppure il problema delle banche, che non è certo solo italiano. Secondo il report è quello politico il maggior rischio che attraverserà tutto l'anno e che condizionerà le scelte in materia di finanza ed economia. Elezioni in Olanda, Francia, e Germania (senza contare l'entrata in scena di Trump) saranno i principali market mover del 2017. Ma sarà davvero così?

Partiamo dai dati ufficiali. In sintesi, nel quarto trimestre del 2016 si prevede un aumento del Pil dell'eurozona (+0,4%).

La fase di crescita è attesa proseguire allo stesso ritmo nel corso del primo semestre del 2017. La domanda interna costituirà il principale motore della crescita. Il miglioramento dei consumi delle famiglie beneficerebbe delle condizioni favorevoli del mercato del lavoro e dell'aumento del potere di acquisto, solo parzialmente limitato dalla ripresa dell'inflazione. Gli investimenti sono attesi continuare a crescere ad un ritmo sostenuto, supportati dalle condizioni favorevoli sul mercato del credito. L'inflazione è prevista in accelerazione nel periodo di previsione (+0,7% in T4 2016 e +1,5% nei primi due trimestri del 2017). Una situazione che sembrerebbe più che favorevole. Ma che mal si concilia con la realtà dell'Italia.
Per fare un esempio, quando si parla del Pil dell'eurozona occorre tenere conto che si tratta di una media, che mette insieme l'asfittica dinamica italiana con quella scintillante tedesca. Quindi, in realtà, Paesi come il nostro non avranno affatto vita facile quest'anno. Bankitalia, sempre per esempio, in un recente report sullo stato della nostra economia mette ben in luce come gli investimenti siano crollati dal 2008 e non riescono a risalire.

Così come il PIL non potrà non risentire della congiuntura economica interna, che non sembra destinata affatto a migliorare, come indicato dall'outlook di Istat, Insee e IFO a livello generale. Siamo quindi nella paradossale situazione ben descritta dal "pollo di Trilussa".
Ma ritorniamo ai dati del report. A livello internazionale nel terzo trimestre 2016 l'economia globale è migliorata rispetto ai trimestri precedenti. Negli Stati Uniti prosegue la fase di crescita mentre l'evoluzione dell'economia giapponese e quella dei Paesi emergenti è risultata più vivace delle attese. Per i prossimi mesi ci si attende un proseguimento di questa fase con conseguenze positive sia sul commercio estero sia sulle esportazioni. Ma se prendiamo per buone le parole di Trump sul protezionismo USA, della guerra commerciale alla Cina e alla Germania per il suo surplus, forse il prossimo report dovrà rivedere le sue previsioni.

Crescita costante su ritmi moderati

Secondo il report, l'andamento dell'economia della zona euro non ha finora risentito degli esiti dei referendum in Gran Bretagna e in Italia.

Qui occorre fare un inciso. Nei giorni scorsi, buon ultimo, il capo economista della Banca d'Inghilterra Andy Haldane (non un signore qualsiasi), ha ammesso di essere stato troppo pessimista nella sua prospettiva sulle conseguenze immediate della Brexit. Il loro studio evocava una crisi più generale delle attività. "Abbiamo previsto un rallentamento dell'economia (non accaduto) esattamente come tutti gli altri, quasi tutti, principali previsori". Gradiremmo dichiarazioni simili da tutti coloro che avevano annunciato morte e distruzione anche in Italia in caso di NO al referendum. Ma si sa, media, politici, economisti e opinionisti da noi soffrono del complesso di Fonzie e non ammetteranno mai di aver sbagliato.
Tornando all'eurozona, dopo una decelerazione del PIL nel secondo trimestre 2016 (+0,3% dopo il +0,5% nel primo trimestre 2016), la produzione è aumentata con la stessa intensità anche nel terzo trimestre (+0,3%). La produzione industriale è aumentata con lo stesso ritmo sia nel secondo sia nel terzo trimestre (+0,4%). In Italia, dopo l'inusitato picco di agosto, si veleggia sugli stessi ritmi, troppo bassi per ingenerare una qualsiasi ripresa stabile ed efficace.



Passando ai consumi, sia privati sia pubblici, si denota che questi sono stati i principali motori della crescita nel terzo trimestre mentre gli investimenti hanno subito una decelerazione nel terzo trimestre 2016 (+0,2% dopo il +1,2% in T2).
Il commercio estero non ha fornito un contributo significativo alla crescita del Pil complessivo. Questo, per fortuna, è uno dei pochi punti a favore dell'Italia, che vede la nostra bilancia commerciale saldamente in attivo. Non certo come quella abnorme della Germania (con un surplus che si aggira sul 9% del Pil), ma pur sempre rimarchevole.
Nell'orizzonte di previsione di Istat, Insee e Ifo, la produzione industriale è attesa crescere ad un ritmo quasi costante, sostenuta dalla ripresa degli investimenti e dal miglioramento della domanda estera. Alla lieve riduzione della crescita in T4 (+0,3%) dovrebbe seguire il miglioramento nei primi due trimestri del 2017 (+0,4% per entrambi i trimestri). La moderata ripresa della zona Euro è prevista continuare: nel quarto trimestre 2016 si prevede un aumento del PIL pari al +0,4% cui seguirà un aumento della stessa intensità nei primi due trimestri del 2017.


La crescita del Pil sarà sostenuta dai consumi delle famiglie che cresceranno allo stesso ritmo nel periodo di previsione (+0,4%) a seguito del miglioramento delle condizioni sul mercato del lavoro e dell'aumento del potere di acquisto.
Gli investimenti da parte delle famiglie e delle imprese dovrebbero accelerare. La crescita del numero dei permessi di costruzione suggerisce il miglioramento degli investimenti in costruzione dopo la pausa registrata negli ultimi mesi. La crescita dovrebbe essere particolarmente sostenuta in Germania, Francia e Italia. E questa più che una previsione, almeno per l'Italia, è un auspicio. Il comparto immobiliare è stato probabilmente quello che maggiormente ha subìto l'impatto delle manovre di austerità del governo Monti e dal 2012 è sostanzialmente crollato, con la perdita di migliaia di posti di lavoro, abbassamento della ricchezza delle famiglie, e blocco del mercato delle compravendite. Anche se si intravedono segnali di miglioramento, ci vorranno decenni prima di ritornare - se ci arriveremo - ai numeri del 2011.
Più in generale, nell'industria l'utilizzo della capacità produttiva ha segnato i livelli più elevati dell'ultimo periodo prefigurando una fase di ripresa significativa degli investimenti delle imprese in macchinari e attrezzature.



Le condizioni di finanziamento, sia per le famiglie sia per le imprese rimangono molto favorevoli e i tassi di interesse privati dovrebbero rimanere sugli attuali livelli minimi. Questo grazie alle politiche della BCE che vede Monti particolarmente attento su questa specifica voce.
Gli investimenti totali dovrebbero accelerare in T4 2016 (+0,7%) e in T1 2017 (+0,8%) per poi registrare una lieve decelerazione in T2 (+0,6% nel secondo trimestre 2017).

L'inflazione si rafforza (ma in Italia?)

Nel terzo trimestre 2016 l'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) ha registrato un incremento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (+0,3%), dopo la lieve contrazione in T2 (-0,1%). Nell'orizzonte di previsione, l'IPCA è atteso crescere in misura significativa in T4 (+0,7%) per poi accelerare nei primi due trimestri del 2017 (+1,5%) in corrispondenza della fine della fase discendente dei prezzi dell'energia. Certo, l'ultimo dato della Germania vede un'inflazione all'1,7%, mentre l'Italia ha fatto un bruciante scatto pari a +0,5% che però non è bastato per evitare un 2016 in deflazione.


E questo crea un enorme problema.
Come affermato dall'economista ed ex ministro Paolo Savona, "la nostra crescita è pari alla metà di quella tedesca, la disoccupazione è doppia e l'inflazione da noi ristagna, mentre quella tedesca si approssima al tetto massimo del 2%. Draghi, pur abile, non potrà sanare queste divergenze usando il solo strumento della politica monetaria. Se persiste nell'accondiscendenza monetaria può aiutare l'Italia, ma crea problemi alla Germania; se cambia politica va incontro ai bisogni della Germania, ma mette in crisi l'Italia. La posizione espressa dalla Commissione europea che in marzo farà una verifica dei conti pubblici italiani conferma la nostra impossibilità di operare con la politica fiscale e imporrà il previsto aumento automatico dell'IVA o nuove tasse, che notoriamente operano in senso deflazionistico. I divari di crescita e di inflazione quindi si amplieranno e la continuazione dell'attuale politica monetaria incontrerà maggiori ostacoli".
Il che ci porta a un bivio: o fare la fine della Grecia e accettare una sostanziale perdita della sovranità fiscale residua, oppure saremo costretti a uscire dall'euro.


Una terza ipotesi sarebbe un'uscita dalla moneta unica della Germania, che però con le elezioni alle porte difficilmente prenderà in esame l'ipotesi di abbandonare una situazione completamente a suo favore.
In questo scenario descritto da Istat, Insee e Ifo, si ipotizza che il prezzo del petrolio Brent rimanga stabile a $56 per barile e che il tasso di cambio euro/dollaro oscilli intorno a 1,05 dollari per euro. E' però difficile fare una previsione proprio adesso che la Russia sta producendo ai più alti livelli, l'Iran vedrà entrare la sua maggior quota di greggio sul mercato e il dollaro sembra destinato a rafforzarsi ulteriormente, così come l'euro indebolirsi.


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