Le aziende familiari italiane crescono piu' delle altre. E puntano all'estero
Secondo l'ottavo osservatorio AUB, il 45% delle acquisizioni concluse da questo tipo di imprese è realizzato all'estero.
Il 9,1% dei leader sono donne, più che nel resto d'Europa
Probabilmente chi ha dato per morta la capacità di stare sul mercato e di crescere in un'epoca di globalizzazione delle aziende familiari, dovrà ricredersi.
Infatti, questo segmento di imprese italiane continua a crescere più velocemente di quelle non familiari, soprattutto nelle classi dimensionali medio-grandi (fatturato superiore a ?50 mln).
Questo emerge dai risultati dell'Ottavo Osservatorio AUB (AIdAF, UniCredit, Bocconi) sulle aziende familiari italiane curato da Guido Corbetta e Fabio Quarato della Cattedra AIdAF-EY di Strategia delle aziende familiari.

Fatti 100 i ricavi del 2007, nel 2015 le imprese familiari medio-grandi erano arrivate a 145,2, le altre a 131,8.
Le stesse cifre, per le imprese tra i ?20 mln e i ?50 mln di fatturato, erano 145,8 per le familiari e 142,6 per le non familiari.
Nel quadro di un mercato interno stagnante, il motivo principale del ritmo di crescita più veloce sembra essere una maggiore propensione a concludere operazioni di acquisizione o joint venture all'estero.
Mentre le aziende non familiari concludono in Italia il 73% delle loro acquisizioni e il 27% all'estero, le imprese familiari si spingono all'estero nel 45% dei casi e rimangono in Italia per il 55% delle acquisizioni.
Dopo la crisi, inoltre, sono state ancora le imprese familiari a osare di più, spingendosi in paesi più distanti dal punto di vista culturale.
Quest'anno l'Osservatorio mette a confronto le prime 100 aziende familiari quotate di Italia, Francia, Germania e Spagna, ridimensionando alcuni luoghi comuni.

L'apertura delle imprese familiari italiane ai manager esterni non è, infatti, dissimile da quella di Francia e Spagna e la percentuale di leader stranieri in Italia è addirittura superiore a quella degli altri due paesi.
La sola Germania si distingue dagli altri paesi anche per l'adozione di un modello di governance differente - il modello "duale" - che comporta una presenza più alta di manager non familiari e leader stranieri nel Consiglio di gestione.
Anche per età media dei leader (57,5 anni, in un range che va dai 58,5 anni dei leader spagnoli ai 56,1 di quelli tedeschi) l'Italia non risulta sostanzialmente diversa dal resto d'Europa, mentre si distingue in senso positivo per la diversity: la percentuale di leader donna (9,1%) è la più alta d'Europa.
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