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22/06/2016

economia

L'impatto economico della Brexit sulla UE

Alimi (AXA IM): è più difficile da valutare rispetto a quello che avrebbe sull'economia britannica. Nel complesso, difficilmente supererà lo 0,5% del PIL. Nell'immediato si manifesterebbero principalmente gli effetti negativi, quelli positivi nel più lungo periodo

Mentre numerosi analisti hanno studiato il possibile impatto della Brexit sull'economia britannica, sono stati fatti pochi studi analoghi relativamente all'UE. Le ragioni di questa asimmetria sono principalmente due. Primo, è certamente più difficile valutare l'impatto sull'Unione Europea considerati i numerosi parametri in gioco. Secondo, tale impatto verosimilmente sarà limitato, almeno apparentemente. Tuttavia, potrebbero emergere costi economici elevati nel caso in cui si profili uno scenario politico negativo per l'Unione Europea, con la Brexit a farne da catalizzatore. In questo testo descriviamo i diversi canali che potrebbero incidere sulla crescita dell'UE nell'eventualità di un'uscita del Regno Unito. In alcuni casi l'impatto sarà immediato, per esempio sui mercati finanziari, in altri casi ci vorrà più tempo perché si manifesti. In particolare, potrebbero volerci due anni per consentire al Regno Unito di rinegoziare la sua posizione rispetto all'UE dopo la Brexit, un percorso probabilmente tutto in salita. Il canale commerciale

Il Regno Unito è un importante partner commerciale dell'UE, gli scambi complessivi ammontano a circa il 5% del PIL dell'Unione Europea.

Nell'eventualità della Brexit, gli scambi commerciali probabilmente graveranno sulla crescita dell'UE. Primo, per gli esportatori europei si ridurrà l'accesso al mercato britannico a fronte di un avanzo commerciale per l'Unione Europea pari a circa lo 0,5% del PIL. Secondo, l'impatto negativo della Brexit sull'economia britannica, che stimiamo intorno al 2-7% del PIL del Regno Unito, graverà ulteriormente sulla domanda per gli esportatori UE. L'impatto effettivo dipenderà comunque dai rapporti tra Regno Unito e Unione Europea dopo la Brexit. Le implicazioni principali deriverebbero dall'impossibilità di accedere ai canali commerciali con l'UE. D'altra parte è assai probabile che vengano mantenuti stretti legami commerciali, in tal caso l'impatto sarebbe limitato. In particolare, l'opzione svizzera produrrebbe solo minime differenze rispetto alla situazione attuale. Inoltre, l'effetto sugli scambi si inizierà a sentire solo dopo la fine del periodo dei negoziati, ovvero due anni dopo il referendum, secondo le nostre previsioni. L'impatto negativo sugli scambi potrebbe essere compensato reindirizzando le importazioni dal Regno Unito verso le aziende UE.

In particolare, limitando l'accesso del settore finanziario britannico al mercato dei servizi nell'UE si rafforzerebbe tale settore nell'ambito dell'unione. Questo processo di ridistribuzione potrebbe essere incoraggiato anche dalla regolamentazione (vedi qui di seguito). Infine, la decisione sulla Brexit dovrebbe produrre un forte impatto sulle valute, e conseguentemente sull'andamento commerciale delle economie UE. Nel caso in cui il Regno Unito esca dall'unione, prevediamo sostanzialmente due oscillazioni valutarie di grande rilievo. Primo, prevediamo una profonda svalutazione della sterlina, in generale, e rispetto alle valute europee e all'euro. A parità delle altre condizioni, questo dovrebbe penalizzare gli esportatori UE sul mercato britannico, oltre ai fattori già citati. Secondo, prevediamo una lieve svalutazione dell'euro rispetto al dollaro americano e alla maggior parte delle valute che scambiano principalmente col dollaro. Questo dovrebbe essere un fattore positivo per gli esportatori UE. Nel complesso, l'impatto commerciale della Brexit sull'Unione Europea probabilmente sarà negativo ma limitato nel caso in cui si profili lo scenario più probabile, ovvero che il Regno Unito adotti l'opzione norvegese o svizzera.


Il canale dei flussi di capitale

La profonda incertezza sull'economia britannica e sul contesto normativo e legale avrebbe implicazioni di grande portata sul fronte dei flussi di capitale. Primo, è probabile che le autorità di vigilanza dell'UE, in particolare la BCE, impongano l'onshoring ovvero il ricollocamento all'interno della regione delle attività finanziarie che implicano strumenti denominati in euro, in particolare per l'asset clearing, ma anche potenzialmente per alcune attività di trading. Gli istituti finanziari trasferiranno parte delle loro le attività, inclusi posti lavoro, e in qualche caso anche la loro sede, nell'Unione Europea. Questo per l'UE implicherebbe non solo un aumento della produzione dei servizi ma anche della produttività, considerato che il settore finanziario presenta una produttività elevata rispetto ad altri settori. Più in generale, è probabile che gli investimenti esteri diretti nel Regno Unito vengano reindirizzati nel resto dell'Unione Europea. Il Regno Unito è la prima destinazione di investimenti esteri diretti nell'UE e rappresenta circa il 20% dei flussi in ingresso dal 2000.


Per molte società non europee, il Regno Unito ha rappresentato la località prescelta per stabilire una sede regionale grazie alla flessibilità dello scenario imprenditoriale e del mercato del lavoro, alla lingua inglese, all'accesso ai mercati finanziari e al contesto internazionale. Un importante prerequisito era però la possibilità di accedere al resto del mercato UE, fattore che verrebbe messo in discussione nell'eventualità della Brexit. Gli investimenti esteri diretti provenienti dall'UE potrebbero lasciare il paese e tornare nella regione. Potremmo aspettarci inoltre che diverse aziende si trasferiscano verso città UE, come Dublino, Francoforte, Parigi, Amsterdam o Bruxelles. Questi nuovi capitali porterebbero ricchezza, posti di lavoro, ma anche produttività. Tuttavia, è possibile che l'incertezza sul futuro dell'Unione Europea si traduca in un calo degli investimenti esteri diretti nella regione. Considerata l'importanza di Londra come centro finanziario europeo, l'esposizione finanziaria dell'UE sul Regno Unito è molto ampia (Figura 1). Per alcuni paesi, come l'Irlanda o il Lussemburgo, tale esposizione è persino più ampia della loro economia.


Chiaramente, uno shock negativo per l'economia britannica come la Brexit potrebbe produrre inizialmente perdite finanziarie per gli investitori UE. Tuttavia, è anche probabile che l'incertezza porti a ridistribuire gli investimenti in portafoglio verso l'Unione Europea, in particolare in caso di limitazioni alla mobilità del capitale. Inoltre, gli investitori non europei potrebbero ridistribuire i loro portafogli verso l'Europa, riducendo l'esposizione nel Regno Unito a vantaggio dell'UE. Di conseguenza, dopo uno shock iniziale, la Brexit potrebbe far confluire parte dei capitali verso l'Unione Europea. Il canale dei flussi di capitale è ampio per l'UE nel caso di un'uscita del Regno Unito ma l'impatto sarebbe eterogeneo. Probabilmente prevarrebbero i fattori negativi dopo la decisione sulla Brexit, ma nel più lungo termine dovrebbero manifestarsi alcuni fattori positivi. Il canale finanziario

I mercati finanziari verosimilmente registreranno volatilità dopo la decisione sulla Brexit. In questo contributo precisiamo che l'aumento del premio per il rischio collegato all'incertezza sul futuro dell'UE probabilmente avrà un impatto sull'attività economica.


Ci aspettiamo un calo dei rendimenti dei titoli di stato nei paesi core a fronte della maggiore incertezza, grazie alla loro condizione di "porto sicuro". Tuttavia gli spread di credito potrebbero ampliarsi per le obbligazioni societarie UE in uno scenario più incerto. L'impatto netto sui costi di finanziamento probabilmente sarà contenuto, pertanto difficilmente influirà in misura considerevole sul comportamento delle imprese. Nel medio termine, il ricollocamento degli investimenti che passerebbero dal Regno Unito all'UE potrebbe di fatto contribuire a un allentamento delle condizioni finanziarie. Inoltre, la Banca Centrale Europea (BCE) difficilmente tollererà un prolungato deterioramento del costo del denaro che inciderebbe negativamente sull'inflazione. In caso di forte volatilità, la BCE probabilmente interverrà per tranquillizzare i mercati e potrebbe anche ampliare il piano di acquisto di titoli, se necessario. In caso di deterioramento degli spread dei governativi europei per alcuni Paesi, si potrebbe far ricorso alle operazioni OMT per cui i paesi coinvolti aderirebbero a un piano (probabilmente assai contenuto) con la Commissione Europea.


Infine, restiamo convinti che la BCE è pronta, se necessario, ad ampliare gli acquisti ad altre categorie di investimento, in particolare alle azioni. Le azioni in Europa probabilmente risentiranno della Brexit, così come il mercato azionario britannico. Le imprese diventerebbero più prudenti nei loro investimenti e nelle assunzioni, per quanto eventuali misure protettive da parte della BCE eliminerebbero i tail risk. L'effetto ricchezza per le famiglie potrebbe essere negativo in caso di perdite patrimoniali, sebbene in genere siano contenute nell'Eurozona. Il canale della fiducia

Infine, il canale meno tangibile riguarda gli effetti della fiducia sull'attività economica. Nel Regno Unito è assai probabile che l'incertezza in vista del referendum stia già rallentando l'economia. Probabilmente l'UE si troverebbe di fronte a ostacoli analoghi, in particolare se la Brexit innescherà un effetto a catena con referendum in altri stati membri. All'incertezza economica si sommerebbe l'incertezza politica e legale, con limitazioni per l'attività economica. Gli effetti della fiducia in genere si riflettono molto sulle decisioni aziendali.


Come abbiamo rilevato durante la crisi sovrana in Europa, le imprese di fronte all'incertezza in genere rinviano le grandi decisioni che implicano impegni a lungo termine. A parità delle altre condizioni, questo produce un effetto negativo sull'attività e sugli investimenti delle imprese. Ha anche implicazioni negative sulle assunzioni, e quindi sul reddito complessivo. È probabile una reazione sul fronte della politica monetaria, ma anche in termini di politica fiscale che compensi in parte il calo della domanda nel breve termine. Mentre è già chiaro che l'austerity non è più tra le questioni urgenti in Europa, la Brexit la farebbe scendere ancora nella scala delle priorità. Politicamente i governi potrebbero rivolgersi alla spesa pubblica per impedire i rischi di una disintegrazione dell'UE. Ma alcuni paesi hanno uno spazio di manovra limitato sul fronte fiscale, per cui si ricorrerebbe alla politica fiscale solo in caso di una profonda recessione, non nello scenario moderato che ci sembra più probabile.
In conclusione, è difficile quantificare l'impatto economico della Brexit sull'economia dell'Unione Europea poiché i fattori da considerare sono numerosi, oltre all'incertezza della sensibilità di tali fattori al nuovo scenario.


Se calcoliamo l'impatto commerciale con un calo del 5% della domanda britannica di esportazioni UE, un ulteriore calo del 5% delle esportazioni a causa dell'accesso limitato al mercato britannico, e una rivalutazione dell'euro del 10% rispetto alla sterlina, otteniamo un impatto negativo di circa 0,3 punti percentuali sulla crescita del PIL nell'Unione Europea. Per quanto concerne la fiducia, lo shock sarebbe pari a circa il 20% del rallentamento degli investimenti fissi e delle scorte registrato nel 2012, per ulteriori 0,4 punti percentuali del PIL. Questi fattori dovrebbero essere in parte compensati dalla svalutazione dell'euro rispetto al dollaro americano e dall'impatto positivo dell'afflusso di capitali. Nel complesso, l'impatto della Brexit difficilmente supererebbe lo 0,5% del PIL per diversi anni. Tutto sommato, l'impatto della Brexit sarebbe verosimilmente negativo e limitato, mentre gli effetti positivi si manifesterebbero nel più lungo termine. Il costo di un'uscita del Regno Unito appare quindi gestibile per l'Unione Europea.


Tuttavia, a nostro giudizio, ciò che conta maggiormente è lo scenario generale che determinerà il costo effettivo della Brexit. La posta in gioco nell'eventualità della Brexit è il futuro dell'UE come progetto di integrazione regionale.

Maxime Alimi, Research & Investment Strategy di AXA Investment Managers


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