A livello globale, le stime sugli utili sono inferiori ai livelli degli ultimi cinque anni mentre i prezzi sono molto più alti e la volatilità, sebbene elevata e in aumento, non ha ancora raggiunto i livelli che precedono il crollo né quelli registrati nel 2008.
Il ruolo della Cina
La Cina naturalmente rimane una delle principali fonti di volatilità.
L'economia cinese sta rallentando mentre il paese tenta disperatamente di ritrovare un equilibrio (anche se negli ultimi tempi il rallentamento non è stato così pronunciato come si temeva; il recente dato trimestrale sul PIL ha ad esempio indicato una crescita del 6,9%, leggermente superiore alle aspettative di molti analisti).
Il rallentamento cinese ha già causato il deprezzamento della valuta e problemi al mercato azionario, che si sono trasmessi anche ad altri mercati asiatici e in tutto il mondo.
I timori sulla Cina non sono tuttavia una novità e in effetti suggeriamo da tempo che il continuo rallentamento dell'economia cinese avrebbe comportato difficoltà non solo per gli investitori dei mercati asiatici ed emergenti, ma anche per i mercati finanziari a livello globale.
Non è questo il momento di gettare la spugna
Anche la forza del dollaro, la liquidità, gli spread creditizi e le prospettive di una Brexit continuano a destare grandi preoccupazioni.
Tuttavia non è questo il momento di gettare la spugna, come hanno suggerito alcuni catastrofisti e analisti amanti del pugilato.
Gli investitori devono essere consapevoli che il 2016 sarà caratterizzato da uno scenario di crescita modesta e rendimenti contenuti, con margini societari penalizzati dalla debolezza della domanda finale e dall'eccesso di capacità in diversi settori.
Lo scenario relativo ai mercati emergenti resta difficile, soprattutto per quei Paesi che hanno costruito le loro economie sul soddisfacimento della domanda cinese di commodity.
Per questi mercati le prospettive sono cupe e l'indebolimento delle valute potrebbe non contribuire a stimolare la domanda di esportazioni dei mercati emergenti nei paesi in cui la domanda di consumatori e società è modesta.
In uno scenario mondiale in cui gli USA attuano un inasprimento della politica monetaria mentre altre banche centrali mantengono un orientamento accomodante, il dollaro dovrebbe rafforzarsi, a parità di tutte le altre condizioni.
Ciò si tradurrà probabilmente in ulteriori difficoltà per le economie emergenti, data la forte correlazione negativa tra il dollaro e questi mercati.
I gestori attivi che attuano strategie di multi-asset allocation sono ben posizionati per sopportare shock a breve termine sui mercati.
L'alta marea del QE globale che finora ha tenuto a galla tutte le barche comincerà a scendere, rendendo opportuna una differenziazione all'interno delle asset class e tra di esse.
In tale contesto, l'enfasi sulle valutazioni e sui fondamentali o su un approccio d'investimento tradizionale dovrebbe rivelarsi più importante che negli ultimi anni, durante i quali i mercati sono stati sostenuti da una liquidità abbondante e crescente.
Gli investitori a più lungo termine sanno che quella che può essere avvertita come una situazione di emergenza nel breve termine potrebbe non avere la stessa importanza a distanza di alcuni anni, per cui un approccio d'investimento tradizionale può essere particolarmente appropriato nell'attuale contesto volatile.
Gli indicatori di stabilità aiuteranno a tenere a bada l'orso
Per poter tenere a bada l'orso vorremmo tuttavia ravvisare alcuni indicatori di stabilità.
Se la Cina e i suoi investitori riescono ad accettare che il paese debba riequilibrare la propria economia, il mercato azionario potrebbe esibire un andamento meno altalenante.
Anche lo stabilizzarsi dei prezzi petroliferi sarebbe positivo, ma è difficile decifrare la situazione in Medio Oriente, caratterizzata dalla continua disponibilità dell'Arabia Saudita a produrre petrolio anche agli attuali prezzi e dalle sue dispute con l'Iran.
Con il calo della domanda, dovuto in parte all'inondazione del mercato da parte dell'olio di scisto, l'eccesso di offerta resta un problema chiave e bisogna vedere come evolveranno i fattori geopolitici in gioco.
Sebbene le attese di ulteriori rialzi dei tassi d'interesse siano state leggermente posticipate, continuano probabilmente a costituire un rischio chiave.
Gli attuali indicatori macro e societari -" crescita e inflazione modeste, domanda finale sottotono e prospettive sugli utili societari in deterioramento -" non sono certo quelli che ci si attenderebbe nel momento in cui la principale banca centrale del mondo, ossia la Federal Reserve, sta avviando un ciclo di inasprimento dei tassi d'interesse.
Ovviamente la Fed non vede l'ora di dare il via alla normalizzazione dei tassi, ma se si osservano i dati singolarmente è difficile giungere alla conclusione che la Fed abbia la necessità d'innalzare i tassi in modo rapido o aggressivo.
I recenti dati sull'occupazione negli USA sono solidi, ma occorre contestualizzarli: i tassi di partecipazione negli Stati Uniti restano i più bassi degli ultimi 40 anni.
I mercati si aspettano l'intervento della Fed e noi prevediamo che il FOMC procederà al rialzo dei tassi in modo controllato e prudente.
Se la Fed perde il controllo dei messaggi che invia e le autorità politiche si mostrano incoerenti, i mercati potrebbero reagire bruscamente.
Quali sono le implicazioni di tutto questo dal punto di vista dell'asset allocation? In termini di valutazioni, continuiamo a preferire le azioni alle obbligazioni e per il momento prevediamo di mantenere questo posizionamento nei nostri portafogli di asset allocation, benché con minor convinzione rispetto al passato.
Resta il fatto che, osservando il loro andamento storico sul più lungo termine, le azioni continuano ad essere più interessanti rispetto alle obbligazioni.
Mark Burgess, Chief Investment Officer EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments
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