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23/12/2015

economia

Fine dell'alta marea: il periodo di volatilita' eccezionalmente bassa volge al termine

Burgess (Columbia Threadneedle): in uno scenario mondiale in cui gli USA attuano un inasprimento della politica monetaria mentre altre banche centrali mantengono un orientamento accomodante, il dollaro dovrebbe rafforzarsi. Ciò potrebbe mettere in crisi le economie emergenti

Il 2016 sarà caratterizzato da uno scenario di crescita modesta e rendimenti contenuti, con margini societari penalizzati dalla debolezza della domanda finale e dall'eccesso di capacità in diversi settori. Saranno vincenti gli investitori che riusciranno a individuare società dotate di una crescita organica, i cui titoli dovrebbero quotare a premio rispetto ai concorrenti.

Un momento propizio agli investitori attivi dove prevarranno i fondamentali

Riteniamo che il 2016 offrirà maggiori opportunità agli investitori attivi e accorti: l'alta marea del QE globale che finora ha tenuto a galla tutte le barche comincerà a scendere, rendendo opportuna una differenziazione all'interno delle asset class e tra di esse. In tale contesto, l'enfasi sulle valutazioni e sui fondamentali - o su un approccio d'investimento tradizionale - dovrebbe rivelarsi più importante che negli ultimi anni, durante i quali i mercati sono stati sostenuti da una liquidità abbondante e crescente.

Prosegue l'attività di fusione e acquisizione e i dividendi rimangono solidi; per i titoli investment grade le notizie sono meno rosee

Riteniamo che in generale le società restino poco propense ad effettuare spese in conto capitale a lungo termine o su vasta scala; è pertanto probabile che quelle che dispongono di liquidità in eccesso la utilizzino per erogare dividendi o per finanziare operazioni di fusione e acquisizione (M&A), come è accaduto di recente.

In uno scenario di crescita modesta e di bassi rendimenti, potrebbe risultare più ragionevole per le società acquistare o eliminare i propri concorrenti anziché puntare alla crescita organica, difficile da realizzare. Generalmente, le operazioni di fusione e acquisizione hanno effetti positivi per i titoli azionari e altri asset più "rischiosi" quali le obbligazioni high yield, ma esercitano un impatto negativo sulle società investment grade, in quanto comportano un certo incremento della leva finanziaria nei loro bilanci. Questo è il motivo per cui abbiamo ritoccato l'esposizione alle obbligazioni societarie nei nostri portafogli di asset allocation, privilegiando l'high yield europeo al segmento investment grade.
A livello regionale continuiamo a ravvisare opportunità interessanti nelle azioni giapponesi, il che traspare dalla composizione dei nostri portafogli di asset allocation. Il Giappone ha messo a segno un buon livello di crescita degli utili, cosicché le valutazioni delle azioni sono rimaste allettanti nonostante la solida performance del mercato azionario. Ciò contrasta con il resto del mondo, dove le valutazioni azionarie sono perlopiù appena accettabili e il flusso di dati societari è in lieve deterioramento.



Contesto favorevole per le azioni europee

Il quantitative easing, il ribasso dei prezzi dell'energia, la debolezza dell'euro e l'allentamento delle condizioni del credito sono tutti fattori che favoriscono il contesto commerciale delle società europee. In molte economie dell'Eurozona si osservano segnali di miglioramento e a nostro avviso gli utili realizzati sui mercati domestici europei continueranno a dare un forte contributo alla redditività aziendale complessiva. Sul versante internazionale stiamo monitorando le prospettive economiche della Cina, valutandone il potenziale impatto sugli esportatori europei e sulla crescita globale.
Molte società europee (non operanti nel settore finanziario) presentano bilanci e flussi di cassa solidi che si traducono nella probabilità di crescita dei dividendi, rendimenti della liquidità e operazioni di fusione e acquisizione ulteriori. Continuiamo a privilegiare i titoli di società che presentano solide prospettive sugli utili e potere di prezzo. L'accentuata volatilità nei mercati azionari ci offre interessanti opportunità d'investimento.

Le conseguenze ignote dell'innalzamento dei tassi in un contesto globale di crescita debole

La peggior minaccia per il 2016 è forse il fatto che gli attuali indicatori macro e societari - crescita e inflazione modeste, domanda finale sottotono e prospettive sugli utili societari in deterioramento - non sono certo quelli che ci si attenderebbe in un momento in cui la principale banca centrale del mondo, ossia la Federal Reserve, è in procinto di avviare un ciclo di inasprimento dei tassi d'interesse.


Ovviamente la Fed non vede l'ora di dare il via alla normalizzazione dei tassi, ma se si osservano i dati singolarmente è difficile giungere alla conclusione che la Fed abbia la necessità d'innalzare i tassi in modo rapido o aggressivo. I recenti dati sull'occupazione negli USA sono solidi, ma occorre contestualizzarli: i tassi di partecipazione negli Stati Uniti restano i più bassi degli ultimi 40 anni.
I mercati si aspettano l'intervento della Fed e noi prevediamo che il FOMC procederà al rialzo dei tassi in modo controllato e prudente. Tuttavia, vista la notevole enfasi attribuita dagli operatori alla forward guidance e ai grafici a punti della Fed (i "dot plots"), sussiste tutt'ora il rischio che quest'ultima possa perdere il controllo dei suoi stessi messaggi, come è talvolta avvenuto nel 2015. Quando le autorità politiche si mostrano incoerenti, i mercati tendono a diventare instabili. Per questo è importante che nel 2016 la Fed presti molta attenzione alle sue comunicazioni.

Il rallentamento economico della Cina è una sfida costante per alcuni mercati emergenti

L'altra grande incognita, dal nostro punto di vista, è la Cina.


È in corso un rallentamento economico ma nessuno è in grado di prevederne con certezza la durata e la gravità. La nostra valutazione è che la crescita economica sarà inferiore al 7,5% registrato negli ultimi anni, ma rimarrà in territorio positivo, sostenuta dai consumi interni. Sarebbero necessari un crollo dei consumi e la scelta del governo di non intervenire e di non fare nulla a sostegno dell'economia perché la crescita scenda al di sotto dello 0%. Una prospettiva improbabile, a nostro avviso. Ciononostante, il rallentamento della Cina si rivelerà insidioso, soprattutto per alcuni dei suoi omologhi emergenti, e non vi sono esempi storici di espansione del credito di portata analoga a quella osservata in Cina che abbiano avuto un lieto fine.

Siamo più vicini alla prossima crisi che all'ultima?

Il problema principale che gli investitori dovrebbero prendere in considerazione è quello della crescita economica e dei motivi per cui è ancora così modesta. La crisi Lehman risale ormai a più di sette anni fa, ma al di fuori degli Stati Uniti l'espansione è ancora sfuggente. Nel 2016 gli investitori cominceranno secondo noi a dubitare della validità di alcune delle politiche adottate dalle banche centrali e a chiedersi se tali politiche abbiano aiutato oppure ostacolato la crescita.



Sono sempre di più coloro che ritengono che il QE abbia creato i presupposti affinché le società potessero assumere prestiti e investire nelle proprie attività ma abbia al contempo permesso la sopravvivenza di "società zombie" che avrebbero dovuto fallire molto tempo fa. In altre parole, dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria il processo di "distruzione creativa" non ha potuto fare il suo corso, con il risultato che il mondo ora si trova sommerso da un eccesso di capacità. Gli effetti negativi di tale situazione sono amplificati dal rallentamento macroeconomico in atto in Cina. Le società con un'offerta differenziata di prodotti ed elevate barriere all'ingresso possono ancora prosperare, ma tutte le altre sono alle prese con gravi insidie. Il fatto che la crisi Lehman risalga a oltre sette anni fa significa inoltre che, con ogni probabilità, ci troviamo più vicini alla prossima crisi che all'ultima. Gli investitori farebbero bene a ricordarsene nella costruzione dei loro portafogli per il 2016.

Il costante calo dei prezzi petroliferi può significare che alcuni produttori cominceranno a fallire

Ciò che possiamo affermare con certezza, ipotizzando che tutto resti invariato, è che la pressione al ribasso sull'inflazione complessiva esercitata dai bassi prezzi del petrolio dovrebbe scomparire dal panorama dei dati nel 2016.


La questione dell'inflazione e del suo avvicinarsi o meno al target stabilito dalle banche centrali sarà in effetti d'importanza cruciale, poiché da ciò dipenderanno le eventuali ulteriori misure di sostegno della Banca del Giappone e della BCE.
Continueremo a tenere sotto stretta osservazione le quotazioni petrolifere. Ai prezzi attuali, i produttori con i costi più elevati e alcuni dei produttori più marginali di gas di scisto stanno subendo perdite, ma alcuni continueranno a produrre per generare cash flow. Se in passato questi produttori sono riusciti a salvaguardare la produzione per consegna a distanza di un anno su livelli nettamente superiori al prezzo a pronti (prevedendo una risalita delle quotazioni del petrolio), la situazione ormai è cambiata. In effetti, occorrerebbe ripercorrere un lungo tratto della curva dei prezzi petroliferi per trovare prezzi per consegna futura nettamente superiori a quelli attuali. È quindi probabile che il prossimo anno vedremo fallire alcuni dei produttori più vulnerabili e con costi elevati. Poiché il segmento energetico è una componente significativa dell'universo high yield statunitense, sarà il caso che gli investitori prestino attenzione a questo elemento.




L'incertezza legata alla Brexit potrebbe determinare un aumento della volatilità

Un argomento che catturerà l'attenzione dei media nel 2016 è quello della Brexit, ossia la potenziale uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Attualmente i mercati non sembrano preoccuparsene. Come è avvenuto nel caso del referendum sull'appartenenza della Scozia al Regno Unito, i mercati possono divenire compiacenti all'avvicinarsi del referendum, il che può provocare una volatilità di breve periodo nel momento in cui gli investitori cominciano a rendersi conto che l'esito "positivo" non è più così scontato come sembrava. Al momento, i sondaggi indicano che la maggior parte dei cittadini britannici voterebbe a favore della permanenza nell'UE, un esito che però non può darsi per scontato.

Mark Burgess, CIO EMEA e Responsabile azionario globale presso Columbia Threadneedle

 


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