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18/11/2015

economia

Ecco perche' una nuova crisi e' alle porte

Dembik (Saxo Bank): il modello della Grande Divergenza vede la Cina assumere il ruolo leader degli USA. Abbiamo probabilmente raggiunto i limiti degli strumenti di politica monetaria. L'America ha compromesso una ripresa della crescita a causa dell'eccessivo indebitamento

Gli oracoli che parlano dell'incombere di una nuova crisi globale sono numerosi. Durante l'ultimo ventennio i cicli economici si sono accorciati a causa di diversi fattori, quali la deregulation, la finanziarizzazione dell'economia, la globalizzazione degli scambi, e l'accelerazione del ciclo dell'innovazione. Durante gli ultimi venticinque anni, l'economia statunitense ha vissuto tre fasi di recessione: nel 1991, nel 2001 e nel 2009. L'esplosione di una nuova crisi nei prossimi anni è inevitabile; poter prevedere la sua entità riconoscendo che il capitalismo si muove con cicli inferiori ai dieci anni non è di alcun prestigio.
Quattro scenari macroeconomici per il 2016
- Bazooka monetario cinese;
- Crescita economica sostenibile;
- Recessione globale;
- Grande divergenza.
Fino a questo momento l'aspettativa per il 2016 era quella di un rafforzamento dell'economia globale. Tuttavia, le numerose correzioni al ribasso alle previsioni di crescita da parte delle principali organizzazioni internazionali rendono quest'ipotesi sempre meno concreta.


Il principale driver della crescita globale è costituito da uno slancio del Prodotto interno lordo, specialmente negli Stati Uniti; ad oggi risulta anche più debole di quanto non fosse durante le precedenti fasi di ripresa, come mostrato dalla potenziale crescita del PIL ridotta al 2% per il periodo 2015-2025, rispetto al 3% per il periodo 2000-2007. La debolezza di questa fase di ripresa può essere individuata nel sostanziale rallentamento della crescita del commercio internazionale. L'incremento dei volumi delle importazioni globali è significativamente inferiore rispetto al periodo tra il 1992 e il 2008. Le conseguenze della crisi dei subprime influenzano ancora le dinamiche internazionali. La possibilità di una nuova crisi ha riportato in vita la teoria della Grande Divergenza. Questa circostanza non si è tuttavia avverata: nel 2008 tale modello è stato ripetutamente rievocato senza realizzarsi, perché si basa sull'illusione che l'Asia, e in particolare la Cina, possa dimostrarsi in grado di prendere il posto degli Stati Uniti.



Ancora la damigella d'onore

L'influenza economica di Pechino è chiaramente in ascesa: lo yuan è la quarta moneta più scambiata al mondo - davanti allo Yen giapponese - e prima della fine del 2016 dovrebbe superare la Sterlina inglese nelle transazioni finanziarie. La strategia della "nuova Via della Seta", che punta a costruire un ponte economico tra l'Europa e il Sud della Cina, è uno strumento incredibile per fornire una leva allo sviluppo del paese e al suo ruolo leader nell'economia internazionale. Ciò nonostante, l'emergere dell'area dominata dallo yuan non è in grado di competere con l'egemonia della grande area del dollaro. Qualunque deterioramento delle prospettive dell'economia statunitense avrebbe pesanti conseguenze in Asia e su tutti i paesi emergenti.
Attenzione al bazooka cinese

La possibilità di un bazooka monetario cinese per la prima metà del 2016 non può essere sottovalutata. Le attese di un nuovo stimolo potrebbero più facilmente crescere nei prossimi mesi, dato che al passare dei giorni la politica monetaria delle banche centrali occidentali diventa sempre meno chiara.

Ma non siamo ancora di fronte a un'emergenza, data la stabilizzazione del mercato azionario cinese e l'evoluzione macroeconomica del paese, che non mostra alcuna preoccupazione di un peggioramento, nonostante sia in effetti deludente rispetto al periodo tra il 1979 e il 2012. La Banca Centrale Cinese potrebbe abbassare i tassi e anche agire sulla quota di riserve obbligatorie - strumento privilegiato- per risollevare il credito. Coi suoi 3,35 mld di riserve di valuta estera (ad Agosto), la Cina possiede una forza senza precedenti. Insieme ad una politica monetaria pacifista, la Cina potrebbe lanciare un piano di stimolo Keynesiano, facendo affidamento al programma di emissione di bond già atteso, con cui potrebbe raccogliere 1 mld di yuan. Nonostante dalla sua entrata in carica nel Novembre 2012 il presidente Xi Jinping si sia dimostrato riluttante ad introdurre un intenso pacchetto di stimoli economici, privilegiando provvedimenti caso per caso, non sarà in grado di evitare quest'opzione ancora per molto se vuole raggiungere i target macroeconomici del paese.


Un bazooka monetario cinese potrebbe temporaneamente rassicurare i mercati mondiali, ma ipotizzare che possa salvare l'economia globale in caso di una crisi dei paesi emergenti è un'ipotesi un po' troppo azzardata. Erano in molti a ritenere che l'economia globale avesse ormai intrapreso un percorso di crescita sostenibile, ma sono sempre più numerosi i segni che destano preoccupazioni riguardo una recessione globale (l'indice Empire manufacturing negli Stati Uniti, la produzione industriale e l'indice del clima di fiducia nell'economia in Giappone, il PIL Canadese, i prezzi del rame, ecc.). I paesi emergenti sono in prima linea. Il Brasile ha aperto la strada e la Turchia potrebbe essere la prossima. Il crescente rischio di recessione dovrebbe aggiungere ulteriore pressione sulle banche centrali per andare avanti a fornire liquidità.
La fine della politica

Il possibile annuncio della Federal Reserve dell'applicazione di tassi negativi verrebbe visto come un provvedimento disperato con pesanti conseguenze negative: i tassi al di sotto dello zero enfatizzerebbero effetti distorsivi del mercato, confermando che sia impossibile uscire da politiche monetarie di supporto.


Questo atteggiamento avventato durerà almeno tanto quanto la credibilità delle banche centrali. Ma questa credibilità è già stata danneggiata, soprattutto in seguito alla decisione inaspettata della Swiss National Bank di togliere il cap sul CHF all'inizio di quest'anno, come l'esitazione mostrata da Janet Yellen durante la conferenza stampa del 17 Settembre. È solo una questione di tempo prima che i mercati realizzino che i limiti della politica sono ormai stati raggiunti.
La crisi che non è mai finita

La debolezza percepita nell'attività economica mondiale è parzialmente il risultato della mancanza di una reale pulizia del sistema finanziario nel 2008. È ormai diventata inconcepibile l'idea di lasciar collassare intere parti del sistema, e nominare alcune istituzioni finanziarie come "sistemiche" fa parte di questa logica. I policymaker che cercano di salvare istituzioni finanziarie malsane commettono un errore. L'essenza stessa del capitalismo risiede proprio nel processo di distruzione creatrice. Le istituzioni che non si dimostrano in grado di innovare di fronte a nuovi concorrenti, o che accettano sproporzionati rischi finanziari, dovrebbero subirne le conseguenze.


Nel 2008, le autorità pubbliche hanno rifiutato di prendersi le responsabilità dei costi sociali causati dai diffusi fallimenti. Nonostante il proprio ruolo di "prestatori di ultima istanza", i governi non hanno potuto evitare la disoccupazione di massa. Rifiutandosi di riformare il sistema hanno compromesso le possibilità di tornare ad un percorso di crescita sostenible, e questo a causa dell'eccessivo indebitamento. Nel corso degli ultimi sette anni il debito pubblico e privato è aumentato di 57 mld di dollari, quasi al livello del PIL globale. Non ci troviamo di fronte ad una strada che ci porti fuori dalla crisi: siamo piuttosto sull'orlo di un nuovo disastro finanziario.
Christopher Dembik, economist di Saxo Bank

 


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