Il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe innescare una nuova era di politiche commerciali aggressive. Paulo Salazar e Christopher Mey, esperti di Candriam, evidenziano come un secondo mandato di Trump potrebbe comportare l'imposizione di nuovi dazi e restrizioni alle esportazioni. La Cina, nonostante il superamento da parte del Messico come principale partner commerciale degli Stati Uniti nel 2023, resta molto esposta a potenziali aumenti tariffari, dato il suo contributo al deficit commerciale americano.
Le proiezioni più pessimistiche prevedono dazi fino al 60% sulle esportazioni cinesi. Questo scenario metterebbe sotto pressione settori chiave come la tecnologia, la produzione manifatturiera e i beni di consumo, ostacolando la ripresa economica cinese. Le stime indicano una possibile riduzione della crescita del PIL della Cina dell'1,5%-2%, mettendo a rischio l'obiettivo di crescita del 5%. Nonostante le recenti misure di sostegno, che ammontano a circa l'1% del PIL, la Cina deve affrontare sfide interne come la deflazione, la debole fiducia dei consumatori e una crisi immobiliare irrisolta.
Per ottenere un impatto significativo, sarebbe necessario uno stimolo economico senza precedenti, accompagnato da una liberalizzazione e riforme orientate al mercato. I mercati emergenti potrebbero risentire delle decisioni della Cina, essendo quest'ultima un motore di crescita fondamentale.
Un aumento dei consumi interni cinesi potrebbe incrementare la domanda di materie prime, favorendo paesi esportatori dell'America Latina e dell'Africa. “Una dipendenza dagli investimenti finanziati tramite debito, tuttavia, presenta dei rischi, in particolare per i mercati emergenti che dipendono dai finanziamenti cinesi”, avvertono gli analisti. La deflazione cinese potrebbe inoltre avere ripercussioni a livello globale, frenando l'inflazione e mettendo a dura prova le economie basate sulle esportazioni, come la Germania.
Un dollaro statunitense più forte, in caso di nuova amministrazione Trump, potrebbe indebolire lo yuan, già sotto pressione a causa del calo delle esportazioni e degli investimenti esteri. La deflazione e la limitata flessibilità monetaria hanno ridotto l'attrattiva dei titoli di stato cinesi, con rendimenti bassi.
Nonostante ciò, i mercati obbligazionari emergenti potrebbero presentare delle opportunità. Gli spostamenti delle catene di approvvigionamento al di fuori della Cina stanno attirando investimenti verso il Sud-est asiatico e l'America Latina, specialmente nei settori manifatturiero, tecnologico e logistico.
I mercati emergenti con un elevato potenziale di carry trade e margini per un allentamento monetario potrebbero beneficiare di maggiori afflussi di capitali. Un'esposizione strategica agli esportatori di metalli latinoamericani, in particolare ai produttori di rame in Cile e Perù, potrebbe attenuare i rischi derivanti da interruzioni dell'approvvigionamento globale. L’indice MSCI China prevede una crescita degli utili del 9% nel 2025. I settori orientati al mercato interno, come l'e-commerce, i beni di consumo e l'istruzione, potrebbero trarre vantaggio dalle politiche di stimolo, mentre le aziende tecnologiche che affrontano restrizioni all'esportazione potrebbero avere difficoltà.
Nel mercato azionario cinese, le A-share potrebbero sovraperformare le H-share, grazie a una minore esposizione ai rischi geopolitici e a un dollaro forte.
In sintesi, le elezioni americane potrebbero avere un impatto rilevante sulla Cina e sui mercati emergenti. La possibile imposizione di nuovi dazi e restrizioni commerciali da parte di una nuova amministrazione Trump rappresenterebbe una sfida per l'economia cinese, con possibili ripercussioni sui mercati globali e in particolare per i mercati emergenti.
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