
Il Made in Italy rappresenta una forza economica straordinaria, ben oltre la sua dimensione numerica. Sebbene costituisca appena il 7,8% delle società di capitali in Italia, con circa 76.000 imprese, questo settore genera un volume di esportazioni Made in Italy che supera i 200 miliardi di euro. Una cifra impressionante, pari al 47,2% dell'intero export nazionale, che sostiene l'occupazione di 1,8 milioni di persone e ha portato i ricavi a quasi 637 miliardi di euro solo nel 2023, contribuendo con 155 miliardi al valore aggiunto complessivo delle società di capitali italiane, cioè il 17,2%. Questi dati emergenti dal Made in Italy Monitor 2025, studio curato da Cerved, ci offrono uno sguardo approfondito su un comparto vitale.


L'analisi attinge a un vasto archivio di informazioni, inclusi i bilanci depositati tra il 2014 e il 2023 da tutte le società di capitali italiane, escludendo banche e assicurazioni. Questo lavoro, frutto delle competenze multidisciplinari di statistici e ricercatori di Cerved, mira a confrontare le imprese del Made in Italy con il resto del manifatturiero Italia e con l'intera economia italiana, delineandone profilo, performance e prospettive. I settori Made in Italy includono pilastri fondamentali: Agroalimentare, Sistema Moda, Arredo e Design, Automazione e Meccanica, Mezzi di trasporto – che abbraccia l'automotive e la nautica – e Farmaceutica. La loro marcata inclinazione all'export ha alimentato una crescita del 4,3% nell'ultimo decennio, superando il 3,7% registrato dal resto del manifatturiero. Questo slancio è merito soprattutto delle eccezionali performance dei Mezzi di trasporto e dell'Agroalimentare, entrambi in aumento del 5%, e dell'Automazione e Meccanica, cresciuta del 4,6%.
Questo trend positivo si prevede continuerà nei prossimi due anni, con un incremento dei ricavi stimato a +0,2% quest'anno e +1,5% il prossimo, nonostante le tensioni geopolitiche e un crescente protezionismo sui mercati globali. Il Made in Italy spicca anche per la sua robustezza patrimoniale e un solido profilo creditizio. Il Cerved Group Score (CGS), lo strumento di Cerved per valutare la probabilità di insolvenza delle singole aziende, rivela un miglioramento significativo. Le imprese del Made in Italy considerate sicure sono passate dal 14,4% al 35,7% in dieci anni, mentre quelle a rischio sono scese dall'8,6% al 6,1%. Eppure, una sfida ineludibile si profila all'orizzonte: la crisi climatica. Circa una su quattro aziende del Made in Italy è esposta a eventi estremi, implicando la necessità di investimenti considerevoli per gestire la transizione ecologica. Ciononostante, le performance ESG rimangono positive. I rating di Cerved Rating Agency attribuiscono una valutazione ESG eccellente a oltre il 60% delle imprese del Made in Italy, in linea con la media del manifatturiero.
Luca Peyrano, CEO di Cerved, ha sottolineato come il Made in Italy sia un ecosistema vitale che unisce imprese, territori e persone. Comprendere questi dati significa interpretare la futura traiettoria della competitività italiana. Grazie ai propri score e modelli di analisi, Cerved offre al Paese una bussola per interpretare le dinamiche di crescita, rischio e sostenibilità dei settori che definiscono la nostra identità economica, sostenendo un motore di sviluppo e la competitività dell'Italia. All'interno del Made in Italy, l'Automazione e Meccanica si posiziona come il macrosettore principale per fatturato. Nel 2023, contava 24.000 imprese, 646.000 addetti e 209 miliardi di euro di ricavi. Seguono l'Agroalimentare con 124 miliardi di euro, i Mezzi di trasporto con 119 miliardi, il Sistema Moda con 101 miliardi, l'Arredo e Design con 47 miliardi e la Farmaceutica con 37 miliardi. Queste aziende sono prevalentemente a proprietà familiare, mostrano un leggero maggiore utilizzo di fusioni e acquisizioni (1,82%, poco sopra la media manifatturiera dell'1,71%) e sono mediamente più piccole rispetto ad altre manifatture.
Questo è particolarmente evidente nell'Agroalimentare, dove le microimprese raggiungono il 70,6%. Fanno eccezione la Farmaceutica, dominata dai grandi gruppi (quasi il 27%, con le piccole e medie imprese che rappresentano il 46,5%), e in parte i Mezzi di trasporto, dove le grandi imprese costituiscono il 4,9%. Dal punto di vista geografico, le imprese del Made in Italy sono così distribuite: il 27% nel Nord-Ovest; il 25,7% nel Nord-Est; il 22,2% nel Centro, grazie soprattutto al contributo del Sistema Moda e dell'Automazione e Meccanica; il 18,6% nel Sud, trainato dall'Agroalimentare.
Il 9,3% delle aziende è collocato all'interno di un distretto industriale. A guidare sono il Sistema Moda, con quasi il 30% delle sue operazioni in distretti specializzati, e l'Arredo e Design con il 13,5%. Nel complesso, si tratta di aziende mature, generalmente presenti sul mercato da oltre venti anni, con manager e CEO di età media tra i 55 e i 60 anni. Questo aspetto, unito alla predominanza della proprietà familiare, pone l'attenzione sul tema del ricambio generazionale.
Esistono altri tre elementi da considerare con attenzione. Il primo riguarda l'innovazione: la quota di imprese del Made in Italy che ha depositato brevetti è significativamente superiore alla media nazionale (0,9% contro lo 0,2%). Il secondo aspetto è l'analisi sugli aiuti di Stato, che rivela una maggiore capacità delle imprese del Made in Italy di accedere ai contributi pubblici, specialmente a sostegno dell'innovazione e della competitività (62% contro il 44,1% del resto dell'economia italiana). Il terzo, infine, evidenzia come le aziende del Made in Italy abbiano una percentuale più alta di imprese a capitale estero (3,6%) rispetto al manifatturiero (3,3%) e al totale delle società di capitali (2,6%). Le previsioni fino al 2026, basate sulla simulazione delle performance economico-finanziarie di circa 900.000 imprese, indicano una leggera crescita dei ricavi nel Made in Italy. Si stima un +0,2% nel 2025 e un +1,5% nel 2026. La performance meno brillante è attesa per i Mezzi di trasporto, con un calo dell'1% nel 2025, ancora pesantemente influenzati dalla crisi dell'Automotive.
Segue il Sistema Moda, che però dovrebbe recuperare nel 2026, e l'Automazione e Meccanica, penalizzata dai dazi statunitensi e dalla debolezza della domanda. Tra i settori più dinamici spiccano la Farmaceutica, con crescite annuali superiori al 4% grazie alla robusta domanda globale, e l'Agroalimentare, con una crescita cumulativa intorno all'8%. In generale, il modello prevede una lieve contrazione dei margini operativi aggregati rispetto ai ricavi nel prossimo biennio, con la Farmaceutica come unica eccezione (dal 17,8% del 2024 al 18,2% del 2026). Il margine EBITDA dei settori Made in Italy si mantiene costantemente al di sopra della media nazionale, con una differenza di 0,4 punti percentuali. La leggera flessione dei margini si ripercuote sulla redditività dei capitali investiti. Nondimeno, i settori del Made in Italy dimostrano una maggiore resilienza rispetto all'intero manifatturiero: la redditività prevista per il Made in Italy si mantiene stabile al 6,5%, mentre nel resto del manifatturiero si osserva una contrazione di 0,3 punti percentuali, dal 6,6% del 2024 al 6,3% del 2026.
Anche in questo scenario, la performance migliore è quella della Farmaceutica (dal 9% del 2024 al 9,7% del 2026), seguita dal Sistema Moda e dall'Automazione e Meccanica. L'evoluzione del profilo di rischio di credito, misurato dal Cerved Group Score (CGS), segnala una tendenza positiva fino al 2026 per i principali settori del Made in Italy. In particolare, il Sistema Moda e l'Arredo e Design vedono un aumento della percentuale di imprese in area di sicurezza (rispettivamente +4,7 e +5,5 punti) e una riduzione della percentuale di aziende a rischio (dal 9,3% all'8,2% e dal 6,7% al 6%). L'Agroalimentare, tradizionalmente più fragile, mostra un netto miglioramento prospettico, con oltre il 70% delle imprese in area di sicurezza e solvibilità nel 2026. L'Automazione e Meccanica si conferma il settore più solido, con oltre l'85% delle aziende considerate sicure e solvibili. Per quanto riguarda la sostenibilità e l'esposizione ai rischi climatici e ambientali, il Gruppo Cerved, basandosi su dati pubblici, ha elaborato una serie di score che misurano l'esposizione delle aziende a rischi fisici climatici (eventi meteorologici estremi), a rischi di transizione (legati al passaggio a un'economia a zero emissioni) e all'impatto complessivo sull'ambiente.
Queste metriche indicano che circa una azienda su quattro del Made in Italy è esposta a rischio fisico alto o molto alto, una percentuale superiore alla media nazionale (una azienda su cinque). In particolare, quasi quattro aziende su dieci della filiera agroalimentare sono estremamente sensibili a tutti gli eventi che possono danneggiare gli asset produttivi e incidere sulla produzione. Il rischio di transizione, intrinsecamente legato alle attività del manifatturiero, funge da indicatore utile per identificare le aziende e i settori che dovranno investire maggiormente nella decarbonizzazione. Nel Made in Italy, l'Agroalimentare è in prima linea con il 45,2% delle aziende; la filiera zootecnica (carne e latticini) in particolare è sotto pressione crescente, poiché gli allevamenti rappresentano una quota significativa delle emissioni di gas climalteranti e richiedono grandi quantità di acqua, mangimi e suolo. Invece, solo il 7,19% delle aziende del Made in Italy presenta un rischio risorse naturali alto o molto alto, in linea con il totale manifatturiero. Un'ulteriore prospettiva sulle aziende è offerta dal rating ESG di Cerved Rating Agency, che misura l'impatto ambientale e sociale e la capacità di gestire rischi e opportunità legate ai fattori ESG.
Secondo questa metrica, oltre il 60% delle imprese del Made in Italy ottiene una valutazione eccellente, in linea con il manifatturiero. Dall'analisi dei rating ESG su un sottoinsieme di aziende, emerge che la Farmaceutica si distingue per le performance di sostenibilità. Seguono i Mezzi di trasporto, con l'80% delle imprese al livello più elevato, e l'Agroalimentare, con il 64%. Le aziende del Made in Italy dimostrano una grande attenzione verso le tematiche ESG, come evidenziato dall'alta percentuale di quelle che pubblicano volontariamente report di sostenibilità, in particolare nell'Agroalimentare (20%), nella Farmaceutica (16,2%) e nell'Arredo e Design (15,9%).

Dir. Responsabile Gigi Beltrame - Dir. Editoriale Claudio Gandolfo
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