Salute mentale al lavoro: Generazione Z non scende a compromessi, i manager sottovalutano il malessere

Salute mentale al lavoro: Generazione Z non scende a compromessi, i manager sottovalutano il malessere

Il mondo del lavoro in Italia sta attraversando una fase di profonda trasformazione, dove il benessere psicologico non è più un aspetto secondario, ma una condizione imprescindibile. Un recente studio, condotto dall’Osservatorio Mindwork – BVA Doxa per il 2025, ha rivelato dati significativi che mettono in luce un crescente divario tra la percezione dei manager e le reali esigenze dei lavoratori, soprattutto della Generazione Z. Questo solleva questioni importanti sulla salute mentale al lavoro e sulla leadership aziendale. L'indagine ha evidenziato come quasi la metà dei lavoratori e delle lavoratrici italiani, il 49% per essere precisi, sperimenti elevati livelli di stress lavoro correlato.



La situazione si fa ancora più critica per la classe dirigenziale, dove questa percentuale sale al 58%. Numeri che dipingono un quadro di tensione diffusa nelle aziende italiane. Ciononostante, è la Generazione Z a distinguersi per un livello di benessere superiore alla media dei white collar. Il 36% dei giovani impiegati gode di un benessere elevato, contro il 26% della media generale. Questa generazione, peraltro, è la più risoluta nel tutelare la propria salute psicologica. Quasi un giovane su due, il 46%, dichiara assenze dal lavoro per malessere emotivo. Oltre sei su dieci, il 61%, ha perfino lasciato un impiego perché sentiva la necessità di proteggere il proprio equilibrio mentale. Sono segnali inequivocabili di una nuova priorità che sta emergendo con forza. A completare questo quadro complesso è il fenomeno del burnout, che colpisce trasversalmente. Oltre sette lavoratori su dieci lo hanno sperimentato, con una sensazione di sfinimento diffusa nel 40% del campione. I fattori scatenanti sono spesso il sovraccarico di lavoro e, per i dirigenti, un senso di impotenza legato alle responsabilità del ruolo.


Quando il burnout si manifesta, porta a una diagnosi per un lavoratore su cinque. I giovani sono anche la categoria che impiega più tempo per recuperare: servono in media 7,6 giorni di assenza, contro i 6,2 giorni degli impiegati in generale e i 7,0 dei dirigenti. Questi dati rivelano dinamiche cruciali che si riflettono direttamente sulla leadership aziendale. Emerge un marcato distacco tra l’autopercezione dei manager e il giudizio dei loro collaboratori. Se ben l’84% dei manager ritiene di promuovere un clima di fiducia e ascolto, solo il 42% dei dipendenti riconosce effettivamente questa qualità nei propri responsabili. In modo analogo, mentre l’81% dei leader è convinto di saper riconoscere i segnali di malessere nel proprio team, questa percentuale si dimezza, arrivando al 40%, quando si considera la percezione dei collaboratori. Un tale divario, significativo, potrebbe spiegare le difficoltà dei manager nel mantenere alto l’engagement e la motivazione del team. Non a caso, un terzo dei manager, il 33%, indica proprio la capacità di motivare le persone come la sfida principale, seguita dalla gestione dei conflitti e dal mantenimento della coesione di gruppo, entrambi al 15%.


Biancamaria Cavallini, responsabile scientifica di Mindwork, ha commentato che “il quadro che emerge racconta due aspetti fondamentali: da un lato i leader tendono a darsi una valutazione più positiva di quanto non facciano i loro collaboratori, con il rischio di impattare negativamente sul livello di engagement e di benessere degli stessi; dall'altro la Generazione Z non è affatto disinteressata, ma è semmai la più attenta a condizioni di lavoro sane e significative.” Ha poi aggiunto che “sono segnali che ci ricordano come la qualità delle relazioni e la cultura organizzativa abbiano un impatto diretto e immediato sul benessere psicologico delle persone, e che le organizzazioni hanno oggi la responsabilità e la necessità di trasformare questa consapevolezza in azioni concrete in grado di produrre benessere”. Il tema dell’equità e dell’inclusione completa questo scenario. Il 49% degli impiegati percepisce la propria azienda come attenta alle pari opportunità, con picchi del 69% tra i dirigenti. Comunque, rimane critica la libertà di poter parlare apertamente del proprio disagio psicologico in azienda: solamente il 30% del campione si sente libero di farlo.


Ciononostante, l'impegno di un'azienda nella promozione del benessere psicologico ha un impatto determinante sulla retesione per il 59% del campione e su motivazione ed engagement per il 62%. Mario Alessandra, fondatore e amministratore delegato di Mindwork, ha osservato che “se li guardiamo in prospettiva, i dati ci raccontano due grandi trend: anno dopo anno la salute psicologica si afferma sempre più come un fattore imprescindibile nella vita delle organizzazioni e le nuove generazioni non hanno paura di metterla al centro delle loro scelte professionali. Allo stesso tempo, il burnout resta un tema trasversale su cui molte aziende stanno già investendo attenzione e risorse”. Ha poi concluso ribadendo che “questo dimostra come, per le organizzazioni, investire su benessere, leadership consapevole e inclusione non sia più un plus, ma una condizione necessaria per sostenere la competitività aziendale nel medio e nel lungo termine. La produttività, infatti, non potrà più prescindere dalla qualità delle relazioni umane e dalla capacità di costruire comunità di lavoro coese e inclusive”.


Questi risultati sottolineano una chiara direzione per le imprese: investire nella salute mentale al lavoro e in una leadership che sia autenticamente attenta e consapevole non è soltanto un atto etico, ma una strategia indispensabile per garantire sostenibilità e successo in un mercato del lavoro in costante evoluzione. Le nuove generazioni stanno definendo standard più elevati, e le aziende che sapranno ascoltare e agire di conseguenza saranno quelle che prospereranno.


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