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Welfare e wellbeing: le due parole chiave che portano al nuovo modello lavorativo

Soave (Hays), il 50% delle aziende li prevede già, mentre tra coloro che non hanno ancora messo in pista queste politiche, il 49% sta pianificando di introdurle in futuro

Dal welfare al wellbeing aziendale, dallo smart working agli orari di lavoro flessibili, passando per politiche retributive e previsioni sulle tendenze occupazionali dei prossimi mesi. Questi i principali temi affrontati nell'edizione 2019 della Hays Salary Guide, l'indagine annuale sull'andamento del mercato del lavoro in Italia, condotta da Hays - uno dei leader mondiali nel recruitment specializzato - coinvolgendo un campione di oltre 150 aziende e più di 600 professionisti.

Welfare e wellbeing aziendale

Seondo Carlos Manuel Soave, Managing Director Hays Italia, "Con la nuova edizione della Salary Guide, Hays ha voluto approfondire il tema del welfare aziendale, sempre più sentito dai professionisti - che sognano realtà aziendali attente ai loro bisogni - e dalle imprese, motivate dalla volontà di fidelizzare i talenti migliori. Per motivare le risorse e farle sentire più apprezzate sul lavoro, infatti, continuano a diffondersi i progetti dedicati al welfare in ufficio: il 50% delle aziende intervistate li prevede già, mentre tra coloro che non hanno ancora messo in pista queste politiche, il 49% sta pianificando di introdurle in futuro".
I servizi di welfare a cui i professionisti accedono maggiormente si concentrano nelle aree "medicina e salute" (con il 70% delle preferenze), "previdenza integrativa" (44%), "cultura e tempo libero" (41%), oltre ai "servizi per la famiglia" (31%).
Se il welfare aziendale sta ormai prendendo piede nel nostro Paese, soprattutto nelle realtà più strutturate, il wellbeing appare ancora in fase di lancio. Anche se è dimostrato che la consapevolezza che il datore di lavoro prenda a cuore il benessere psicofisico dei propri dipendenti contribuisce a motivarli, la strada da percorrere sembra essere ancora lunga. Purtroppo, solo il 17% delle imprese offre ai dipendenti servizi e corsi focalizzati sul giusto equilibrio tra mente e corpo. Tra le poche aziende pioniere, il 67% offre corsi sulla gestione dello stress lavorativo, il 47% workshop sulla corretta alimentazione, il 40% campagne di sensibilizzazione su una vita sana e attiva, oltre al 33% che propone corsi di yoga, meditazione e fitness.
La situazione non migliora, considerando il punto di vista dei lavoratori: solo la metà (47%) del campione dichiara di riuscire a usufruire dei programmi di wellbeing - quando presenti - per mancanza di tempo (47%) o per difficoltà di organizzazione (le iniziative sono programmate in orari scomodi, 7%).

Le politiche di flessibilità lavorativa

Altro dato interessante che emerge dal sondaggio riguarda il tema della flessibilità lavorativa, prevista dal 61% delle aziende intervistate, a dimostrazione della diffusione sempre più capillare di queste politiche. Le realtà aziendali coinvolte nell'indagine offrono nell'85% dei casi la possibilità di usufruire di orari di lavoro flessibili e nel 55% di praticare lo smart working, o lavoro agile. Quest'ultima modalità di lavoro sta prendendo sempre più piede grazie ai molteplici vantaggi che presenta che, per il datore di lavoro, si concretizzano indubbiamente in una riduzione dei costi di gestione degli uffici e in un aumento della produttività dei dipendenti.
E qual è l'opinione dei professionisti in merito? Quando previsto, il 69% dei lavoratori usufruisce del lavoro agile con frequenza variabile: il 38% una volta alla settimana, il 32% più giorni al mese e il 15% almeno una volta al mese. Le motivazioni che spingono i professionisti ad approfittare dello smart working sono diverse: prima fra tutte, la possibilità di ridurre tempi e costi relativi al tragitto casa-lavoro (con più della metà delle preferenze, 51%), seguita dalla possibilità di avere maggiore autonomia organizzativa (47%) e di raggiungere un equilibrio migliore fra lavoro e famiglia (32%).
I tempi non sembrano essere ancora maturi, invece, per il "discretionary time off", ovvero la possibilità di assentarsi o prendere ferie senza richiedere l'autorizzazione formale: solo il 2% delle aziende offre, infatti, questa alternativa a quadri e manager.

Competenze digital e soft skill

I professionisti italiani prestano grande attenzione alle digital skill: l'84% le ritiene fondamentali. Il digitale, infatti, è ormai una componente chiave in tutte le professioni e le aziende cercano profili sempre più formati da questo punto di vista. Ma quali sono le skill digitali più richieste nel mondo del lavoro secondo il campione? Per il 49% una delle abilità fondamentali è la capacità di comprendere e utilizzare al meglio i social media, perché è ormai certo che hanno assunto un'importanza strategica anche nei piani di sviluppo aziendali. Altre skill gettonate sono quelle relative all'analisi e gestione dei Big Data (48% delle preferenze) e le competenze in ambito digital marketing (45%).
Inoltre, i professionisti italiani puntano ad arricchire il proprio curriculum, concentrandosi sullo sviluppo delle cosiddette soft skill, ovvero tutta quella serie di competenze trasversali che permettono di affrontare con successo il mondo del lavoro e che, pertanto, sono sempre più ricercate dai recruiter. Rispetto allo scorso anno, la percentuale di professionisti che ha investito in questo ambito della formazione è passata dal 53% al 59%.

Che anno sarà il 2019?

Nonostante le novità introdotte dal Decreto Dignità, le imprese italiane sono ancora titubanti e, solo un cauto 18%, dichiara che aumenterà il livello d'investimenti nelle Risorse Umane nel corso del 2019, mentre il 71% lo manterrà stabile. La ricerca di personale da parte delle imprese si focalizzerà soprattutto su profili tecnici o di middle management (71%), figure con una breve esperienza professionale (48%), oltre a tirocinanti e apprendisti (35%). Più contenuta la richiesta di profili di top management (13%).
Ma che anno sarà il 2019 per i professionisti italiani? Tiepida la reazione alle novità introdotte del nuovo Decreto: secondo il 49% non ci saranno significativi miglioramenti per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, mentre il 44% dichiara di non saper ancora valutare l'impatto delle nuove misure varate dal Governo sull'occupazione.
Otto professionisti su 10 (82%) sostengono comunque di voler cambiare lavoro nell'arco del 2019.
Le principali ragioni? La ricerca di una maggiore soddisfazione professionale (59%), uno stipendio o una prospettiva di crescita migliori (54%), seguiti dall'esigenza di far coincidere meglio vita lavorativa e personale (anche se con una percentuale più bassa rispetto alle altre motivazioni, 22%). Fra coloro che hanno dichiarato di voler cercare alternative all'attuale situazione lavorativa, il 50% lo sta facendo da meno di 6 mesi e il 15% da meno di un anno.