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Guelpa (Intesa Sanpaolo): distretti industriali grandi eccellenze del Paese

Hanno una produttività, un tasso di innovazione e di export maggiore rispetto alle altre aziende. A partire dalle filiere della metalmeccanica e dell'agro-alimentare

Nel 2017 i distretti hanno continuato a mostrare performance di crescita del fatturato migliori rispetto alle aree non distrettuali (+4,3% a prezzi correnti vs +4%). Nel decennio 2008-17 il differenziale di crescita ha così superato i 5 punti percentuali. Nel 2018 la crescita del fatturato dei distretti è proseguita (+3,4%), seppure a ritmi più contenuti a causa della brusca frenata del ciclo economico nella seconda parte dell'anno.
La produttività del lavoro è salita nel 2017 a 56 mila euro per addetto, il 10% in più rispetto alle aree non distrettuali specializzate negli stessi settori dei distretti. I risultati sono trainati anche da numerose imprese champion che guidano con successo le filiere presenti nei territori. Sono solo alcuni dei risultati che emergono dall'undicesima edizione del Rapporto annuale che la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo dedica all'evoluzione economica e finanziaria delle imprese distrettuali.
Sul territorio italiano sono molte le aree di eccellenza distrettuale. Ordinando i distretti industriali oggetto dell'analisi per performance di crescita e reddituale, è possibile ricavare una classifica dei 20 distretti migliori. Tutte le macro-aree italiane sono presenti. Prevalgono i distretti del Nord-Est (10) e del Nord-Ovest (6). Il Centro e il Mezzogiorno sono presenti con due distretti ciascuno. Tutte le principali filiere produttive sono rappresentate, anche se emerge una prevalenza dei distretti dell'Agro-alimentare (4) e soprattutto della Metalmeccanica (12). Ai primi tre posti di questa classifica ci sono la Gomma del Sebino bergamasco, la Pelletteria e Calzature di Firenze e i Dolci di Alba e Cuneo. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Guelpa, Responsabile della Ricerca Industry & Banking di Intesa Sanpaolo.

Come si è articolata la ricerca?

Abbiamo fatto una ricerca su oltre 80mila aziende e circa 20mila riguardano i distretti industriali. Si tratta di un campione molto ampio. Abbiamo confrontato le performance di queste aziende nel corso degli ultimi anni e soprattutto siamo andati a vedere quali sono i fattori competitivi che hanno portato a queste performance. E non da ultimo, quali sono i cambiamenti in corso. La nostra industria sta cambiando molto sul fronte della tecnologia, nelle relazioni sul territorio e al di fuori di esso, visto che si guarda sempre di più all'estero e si va sempre più lontano.

Uno dei temi affrontati riguarda manifatturiero e produttività.

Il nostro Paese ha da sempre un problema di produttività complessiva. Se ci confrontiamo con la Germania, negli ultimi 20 anni, a parità di ore di lavoro, la nostra è cresciuta dello 0,4% medio all'anno, la loro dell'1,6%, quindi quattro volte tanto. Un gap accumulato anno dopo anno che diventa una cosa particolarmente complessa. Il divario che riguarda specificatamente l'industria manifatturiera è più ridotto, poiché questo comparto cresce di più dell'economia nel suo complesso.
Nei confronti della Germania c'è comunque un ritardo, dovuto anche alle maggiori dimensioni medie delle imprese tedesche e al relativo tasso di innovazione. Abbiamo uno spread su questo fronte, come quello per i titoli di stato, ma il manifatturiero si sta difendendo ancora piuttosto bene.

Passiamo ai distretti. Quali sono i vantaggi localizzativi offerti?

Da anni i distretti hanno performance migliori da vari punti di vista. Ci siamo focalizzati sul tema fatturato, che vede essenzialmente una crescita: negli ultimi 10 anni i distretti hanno avuto un incremento percentuale di cinque punti in più rispetto alle altre realtà. Non è poco. Si tratta di un differenziale positivo visto anche nel 2017, l'ultimo di cui sono disponibili i bilanci.
Il vantaggio deriva dal fatto che tutti i fattori competitivi che le imprese vincenti oggi devono mettere sul piatto, sono particolarmente presenti nei distretti. E poi queste imprese posseggono molti più brevetti, fanno più innovazione. Hanno anche molti più marchi registrati, quindi sul fronte commerciale e sulla visibilità del prodotto sono messe meglio.
Esportano di più e hanno anche più investimenti diretti all'estero, sia di tipo produttivo sia commerciale. Riescono quindi a sviluppare non soltanto il canale nazionale, ma anche quelli verso l'esterno del Paese. Non da ultimo, hanno anche un discreto vantaggio sul fronte delle certificazioni di qualità.

Innovazione e internazionalizzazione: a che punto siamo?

I distretti sono fatti essenzialmente di prossimità, di scambi tra aziende sul territorio che fanno cose simili: si discute dello stesso problema. Molte imprese sono piccole e quindi hanno una facilità di dialogo con i loro peers. L'ambito di dialogo geografico di relazioni è piuttosto ridotto.
Noi abbiamo la distanza media degli acquisti e abbiamo rilevato che nei distretti è prossima ai 100 km, che diventano 70-80 km per le imprese più piccole. Quindi ci si relaziona su territori molto ristretti e questo offre dei vantaggi, anche sul piano pratico.
Abbiamo portato avanti una serie di interviste proprio sui vantaggi di essere distretto. Una delle principali risposte era quella di trovare dei partner sulla catena del valore, dei fornitori. Ma quello che emerge maggiormente è il fatto che è fondamentale sul fronte dei fattori competitivi più importanti oggi. Questi sono, per esempio, l'internazionalizzazione (si riesce a capire meglio in quali Paesi occorre andare, e ci sono delle esperienze che vengono condivise), e l'innovazione.
Oggi con tutti i cambiamenti radicali che abbiamo, soprattutto con l'Industry 4.0, è relativamente facile acquistare un macchinario. Ma trasformarsi in un'impresa 4.0 significa cambiare radicalmente il modo di lavorare. Avere di fianco aziende che magari sono più avanti in questo processo può aiutare anche chi è più arretrato.

Avete avuto evidenze anche di skill shortage?

Quello delle competenze è diventato uno dei principali problemi del nostro Paese. Sappiamo da molti anni che abbiamo pochi laureati (siamo al 20% contro il 40% dei Paesi OCSE), ma è sempre andata così e non ci siamo mai preoccupati più di tanto.
Ora che le produzioni sono divenute più complesse, che c'è un salto tecnologico con l'Industria 4.0, il tema è diventato più importante. Abbiamo la sensazione, suffragata da nostre ed altre rilevazioni, che si tratti di un problema grosso.
Buona parte delle aziende, dentro e fuori i distretti, hanno scarsissime capacità digitali. Circa un terzo delle imprese non ha competenze digitali, oppure le ha di bassissimo livello.
Come si può risolvere il problema? Attraverso la formazione interna ed il ricorso al mercato: non ho tecnici internamente e quindi li "compro". La questione è che fuori c'è scarsissima disponibilità di tecnici. In campo squisitamente 4.0 l'80% delle aziende che abbiamo intervistato ci hanno riferito di aver difficoltà a trovare tecnici adeguati.

Voi avete indagato due nuovi distretti?

I distretti sono una figura strana, nel senso che sappiamo che esistono, in alcuni casi corrispondono all'identikit teorico: un territorio fitto di imprese con una determinata specializzazione. In altri casi si tramandano da secoli: quello di Prato risale al medioevo, mentre altri sono più recenti. Abbiamo provato a vedere se questo "modello distretto" si stesse diffondendo.
Uno dei casi più interessanti è quello della cosmetica, concentrato in particolare a sud di Milano, tra Lodi e Cremona, dove abbiamo trovato non solo un'altissima specializzazione, ma una concentrazione particolarmente elevata rispetto alla media nazionale. Inoltre, ricorrendo allo strumento che misura le distanze tra clienti e fornitori abbiamo rilevato che in questo caso le distanze medie della supply chain sono particolarmente basse, 50-60 km. Quindi l'ambito di relazioni è piuttosto chiuso e possiamo definirla come una realtà distrettuale.
Un altro caso interessante è quello della componentistica auto, che nel nostro Paese è sempre stata legata alla fornitura del Gruppo Fiat. I fornitori di un unico committente normalmente non rappresentano una realtà distrettuale. Con il ridimensionamento dell'attività di Fiat in Italia, queste imprese hanno scoperto i mercati esteri e la natura della loro attività in qualche modo è cambiata, diventando più distrettuali di ciò che erano in passato. Molte sono concentrate ovviamente intorno a Torino, ma ci sono alcuni territori che si sono focalizzati su componenti specifici, Brescia in particolare.