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Beffy (Exane BNP Paribas): populismo rischio politico per gli investitori

Europa ed euro tra scadenze elettorali e Brexit, Usa alle prese con le Trumponomics e il ritorno dell'inflazione

Sono molti i momenti di possibili sliding doors cui assisteremo a livello internazionale quest'anno e non sono moltissime le certezze cui aggrapparsi. Però, è possibile fare alcune considerazioni su cui ragionare per comprendere meglio i mercati. Ne  abbiamo parlato con Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane BNP Paribas.

Elezioni in Francia e Germania: come possono cambiare gli scenari nell'eurozona e nella UE?

Dopo i sorprendenti risultati del referendum britannico e delle elezioni americane, gli investitori guardano, con ancora più attenzione, al rischio politico. E ciò è ancora più vero in un anno come il 2017 in cui calendario elettorale in Europa è molto fitto. In generale, crediamo che le elezioni europee avranno, nel peggiore dei casi, degli effetti neutrali e in alcuni casi addirittura positivi.
Per quanto riguarda la situazione in Francia, non vi è un'elevata visibilità sul possibile esito elettorale. Appare certo che il popolo francese vuole un grande cambiamento. Quello che è più incerto è la direzione che prenderà questo cambiamento. Nonostante ciò, rimaniamo positivi sull'esito delle elezioni presidenziali francesi. In particolare, continuiamo a ritenere che una vittoria della candidata di estrema destra Marine Le Pen sia poco probabile: le servirebbero tra i 17mln e i 18mln di voti per essere eletta al secondo round, ma il massimo numero di voti raggiunto dal Front National è stato 6,8mln! In seguito al crollo di Fillon nei sondaggi, il rischio crescente per i mercati è stato che il candidato socialista Hamon (che ha un programma molto di sinistra) raggiunga il secondo round delle presidenziali con Marine Le Pen. Tuttavia l'alleanza offerta da Bayrou a Macron la scorsa settimana sembra ridurre tale rischio e permette a Macron di prendere piede nei sondaggi. La sua presa sull'elettorato dipenderà dal suo programma, di cui sappiamo i primi dettagli, e dalla strategia di comunicazione utilizzata. Nonostante permanga l'incertezza, il rischio sulle elezioni francesi è, secondo noi, molto basso dato che la maggioranza del Paese non vuole che il Front National salga al potere. In ogni caso aspettiamo marzo per avere una 'view' più chiara su cosa potrebbe accadere nel primo turno delle elezioni del 23 aprile.
Le elezioni in Germania sono un evento importante del 2017. Tuttavia, in questo caso, il rischio è minore rispetto agli altri appuntamenti politici dell'anno. Sebbene il supporto per la Merkel abbia registrato un calo a partire dalla crisi dei rifugiati, il CDU e il CSU mantengono la maggioranza sui sondaggi anche se il partito Social Democratico sta raccogliendo sempre più consensi. Alla luce di ciò, ci attendiamo la formazione di una nuova grande coalizione dopo le elezioni.

Come vede il 2017 per l'Italia?

Nel breve periodo la posizione macroeconomica dell'Italia, da un punto di vista ciclico, è relativamente favorevole. La crescita dell'occupazione è abbastanza robusta e l'economia sta crescendo, anche se più lentamente rispetto alle altre grandi economie dell'Eurozona. Ma al di là di questa ripresa congiunturale, resa possibile da una politica monetaria accomodante e dal deprezzamento dell'euro, è indubbio che il Bel Paese debba ancora migliorare la propria posizione competitiva rispetto altre economie dell'area. Tale processo sarebbe facilitato notevolmente da un governo stabile ed efficace. Ma la politica rappresenta, nel medio termine, il principale problema per l'Italia.
La recente decisione della Corte Costituzionale sulla modifica dell'esistente legge elettorale apre la porta ad elezioni anticipate entro l'anno. Sebbene le tempistiche siano incerte, e il consensus scommette sulle elezioni in autunno, tuttavia non ci sentiamo di escludere giugno come possibile mese. Il nuovo sistema elettorale dovrebbe portare ad un risultato molto proporzionale e nessun partito potrebbe essere in grado di raggiungere il 40% necessario per avere la maggioranza assoluta. Questo significa che un governo M5S è poco probabile. Ma un governo debole e fragile vorrebbe anche dire difficoltà nell'implementare nuove riforme.
Al di là del risultato elettorale, riteniamo che vi siano diversi motivi per mantenere una posizione prudente sull'Italia. Come è stato il caso per la maggior parte del periodo del dopoguerra, l'Italia può trovarsi con governi relativamente deboli. Ed i governi di breve durata non sono auspicabili quando ci si attende una continuità sull'agenda delle riforme. Sebbene il paese abbia compiuto numerosi progressi, come la riforma del mercato del lavoro, è sempre più sentita l'esigenza di una riforma giudiziaria nonché di riforme strutturali nel settore dei servizi.
Alla luce di tali fattori, è difficile, dunque, stimare come possa evolversi la situazione nel medio termine. Non escludiamo un'altra fase di stress, attraverso un aumento degli oneri finanziari, fase che dovrebbe mettere l'Italia sotto pressione e spingerla a continuare sulla strada delle riforme mettendo, nel contempo, ordine nei conti del Paese. Inoltre, una debole crescita del PIL nominale potrebbe favorire l'ascesa del populismo, sulla scia di quanto sta avvenendo in Europa.

La situazione in Grecia non è più sostenibile, lo ammette anche l'IMF. Può esser l'inizio della fine dell'euro?

Da tempo, la situazione in Grecia non occupava più la prima pagina dei giornali. E gli investitori pensano che vi sia qualcosa sotto.
In realtà a gennaio, i membri del board del MES e dell'FESF, hanno adottato alcune regole che permettono l'implementazione di un alleggerimento del debito a breve termine in Grecia. Questo dovrebbe portare ad una riduzione del quoziente debito pubblico-PIL del Paese di 20bp entro il 2020.
Tuttavia, tale calo non sarà sufficiente e i crescenti timori sulle divergenze tra il governo greco e i membri dell'UE, come già successo, metteranno sotto pressione il mercato obbligazionario ellenico, alimentando le speculazioni su possibili elezioni anticipate.
Dato che i principali paesi europei sono chiamati alle urne quest'anno, penso che nessuno voglia aggiungere una nuova scadenza politica in calendario! In conclusione, vorrei sottolineare che l'esempio greco mostra che ci vorrà molto tempo prima che i Paesi europei possano avere una strategia coerente a livello europeo.

L'ascesa di Trump sembra aver messo le ali all'S&P, che ha superato quota 20k. Non esistono però crescite infinite: c'è il pericolo di una bolla negli USA o il rally durerà a lungo?

L'economia americana ha registrato un ritmo di crescita annualizzato del 2,5%-3% nel secondo semestre del 2016, grazie ad un'inversione di tendenza nel ratio investimento/scorte e al trend dei consumi che si è mantenuto sostenuto. Allo stadio attuale vediamo due possibili fattori contrari per i prossimi trimestri: condizioni finanziarie più rigorose a causa dell'aumento dei rendimenti obbligazionari e del dollaro, e rincaro del petrolio. A parità di condizioni, le condizioni finanziarie dovrebbero pesare 30bp sulla crescita annua, con un impatto negativo di 50bp risultante dai rendimenti più elevati e 50bp da un dollaro più forte compensato da un miglioramento nel mercato del credito e delle condizioni bancarie. Il rialzo del prezzo del petrolio dovrebbe abbassare ulteriormente la crescita di 50bp.
Sul fronte fiscale, Donald Trump ha promesso sgravi fiscali e investimenti in infrastrutture. Sebbene l'ammontare e la natura del suo piano siano ancora incerti, gli elementi dovrebbero almeno garantire che il ciclo di crescita americano si protragga fino al 2019. Le stime sull'efficacia della politica fiscale sulla crescita complessiva - il noto moltiplicatore fiscale - suggeriscono che in genere le misure fiscali sono più efficaci quando vi è una capacità inutilizzata nel settore privato che può essere sfruttata attraverso interventi pubblici. Dato che il tasso di disoccupazione è leggermente inferiore al 5% e che l'output gap è probabilmente modesto, non ci troviamo sicuramente in una situazione di tal tipo negli Stati Uniti. Per tal motivo riteniamo che la manovra fiscale del Presidente Trump possa avere un impatto minore sulla crescita degli Stati Uniti rispetto a quanto avvenuto in passato.
In particolare, dato che lo stimolo fiscale verrà implementato non prima della seconda metà dell'anno, ci aspettiamo una crescita USA inferiore al 2% nel Q2. Mentre ci aspettiamo un rimbalzo degli investimenti, trend che dovrebbe essere limitato al 3,0% - 3,5% annualizzato. In questa fase del ciclo economico, la redditività aziendale rimane, dunque, sotto pressione, mentre i costi non legati al lavoro dovrebbero aumentare a causa del rialzo dei rendimenti dei rendimenti e del petrolio.
Per quanto riguarda i mercati, va evidenziato che il consensus è più bull sulle prospettive dell'economia americana in parte perché si aspetta un supporto fiscale. Secondo i nostri calcoli, un'implementazione del piano fiscale di Trump farebbe aumentare i profitti al netto delle imposte di circa il 17%.

Ci sono probabilità che le Trumponomics abbiamo qualche successo o il protezionismo voluto da Trump porterà a una guerra commerciale globale?

A seguito delle prime nomine di Trump, vi è il rischio che prevalga una politica fiscale più conservativa, un programma più nazionalista del previsto sul commercio e un chiaro trend di deregolamentazione. La riforma sulla tassazione societaria ha già dato via ad un vivace dibattito. In questo campo vi sono molte incognite: l'entità del taglio fiscale, maggiori precisioni sulla deducibilità degli interessi e la possibilità di implementare "l'aggiustamento della tassa societaria per il rientro dei capitali" che potrebbe portare ad una svalutazione a livello fiscale negli Stati Uniti.
Nonostante ciò, Trump fino ad ora ha raccolto solamente consensi positivi. Trump è, infatti, visto come un grande negoziatore e un presidente pro-business. Questo potrebbe essere un punto molto favorevole. Ma, come dimostrato dal mandato di Abe in Giappone, un aumento della fiducia non sempre si traduce in risultati a livello economico!

Brexit: finora ha portato solo risultati positivi in UK. E per il futuro?

Di fronte ad un'economia britannica più resistente rispetto alle stime (la crescita britannica dovrebbe essere superiore delle stime quest'anno), il Primo Ministro May sta accelerando l'agenda relativa alla Brexit.
A prescindere dalla data in cui verrà attivato l'articolo 50, siamo scettici sulla visibilità effettiva che potrebbe aversi l'anno prossimo. I player coinvolti nelle negoziazioni sono, infatti, numerosi. Senza contare la natura stessa dei negoziati secondo cui "nulla è deciso fino a quando non si decide tutto". Gli elementi su cui focalizzarsi con attenzione riguardano i dettagli del piano che il Regno Unito presenterà al Parlamento Europeo, l'atteggiamento del Regno Unito e dell'UE sulla volontà di trovare un accordo transitorio e la leva che il Regno Unito può utilizzare. In un'Europa sotto pressione da un lato a causa dell'America di Trump e dall'altro della Russia di Putin, il ruolo del Regno Unito come ponte con l'amministrazione USA può essere utilizzato a suo vantaggio dalla penisola britannica.

Il rialzo dell'inflazione renderà le banche centrali più aggressive?

L'inflazione sarà uno dei temi più caldi del 2017. In primis, alcuni si preoccupano del fatto che il consensus stia sottostimando l'inflazione alla luce dell'eterogeneità degli ultimi dati come l'indice dei prezzi al consumo tedesco, i livelli dell'indice ISM o delle esportazioni cinesi. Un secondo dibattito potrà riguardare la natura dell'inflazione. A nostro parere stiamo attraversando un ciclo che non permette un aumento strutturale dell'inflazione. La sovra-capacità cinese non è, ad esempio, improvvisamente sparita. Infine, il terzo punto che alimenterà il dibattito sarà l'impatto dell'inflazione, cioè se ci troviamo di fronte ad un'inflazione positiva o negativa. Il minor rischio di uno scenario con deflazione è sicuramente positivo dopo i recenti timori in merito ad una stagnazione secolare. Tuttavia, alcune società dovranno far fronte a costi di produzione più alti, con conseguente calo della redditività.
Al di là della view ciclica a breve termine, una delle domande principali riguarda il comportamento delle banche centrali a fronte di un'inflazione più elevata. Siamo stati abituati a banche centrali particolarmente accomodanti negli ultimi anni. Ogni volta che la crescita o l'inflazione sono state a rischio, la FED e la BCE hanno optato per un approccio accomodante. Anche quest'anno potremmo assistere alla stessa reazione. Ma il rischio di deflazione è nettamente diminuito nell'attuale contesto di reflazione. Per tal motivo, ci troviamo in un contesto nuovo e alcuni investitori temono un approccio più aggressivo da parte delle banche centrali.
A nostro parere, la Fed dovrebbe accelerare la stretta monetaria nel momento in cui ci sarà maggiore visibilità sui piani fiscali che Trump vorrà adottare (nel secondo trimestre). Per tal motivo riteniamo che il mercato abbia ragione nell'aspettarsi 3 rialzi di tassi nel 2017 (rialzi trimestrali a partire da giugno).
Mentre per quanto riguarda la Banca Centrale Europea, la BCE è riuscita a guadagnare tempo, prolungando il QE fino alla fine dell'anno ma l'approccio di Draghi potrebbe cambiare verso metà anno.
Tuttavia, non crediamo che il tasso d'interesse reale di equilibrio delle banche centrali sia aumentato. Le sovracapacità globali, il livello d'indebitamento globale e i "cambiamenti" tecnologici non sembrano ancora indicare un cambio strutturale del regime economico globale.