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_Aprile2013

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Brands e social media: un rapporto in continua evoluzione

Aroldi (OssCom): Analizzando il segmento Fashion – Luxury & Haute Couture abbiamo rilevato come le aziende utilizzano i social network per fare marketing e comunicazione d’impresa

Brand e Social Network, un rapporto in continua evoluzione che rispecchia le dinamiche del marketing ma anche dei cambiamenti che avvengono nei comportamenti degli utenti-consumatori. Un rapporto che si articola in diverse forme di strategie comunicazione e di coinvolgimento, con conseguenti risposte, che variano a seconda del settore. Quello “Fashion – Luxury & Haute Couture” apre la seconda edizione dell’Osservatorio Brands & Social Media realizzato da Digital PR e OssCom - Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica. Sui risultati della ricerca - condotta da Piermarco Aroldi (Professore Associato di Sociologia della Comunicazione dell’Università Cattolica e Direttore di OssCom), Nicoletta Vittadini (Professore Associato di Sociologia della Comunicazione dell’Università Cattolica e Senior Research OssCom), Elisabetta Locatelli (Dottore di ricerca e Junior Research OssCom), e Andrea Cuman (Dottore di ricerca, Junior Research OssCom) - abbiamo intervistato alcuni dei protagonisti.

 


Brands e social media: il punto sul mercato Italiano
Piermarco Aroldi
Brands e Social Media è un’iniziativa di ricerca promossa da OssCom, Centro di ricerca sulla comunicazione dell’Università Cattolica, volta a monitorare come i social media (SM) vengono utilizzati per fare marketing e comunicazione di impresa. In questa seconda edizione abbiamo introdotto alcune novità, soprattutto a carattere metodologico, in modo da coprire un maggior numero di social media. Oltre ai classici Facebook e Twitter sono stati introdotti Google+ Instagram, Tumblr, App e Pinterest, oltre ad altri SM più vocati a contenuti visivi in aggiunta a YouTube, che era già previsto nella prima edizione. Sono stati sviluppati più di 60 indicatori a carattere quantitativo. Molti sono quelli tradizionali che misurano le performance dei SNSs, altri misurano la partecipazione e l’engagement degli utenti e dei fans. In questa nuova edizione sono stati introdotti indicatori anche a carattere qualitativo, che consentono di avere un inside più preciso del sentiment sviluppato sia sul versante della produzione, sia su quello del consumo.


Il primo rapporto di questa seconda edizione è dedicato al settore “Fashion – Luxury & Haute Couture”. Leader della classifica è Burberry, seguito da Dior e Dolce & Gabbana. Il risultato di Burberry deriva dall’uso intensivo dei social media dal punto di vista dei contenuti, incentrati sulle caratteristiche distintive del brand: prodotti di punta, come il trench, o tratti caratterizzanti, come l’inglesità, in grado di catalizzare l’attenzione degli utenti sulle diverse piattaforme. Alle spalle del podio si sono classificati nell’ordine: Gucci, Giorgio Armani, Chanel, Luois Vuitton, Versace, Ermenegildo Zegna, Valentino, Prada, Fendi, Salvatore Ferragamo ed Hermès.
Burberry è al primo posto per fan su Facebook (14.766.816), seguito da Louis Vuitton e Dior. Quest’ultimo è in testa nei follower su Twitter (1.628.419), sopravanzando Burberry e Chanel, che invece è leader negli iscritti al proprio canale su YouTube (67.125), davanti a Burberry e Dior.

Come avete selezionato le 14 aziende Fashion?
Nicoletta Vittadini
Quest’anno il primo report dell’Osservatorio è dedicato al Fashion.

In particolare ci siamo concentrati sui fashion brand di fascia alta, ossia quelle imprese, costituite per la maggior parte dalle case di moda, dell’haute couture o del lusso. I brand presi in considerazione sono: Giorgio Armani, Burberry, Chanel, Dior, Dolce & Gabbana, Fendi, Salvatore Ferragamo, Gucci, Hermès, Prada, Valentino, Versace, Louis Vuitton, Ermenegildo Zegna.
Il campione è stato definito con il criterio di saturazione attraverso il confronto di classifiche internazionali sul brand value.
Si tratta di un settore sicuramente molto attivo e molto interessante. I brand considerati sono tutti attivi nella comunicazione social. La presenza sui social network (SN) più diffusi (Facebook) costituisce un’attività ormai acquisita all’interno delle strategie di comunicazione. I brand dell’haute couture o del lusso sono, però anche caratterizzati da una verve sperimentale, per cui stanno comunicando anche attraverso i SN più innovativi o comunque di più recente diffusione all’interno del mercato italiano, come Pinterest. E’ sicuramente un settore caratterizzato dalla prevalenza della dimensione visiva, sia nella scelta dei SN da utilizzare sia nel tipo di contenuti che vengono proposti.


Uno degli elementi caratterizzanti questo settore è proprio l’attenzione alla dimensione visual. Contemporaneamente è un settore in cui i brand sono molto conosciuti e sono oggetto di una affezione particolare da parte di chi frequenta i loro spazi social. La comunicazione, anche attraverso i SN, si avvale di una capacità di engagement che non è tanto data da forme di comunicazione bidirezionale con gli utenti dei social media, quanto dalla loro aggregazione all’interno di luoghi in cui si possano riconoscere come parte della comunità di utenti/fan del brand. La comunicazione social di questi brand è quindi caratterizzata dalla diffusione – da parte dei brand -di contenuti che generano adesione e affezione più che conversazioni o forme di customer care, che invece caratterizzano altri settori. Il fashion è quindi un comparto che sperimenta, dal forte impatto visivo, e che usa i SN come aggregatore di comunità di utenti/fan dei prodotti.

Quali sono le maggiori differenze con il primo Osservatorio?
Dal punto di vista dei risultati possiamo fare un confronto tra i risultati della prima annualità e il settore del fashion, il primo segmento analizzato.


Il primo Osservatorio ha già dato un quadro. Una presenza significativa caratterizzata dal consolidamento della piattaforma Facebook affiancata dall’emergere dell’uso di Twitter e di Youtube come canali di comunicazione aziendale. La centralità di Facebook si riconferma anche nel comparto del fashion che però è caratterizzato da una maggiore diversificazione delle piattaforme utilizzate per le strategie di comunicazione social e l’attenzione alla circolazione cross-platform dei contenuti. La maggiore diversificazione delle piattaforme implica anche una costante innovazione dei linguaggi della comunicazione poiché ogni piattaforma ha caratteristiche comunicative diverse e, quindi, affrontare i nuovi spazi social frutto della costante innovazione tecnologica significa anche saper sperimentare nuovi linguaggi. La diversificazione e la capacità di innovare le strategie sono sicuramente un tratto che caratterizza le aziende che quest’anno stanno consolidando la loro presenza sui SN, rispetto alla prima annualità che registrava l’affermarsi di alcuni SN dominanti e un approccio consolidato attorno ad alcuni luoghi molto forti.


Dalla prima annualità sono emersi alcuni stili di utilizzo dei SN, che comprendono: l’uso dei SN come un canale che potremmo definire di “broadcasting”, per una comunicazione finalizzata a informare, comunicare, tenere aggiornati i propri utenti. L’uso dei SN come strumento di conversazione e di cura del cliente (customer–care) e l’uso dei SN come strumento di creazione di conversazioni finalizzate a moltiplicare il valore del brand tra i suoi propri utenti. Ci sono poi ancora brand e settori che adottano stili di presenza più timidi che caratterizzano la fase di avvio dell’utilizzo dei SN. Questi stili costituiscono il punto di partenza a partire dal quale, soprattutto le aziende che maggiormente investono nei SN, stanno portando avanti o innovando le proprie strategie di comunicazione social.

Quali sono i diversi approcci dei brand ai social media?
Elisabetta Locatelli
Durante la prima edizione dell’Osservatorio abbiamo avuto l’occasione di ripercorrere le strategie che avevamo individuato nelle 108 aziende che avevamo analizzato e abbiamo identificato alcuni stili esemplificativi di alcune tendenze.


Ci sono dei brand che sono molto attivi nell’engagement, li abbiamo denominati “engagers”, ovvero hanno dei tassi di risposta molto elevati rispetto agli aggiornamenti che vengono pubblicati sui loro profili o pagine. Questo significa che riescono ad instaurare dei legami molto diretti con i loro utenti-clienti sotto diverse forme: possiamo avere la pagina che viene aggiornata con delle promozioni o offerte specifiche riservate, per esempio, ai fan di Facebook, o dei contenuti riservati ai propri utenti delle piattaforme social. In altri casi possiamo avere un customer service, un contatto che risponde a bisogni informativi o di assistenza. Un secondo stile comunicato rilevato è quello dei “broadcaster”, coloro che privilegiano l’aspetto informativo, che tendono ad aggiornare molto puntualmente i propri utenti con contenuti. Abbiamo avuto diversi esempi di questo stile proprio nel report sul settore fashion. Infine, abbiamo quelli che noi abbiamo definito i “trascinatori”, ovvero quelli che riescono a capitalizzare sui SN una grandissima attenzione o affetto da parte dei propri fan, e quindi sono i brand che hanno alle spalle community pregresse.


Pensiamo al mondo della tecnologia, dell’automotive piuttosto che della casa. Quindi tutto quello che riesce ad attirare l’attenzione degli utenti, che si riversa in “like”, commenti o discussioni che vengono generate nelle pagine. Rispetto al report di quest’anno abbiamo registrato che i brand del fashion attirano moltissimo l’attenzione, che hanno un margine aspirazionale molto elevato, proprio anche grazie alle strategie di comunicazione offline che hanno attuato e continuano ad attuare, molto frequentemente in sinergia con la comunicazione social.
Abbiamo rilevato una comunicazione che agisce su diversi livelli: il primo è la centralità del prodotto (la nuova collezione, il lancio particolare effettuato durante un particolare periodo dell’anno). Il secondo intreccia la comunicazione legata al prodotto con l’attenzione alla costruzione del mito, e queste sono soprattutto le maison che hanno una storia davvero legata al proprio fondatore con una filosofia molto riconoscibile. Oppure, il terzo livello, abbiamo altri brand che cercano di declinare dal punto di vista del lifestyle, e quindi cercano di inserirsi proprio nel contesto, nel tessuto quotidiano degli utenti attraverso i loro prodotti.




Esistono differenze tra l’Italia e la situazione internazionale?
Le differenze esistono. Nel nostro primo Osservatorio ci siamo focalizzati principalmente su un contesto italiano. Le differenze sono sul tipo di consumo, ovvero la tipologia di utenti che abbiamo in Italia rispetto a quelli che sono legati a fattori strutturali quali la diffusione di internet o di tipologia di Social Media che possono essere diversi dai nostri. Dall’altra parte ci possono essere diversità strutturali legate alle caratteristiche del mercato, ai brand e alle loro strategie di comunicazione generali. Per esempio, entrando nel dettaglio, abbiamo notato una centralità di Facebook all’interno delle strategie italiane, che deriva probabilmente dal particolare legame che hanno gli utenti con questo SN. In altri stati abbiamo notato nel fashion aziende che utilizzano, oltre ai SN più diffusi in Europa, anche altre piattaforme legate a specifici contesti, come in Cina o in Russia, che sono mercati importanti per questi brand.
Rispetto al settore del fashion, abbiamo notato un discostamento particolare rispetto a quanto rilevato nel primo osservatorio nella tendenza ad utilizzare non tanto profili localizzati sui singoli Paesi o sulle singole lingue, ma profili internazionali, ovvero che siano destinati a tutto il mondo, ben riconoscibili, con il marchio di ufficialità ben preciso, e generalmente alimentati in lingua inglese.


Abbiamo quindi la scelta dell’inglese come lingua comune con cui però gli utenti in realtà interagiscono con la propria lingua d’origine: italiano, spagnolo, russo ecc. in modo molto attivo.

Esistono best practice per approcciare la comunicazione social?
Nicoletta Vittadini
La vera best practice è adattare la comunicazione social alle esigenze della propria azienda, alla tipologia di prodotto che si produce, distribuisce o commercializza, e alla tipologia di clienti che si hanno. La nostra esperienza con l’Osservatorio ci ha permesso di evidenziare come le strategie più efficaci, quelle vincenti, sono quelle che hanno saputo scegliere quali Social Media utilizzare, e adeguare la comunicazione alle caratteristiche dei propri utenti e dei prodotti o dei servizi commercializzati. Le strategie vincenti sono quelle che hanno saputo valorizzare, attraverso i SN le caratteristiche specifiche della relazione già esistente tra il proprio brand e i propri clienti. E’ inutile investire su YouTube se la dimensione visiva non è significativa per il prodotto che si commercializza. Così come è inutile investire sul customer-care se si commercializza un prodotto per il quale la “cura” al cliente non costituisce l’elemento cruciale di engagement.


Il customer-care può svolgersi anche atraverso altri canali, perchè è sicuramente importante per tutti. Ma la strategia vincente è quella che non assume come dato di fatto che “adesso va di moda YouTube e quindi tutti bisogna esserci”. YouTube è certamente una piattaforma molto interessante, che affianca Facebook all’interno delle strategie delle aziende, o Twitter, che sta progressivamente diventando una piattaforma consolidata per la comunicazione di brand. Ma non ha senso sforzarsi di aprire un canale su YouTube se la dimensione visual non è cruciale e se l’engagement attraverso il video non è determinante per il proprio brand. E’ certamente vincente diversificare la comunicazione attraverso differenti piattaforme, selezionando quelle più pertinenti alla strategia di relazione già esistente con i propri clienti. E, soprattutto, la strategia vincente è quella che sa diversificare i linguaggi e i contenuti: lo stesso contenuto distribuito attraverso diversi social media non è una scelta efficace. Così come lo stesso stile comunicativo moltiplicato attraverso tutti i SN. Le imprese che hanno ottenuti i risultati migliori sono quelle che hanno saputo valorizzare la specificità del singolo SN per costruire un diverso livello di engagement con i loro interlocutori.


Sono quindi necessarie strategie comunicative diversificate per tipologia dei contenuti e forme della relazione con il cliente a seconda della piattaforma utilizzata e delle sue caratteristiche. Così si costruisce una comunicazione integrata, dove l’integrazione è data dal fatto che ogni piattaforma fa un “pezzettino” della relazione con il cliente.

I social media sono diversi e con linguaggi diversi. Come si articola una strategia integrata vincente/efficace?
E’ importante considerare che ogni SN è uno spazio sociale diverso. Non bisogna mai dimenticare che i SN sono dei luoghi, in cui le persone interagiscono secondo modalità e strategie specifiche. Bisogna considerare che le piattaforme sono in costante evoluzione e vanno sempre monitorate. Twitter è al momento uno spazio di grande circolazione di informazioni. Facebook è uno spazio di aggregazione, di espressione dei propri gusti, delle proprie preferenze, di riconoscimento reciproco di chi ha gli stessi gusti, e quindi uno spazio comunitario. YouTube è una piattaforma molto utile, però va considerato che è un archivio, un repertorio di contenuti.


Quindi i contenuti distribuiti attraverso YouTube hanno, dal punto di vista degli utenti, un destino: quello di essere rimessi in circolazione. Sono il luogo da cui si attinge per vedere i video, e per rimetterli in circolazione all’interno delle altre piattaforme o di circuiti virali. Pinterest è un repertorio di immagini e un repertorio di rappresentazioni iconiche che le persone utilizzano per esprimere i propri gusti e preferenze. Bisogna quindi entrare all’interno di questi spazi mettendosi in sintonia con quelle che sono le attività che le persone vi svolgono. Se lo spazio viene utilizzato per rimettere in circolazione dei contenuti è inutile mettere a disposizione dei contenuti che non si prestano ad essere rimessi in circolazione, oppure diffondere contenuti che una volta rimessi in circolazione non accrescano il valore del brand. E’ inutile cercare di costruire una aggregazione attorno ai gusti attraverso Twitter, perché il luogo più adatto per questa attività è Facebook o piuttosto Pinterest.
Quindi una strategia efficace è quella che sa valorizzare la relazione che il brand ha già con il suo pubblico e, contemporaneamente, ciò che le persone fanno all’interno delle diverse piattaforme.


E’ vincente una strategia che sa interagire con le attività che gli utenti svolgono sui SN. Dal mettere il “like” fino ad attività più complesse che vanno valutate di volta in volta.

Quali sono le maggiori difficoltà concettuali per le aziende nello sbarco sui Social Media?
La prima grande resistenza è il timore di perdere il controllo della comunicazione. Da qui derivano tutte le altre. Poiché entrare in un SN sia per una persona, sia per un brand, significa accettare che la propria immagine, la propria identità è costruita in collaborazione con altri. Significa accettare che quello che viene diffuso attraverso un social network diventa di proprietà anche di altri. Per un brand significa accettare di condividere il controllo sulla propria comunicazione con altri. Questo non significa necessariamente che usare i SN generi dei boomerang comunicativi, degli “epic-fail”, ma che la comunicazione attraverso i social network esige un costante controllo, intervento, negoziazione anche nel caso in cui ci si trovi di fronte a situazioni di crisi. Le crisi possono diventare una risorsa, possono essere incorporate (se gestite adeguatamente) e diventare parte della comunicazione dell’azienda.








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