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21/12/2022

economia

La recessione nel 2023 è inevitabile, ma il rischio maggiore è la stagflazione

Marco Barindelli (Natixis IM): il 2023 sarà l'anno in cui da una parte il mercato riconoscerà nuovamente il valore intrinseco delle società e, di conseguenza, i relativi prezzi; dall'altra si tornerà a guardare con attenzione al reddito fisso

Secondo i risultati del nuovo sondaggio di Natixis Investment Managers, gli investitori istituzionali a livello globale si approcciano al 2023 con una visione sommessa dell'economia e prospettive contrastanti per i mercati, con aspettative di tassi d'interesse, inflazione e volatilità ancora più elevati per il prossimo anno. La stragrande maggioranza dei partecipanti (85%) ritiene sia già in atto una recessione, o che comunque si manifesterà l'anno prossimo, mentre il 54% ritiene che sarà addirittura necessaria per tenere sotto controllo l'inflazione

Gli istituzionali individuano negli errori delle banche centrali una delle maggiori minacce per l'economia. Ma la maggior parte (65%) afferma che il rischio di recessione, un risultato probabile della politica delle banche centrali, impallidisce di fronte al rischio di stagflazione, ovvero un periodo di crescita negativa del Pil con inflazione radicata e disoccupazione in crescita.
Ma non tutte le notizie relative all'inflazione sono negative. Date le prospettive che i banchieri centrali continuino a combattere l'inflazione con rialzi dei tassi nel nuovo anno, sette investitori istituzionali su dieci (72%) ritengono che l'aumento dei tassi favorirà una ripresa degli investimenti tradizionali a reddito fisso, mentre il 56% è ottimista sui mercati obbligazionari nel 2023.


"Nonostante i forti venti contrari e le possibili perturbazioni all'orizzone, gli istituzionali sono rialzisti sulla maggior parte delle asset class e vedono una crescita opportunistica per i gestori attivi", ha dichiarato Marco Barindelli, Responsabile per l'Italia di Natixis Investment Managers. E ha aggiunto: "Dopo un decennio di impennate dei prezzi delle azioni alimentate dai bassi tassi d'interesse, il 2023 sarà l'anno in cui da una parte il mercato riconoscerà nuovamente il valore intrinseco delle società e, di conseguenza, i relativi prezzi; dall'altra si tornerà a guardare con attenzione al reddito fisso".

Outlook 2023: mercati più bullish che bearish, di certo più volatilità


Mentre l'inflazione e i tassi d'interesse sono le due principali preoccupazioni degli investitori istituzionali quando si parla di rischi di portafoglio, il 57% degli intervistati individua nella guerra la principale minaccia economica globale, un sentiment ancora più forte in Europa (68%). Anche il deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina è considerato una delle principali minacce, una preoccupazione menzionata dal 47% degli istituzionali in Asia e dal 53% negli Stati Uniti dopo le elezioni midterm, in aumento rispetto al dato rilevato prima dell'ultima tornata elettorale (25%).

In definitiva, il 65% degli investitori istituzionali a livello globale ritiene che le ambizioni geopolitiche di Pechino porteranno a una biforcazione dell'economia globale in un ordine globale con due poli, con la Cina e gli Stati Uniti a rappresentare le maggiori sfere di influenza.
Gli istituzionali sono divisi su quale sarà l'esito della politica sulla performance economica: il 53% prevede un cosiddetto atterraggio sicuro mentre il 47% immagina quello che viene definito come atterraggio brusco. Il 69% concorda sul fatto che le valutazioni non riflettono ancora i fondamentali, ma il 72% ritiene che i mercati si renderanno finalmente conto di quanto siano importanti le valutazioni.
Il 60% ritiene che le large cap faranno meglio dei titoli a minore capitalizzazione e che la sovraperformance verrà soprattutto dai settori healthcare, energetico e finanziario. Gli investitori istituzionali ritengono inoltre che settori quali i consumi discrezionali (42%) e real estate (47%) abbiano maggiori probabilità di registrare performance deboli, poiché nel 2023 si assisterà a un aumento dei tassi e a un calo dei prezzi delle abitazioni.
Gli investitori sono nel complesso rialzisti sul private equity (62%) e sul mercato obbligazionario (56%), mentre sono più cauti - suddivisi tra rialzisti e ribassisti - quando si parla di mercati azionari e private debt.


Sono invece per lo più ribassisti sul settore immobiliare commerciale (82%), con il 61% che concorda su un fatto: la continua prevalenza del lavoro a distanza comporterà un forte deprezzamento degli asset immobiliari commerciali.
Con il rinnovato interesse per il mondo obbligazionario e la graduale riduzione dei programmi di acquisto da parte delle Banche centrali, la liquidità sta diventando un problema. Il numero di investitori istituzionali che indica questo tema come uno dei maggiori rischi per il portafoglio per il 2023 è quasi triplicato, passando dal 13% di un anno fa al 36% dell'ultima rilevazione.

Generare ritorni nel 2023: gli investitori guardano a ESG e alternativi


Sebbene non si preveda che le prospettive macroeconomiche possano determinare cambiamenti radicali nelle strategie di allocazione, dal sondaggio emerge come il 53% dei più grandi e sofisticati investitori al mondo stia attivamente riducendo il rischio in portafoglio con movimenti tattici di allocazione che rivelano uno spostamento verso la qualità nell'ambito del reddito fisso e le strategie alternative per ottenere rendimenti più elevati, ritorni stabili e una copertura contro i rischi al ribasso.


Nell'ambito di questo cambiamento, il 62% del campione ritiene si possa trovare alfa nell'universo ESG, con una quota del 59% che sta programmando un incremento degli investimenti sostenibili.
La metà di coloro che possiedono green bond a livello globale prevede di aumentare i propri investimenti, mentre una quota simile pensa di mantenere la propria allocazione attuale. In Asia, circa sette istituzionali su dieci (68%) attualmente investiti in green bond sono pronti a incrementare la propria allocazione. Lo stesso vale per il 54% nell'area Emea. Al contrario, solo il 4% prevede di ridurre la propria esposizione a questo segmento.
Anche se i tassi sono in rialzo, la ricerca di rendimento che dura da dieci anni potrebbe ancora essere tra le priorità degli investitori, visto che sei su dieci (61%) riconoscono di rivolgersi agli investimenti alternativi per cercare fonti diverse di rendimento. Il maggior numero (44%) prevede di aumentare le allocazioni in infrastrutture nel 2023, il 43% prevede di aumentare le allocazioni in private equity e il 36% in private debt.
Le allocazioni alternative rappresentano anche una scelta tattica per contenere il rischio, dato che due terzi degli istituzionali ritengono che un portafoglio composto per il 60% da azioni, per il 20% da reddito fisso e per il 20% da alternativi sia in grado di sovraperformare i tradizionali portafogli 60/40.




Scelte in portafoglio: riposizionamento tattico in un mercato che richiede una gestione attiva


Il 60% degli intervistati dichiara che i propri investimenti attivi hanno sovraperformato il benchmark negli ultimi 12 mesi, riconoscendo allo stesso tempo i limiti che gli investimenti passivi mostrano in fasi di volatilità. Guardando alle prospettive per il 2023, il 74% dei partecipanti alla ricerca ritiene che i mercati favoriranno i gestori attivi l'anno prossimo.
È probabile che gli investitori guarderanno ai private asset per dare respiro alla componente azionaria in portafoglio, dato che circa la metà (48%) ritiene che i mercati privati forniranno un rifugio sicuro in caso di recessione. La fiducia nella capacità di quest'asset class di svolgere tale ruolo di rifugio è andata via via aumentando in maniera costante rispetto alle previsioni di Natixis IM del 2021, quando solo il 35% era su questa lunghezza d'onda, e del 2022, quando la percentuale saliva al 45%.
Sul fronte azionario, gli investitori istituzionali sono più propensi ad aumentare le allocazioni ai titoli statunitensi (41%), seguiti da quelli dell'Asia-Pacifico (33%) e dei mercati emergenti (33%).


Per quanto riguarda i mercati emergenti, le migliori opportunità di crescita sono individuate nell'Asia ex-Cina. Due terzi (66%) concorda sul fatto che i mercati emergenti siano eccessivamente dipendenti dalla Cina e il 74% ritiene che le ambizioni geopolitiche di Pechino abbiano ridotto il suo appeal d'investimento.


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