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22/09/2021

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Opyn: Borsadelcredito.it cambia nome e punta al mercato del credito alle imprese internazionali

Non un semplice rebranding, ma l'occasione per sfruttare le potenzialità della Fintech e metterle a disposizione delle aziende che potranno fare credito ai clienti

Una fintech è destinata a cambiare pelle, è nell'ordine delle cose e nel percorso di cambiamento. Nasce Opyn dall'evoluzione di BorsadelCredito.it, la fintech italiana del lending alle imprese.
Il nuovo brand name, Opyn, prende forma dalle parole inglesi "open" e "PIN" (personal identification number) e rispecchia sia l'identità tecnologica e finanziaria della società sia i suoi valori fondanti - inclusività, accessibilità, democratizzazione. Il nome, inoltre, rimanda simbolicamente alla mission: abbattere le barriere della burocrazia finanziaria per dare vita al cambiamento, semplificare e velocizzare il sistema finanziario così da accompagnare imprese e banche nella trasformazione digitale, attraverso la diffusione di una tecnologia intuitiva e all'avanguardia. Ne abbiamo parlato con Ivan Pellegrini, Co-Founder e General Manager di Opyn.

Siete di fronte a una grande evoluzione. Cosa sta accadendo?

Il percorso con Brosadelcredito.it è stata bello e appassionante, ma era necessario un cambiamento. La primissima idea e le primissime autorizzazioni che abbiamo ottenuto sono state un passaggio importantissimo.

Volevamo essere quello che è stato Mutui online per quel segmento per le imprese italiane. L'idea di base è sempre stata la stessa e siamo stati fedeli nel mettere al centro il credito alle imprese. Nel 2012 era una cosa ovviamente molto differente da oggi, avevamo un bel sito, dicevamo alle imprese che se vi registrerete vivrete un'esperienza digitale per il credito, ma tutto questo però passava attraverso le banche che dovevano comunque accogliere in filiale il cliente. Era un modello di business molto primordiale che non aveva ancora sprigionato la sua forza. La regolamentazione ci è venuta incontro siamo riusciti ad avere l'autorizzazione come strumento di pagamento.

Il primo passo è stato regolatorio, ma così anche per tanti altri: quanto ha contato l'idea?

Moltissimo, perché abbiamo potuto ampliarla e siamo diventati un peer to peer lending, elemento che ci permetteva di finanziare le aziende ed è cambiato tutto, ma per noi era un passaggio naturale, solamente agevolato nei tempi dalla regolamentazione.

Siete diventati una fintech completa.



Sì, perché permettevamo finalmente alle aziende di svolgere un processo totalmente digitale e non dovevano più andare in una filiale di una banca. Era il 2015 e per la prima volta siamo riusciti, dopo un lungo processo di discussione con Banca d'Italia, a ottenere i processi autorizzativi per fare tutto questo. Un passo fondamentale per noi e per il mercato. Da quel momento abbiamo iniziato a costruire il cosiddetto track record: la piattaforma c'era, iniziavano ad esserci dei clienti, abbiamo iniziato a prestare denaro, prima con 5 o 10mila euro, poi siamo arrivati ad aumentare le somme. Molti investitori istituzionali hanno iniziato a seguire le nostre operazioni, come Azimut.

Un mercato quindi che si evolveva ulteriormente.

Diciamo che questi operatori istituzionali hanno sviluppato una propensione al credito alternativo e da lì sono nati progetti come la Banca Sintetica di Azimut, tanto per citare un esempio. Qualcosa che qualche anno prima sembrava impensabile perché impossibile era diventata una realtà concreta. La nostra piattaforma si è dimostrata efficace per mettere a disposizione di soggetti interessati la possibilità di trasformarsi in una banca.




Quali saranno i vostri nuovi passi?

Coinvolgere aziende che hanno questa vision e che vanno in quella direzione ci ha fatto comprendere che c'erano delle opportunità interessanti che nascevano grazie alla consapevolezza di poter trasformare le aziende e permettere di poter fare credito e offrire servizi bancari. Noi avevamo gli strumenti per permettere loro di farlo in maniera agile, senza reinventare la ruota, ma utilizzando tutta l'esperienza e la tecnologia di un operatore fintech con un buon livello di esperienza. Ci siamo detti che non potevamo restare chiusi col nostro bel piano di crescita, bellissimo per carità, perché là fuori c'era molto di più. Nonché la possibilità di andare verso l'internazionalizzazione.

Da qui nasce l'idea del cambiamento del nome?

Assolutamente, ma anche un modo per ripensarsi profondamente. Cercavamo qualcosa che spiegasse il concetto di tecnologia al servizio di altri soggetti. Un annetto fa circa abbiamo pensato che forse fra le varie progettualità che avevamo in corso c'era anche quella di dotarci di un nuovo brand, un nuovo look ed è iniziato un processo di attenzione verso di noi, verso le nostre competenze e verso le persone del team.


Abbiamo rivisto la nostra storia, quando eravamo concentrati sui risultati, sulla costruzione dei portafogli fintech, sul rapporto con le istituzionali e via di seguito. Noi siamo nati come un'azienda tecnologica che voleva abbattere le barriere per cambiare. Questo è sempre stato il nostro posizionamento: uno dei nostri valori principali è l'anticonformismo, non fermarsi alle cose che sono fatte così perché si sono sempre fatte così. Abbiamo sempre operato dentro la cornice sacrosanta delle regole, ma ci mille modi per fare le cose e bisogna trovare quello che permetta di farle meglio. Questa è la nostra vera anima e adesso grazie anche all'evoluzione del mercato possiamo davvero concentrarci sulla nostra mission iniziale: mettere a disposizione mercato questa nostra capacità di abbattere barriere e di cambiare il modo di fare le cose. Il nuovo brand name, Opyn, prende forma dalle parole inglesi "open" e "PIN" (personal identification number) e rispecchia i nostri valori.

Oggi Opyn è un'azienda che ha basi solide e prospettive interessanti: cosa pensate di fare nei prossimi anni?

L'internazionalizzazione è molto importante perché il mercato è enorme e offre grandi possibilità che possono essere colte.


Ma partiamo dall'Italia, dalle nostre aziende che vogliamo accompagnare nei territori stranieri. Qualcosa di concreto che ci permette di crescere e permette loro di poter ampliare le loro opportunità di guadagno. Possiamo rassicurare che siamo assolutamente il partner giusto anche per i loro clienti e fornitori e per tutte le loro partnership estere, non devono perdere tempo a cercare altri partner per fare il nostro lavoro. Noi siamo lì e possiamo mettere a disposizione la nostra piattaforma per i loro obiettivi e migliorare i loro processi di internazionalizzazione.

Avete puntato molto sul rapporto tra umani e tecnologia: ce lo può spiegare meglio?

"Human + Tech" è un concetto molto importante per noi ma anche difficile da spiegare a parole. A volte si parla del fintech come di un qualcosa gestito da algoritmi e intelligenze artificiale che, come si dice in gergo, non guardano in faccia a nessuno perché leggono solo i dati. In realtà, non c'è niente di più sbagliato, perché ci sono tante persone che muovono queste macchine, che hanno degli obiettivi, che hanno delle ambizioni e che utilizzano la tecnologia per raggiungerli.


La tecnologia la indirizzi, non va da sola e quindi ci sono sempre delle persone dietro. Per quello "Human + tech". Se le persone sono state brave, avranno sviluppato un prodotto riuscito, che risolve problemi concreti di altri.

Nel percorso di cambiamento c'è anche un aspetto di consulenza che potrete erogare?

Non abbiamo l'ambizione di trasformarci in un'azienda di consulenza, ce ne sono tante che fanno questo lavoro molto bene e con grandissimi risultati. Come in passato, quando abbiamo fatto partire il peer to peer lending e lo abbiamo trasformato in un marketplace lending abbiamo svolto un compito simile alla consulenza, che potremmo chiamare di advisory verso i vari player. Come fintech dobbiamo costantemente spiegare quello che facciamo e le nostre sfide e di fatto siamo dei consulenti che aprono opportunità. A noi piace "fare", creare progetti pilota e mostrare le potenzialità della piattaforma. Non siamo quindi una società di consulenza, lavoriamo con le società di consulenza, spieghiamo la tecnologia, ma è quasi una conseguenza.


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