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07/07/2021

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Laura Corbetta (OBE): dal Branded Entertainment grandi opportunità per le aziende

Ogni progetto ha un DNA transmediale, con oltre il 45% già pensato per lavorare su tutti i canali senza distinzione, con strategie di comunicazione interessanti

Il Branded Entertainment non più visto come una possibilità tattica, ma proprio come un'opportunità strategica decisiva per la comunicazione. Oggi si è passati dal potere del telecomando a quello di schermi e piattaforme. E le aziende devono comprendere meglio cosa comporta questo cambio culturale, e come sfruttarlo. Ne abbiamo parlato con  Laura Corbetta OBE (Osservatorio Branded Entertainment).

Com'è stato quest'anno per il Branded Entertainment?

Il 2020 ha rappresentato sicuramente un anno di fortissima discontinuità rispetto al passato e ai trend che eravamo abituati a conoscere e monitorare. Abbiamo sempre considerato determinati eventi come predittivi per le nostre attività e invece è come se si sia creato un buco tra il 2019 e il 2021. In realtà tutti avevamo un'aspettativa di un ritorno alla normalità l'anno scorso a giugno, al termine del lockdown e avevamo rivisto i dati del mercato Branded Entertainment prevedendo una flessione intorno al 9%, ma in realtà il mercato ha tenuto più del previsto. Il mercato, a fronte di un calo che si attesta intorno all' 11-12% su tutto il mercato degli investimenti pubblicitari, in realtà ha avuto una flessione che stimiamo tra il 4 e il 5%.



Un risultato confortante. E per quest'anno?

Il forecast rispetto al 2021 sembra essere di segno positivo, quindi vediamo ancora una crescita per il mercato del Branded Entertainment a doppia cifra. In particolare, la cosa più rilevante è che oggi la stima che ci fornisce Nielsen è che il comparto è diventato interessante soprattutto come leva di comunicazione e raggiungerà il 7% degli investimenti globali. A questo punto possiamo oggettivamente dire che inizia a essere una fetta molto importante del mercato dell'entertainment e il digitale ha retto, mentre tutto ciò che non era digitale ha sofferto.

Il digitale è diventato fondamentale a tutti i livelli.

Nel branded entertainment lo era già, ma oggi abbiamo un 48% sulla parte digitale, compresi i podcast, a fronte di un 40% del mercato televisivo. Parliamo ovviamente anche di progettualità di Branded Entertainment diversa anche dal punto dell'impatto sugli investimenti e quindi è abbastanza evidente che nel corso del 2020 la flessione è stata più forte nella parte televisiva anche perché non nascondo che la normativa anche è stata particolarmente pressante nella gestione dei set degli shooting.

Abbiamo rilevato una soglia di investimento che per i progetti televisivi va dai 100 ai 350mila euro, mentre sul digitale ha un costo che difficilmente supera i 100mila euro, una differenza enorme. Parliamo di due prodotti branded entertainment completamente diversi tra loro, entrambi lavorano con grande efficienza nel raggiungimento delle audience, ma chiaramente con volumi e cubature completamente diverse.

Ogni anno voi presentate una ricerca che fotografa il settore. Quali sono le principali evidenze?

La ricerca offre una serie di osservazioni interessanti. La prima è sul media mix perché oggi il digitale guida la corsa. C'è una grande crescita del podcast e il video continua la propria crescita. All'interno dell'associazione abbiamo aperto un tavolo dedicato ai produttori di podcast proprio perché l'importanza è diventata enorme. La televisione conserva un ruolo molto importante, anche a livello di budget. Un secondo elemento che emerge con chiarezza è che un progetto di Branded Entertainment ha un DNA transmediale, con oltre il 45% dei progetti pensato per lavorare su tutti i canali senza distinzione, con strategie di comunicazione interessanti.

Questa è sempre stata una caratteristica del Branded Entertainment che offre una grandissima capacità di amplificazione.

Un mercato che cresce, ma crescono anche le competenze?

La transmedialità ha un impatto importante sulla filiera, perché risulta ancora molto articolata e allargata, con specializzazioni sempre più spinte. In sintesi posso dire che la progettualità coinvolge molti interlocutori, che vanno dall'agenzia creativa al centro media e che interagisce direttamente anche gli editori. Non ci sono modelli consolidati, ma credo che sia cresciuta la disponibilità da parte di ogni attore della filiera a fare il proprio lavoro in maniera un pochino più mirata. Sta crescendo il rispetto dei ruoli e delle competenze specifiche ed emerge una una strategia di comunicazione e di marketing, ma soprattutto di business e di obiettivi specifici e i brand possono trarne beneficio.

Uno sguardo al futuro.

Il Branded Entertainment non più visto come una possibilità tattica, ma proprio come un'opportunità strategica decisiva per la comunicazione.


I brand devono iniziare a utilizzare questo ecosistema in maniera completa e non a pezzettini, diciamo proprio in modo strategico. Le grandi aziende hanno certamente più opportunità, mentre le piccole fanno molta fatica ma hanno compreso l'importanza. Le grandi e le piccole aziende sempre di più si stanno confrontando in uno scenario media che chiaramente sta cambiando. Questa è una cosa che diciamo da sempre, ma è sempre in rapida e costante trasformazione. Stiamo andando incontro a una frammentazione delle audience. Se guardiamo alla televisione, nell'accezione della smart tv, resta il device principale, ma la diffusione del contenuto passa su tutti i tipi di device, su canali lineari tradizionali o via internet come Netflix, Youtube o Facebook. Abbiamo un'amplificazione esponenziale della scelta per il consumatore e quest'ultimo è diventato sempre più consapevole. Il potere del telecomando è diventato il potere degli schermi e delle piattaforme. Nei mercati più evoluti come gli Stati Uniti, abbiamo visto un brand come Pepsi che a febbraio di quest'anno per una settimana ha realizzato un progetto in collaborazione con Fox per creare uno show in prime time di mezz'ora con un jackpot da 250mila euro.


Era un trivial game, ma chiaramente amplificato dalla possibilità di giocarlo tramite un'applicazione mobile e codici QR per giocare nel punto vendita. Un esempio interessante di coinvolgimento. I consumatori amano le forme di intrattenimento più ingaggiati e più appealing e le premia. Non vuole essere costretto a guardare un contenuto e non ama che quel contenuto venga interrotto. La ricerca di un coinvolgimento passionale ed emotivo sta impattando fortemente sull'industry.

I titoli di coda di fatto ne hanno fatto le spese con i bottoni salta all'episodio successivo, con una certa rivolta delle associazioni più strutturate.

E' un cambio culturale che vediamo emergere. Se vogliamo, possiamo collegarlo al gesto agli europei di calcio da parte di Cristiano Ronaldo che è sposta una bibita o di altri giocatori che hanno spostato altre tipologie di bibite. Il messaggio è piuttosto chiaro: il prodotto è fuori luogo ed è un'interruzione alla comunicazione perché non ha nessun ruolo in quel momento. Non è un posizionamento legato alla caratteristica del prodotto e quindi alla fine stride e si presta a questi gesti.


A mio avviso, i brand devono liberarsi dall'idea di dover necessariamente sempre far vedere il proprio prodotto, ma rendersi molto più interessanti attraverso le storie valoriali e le caratteristiche. La materializzazione del prodotto fa fatica a colpire nel segno e questa è la dimostrazione che la comunicazione deve seguire la contemporaneità. Il lusso vive ancora di presenza, ma è una questione di linguaggio e di tipologia di prodotto.

Tra i valori, quelli legati alla sostenibilità stanno emergendo?

Posso dire che il branded entertainment è sempre stato il modo principale di racconto di tematiche di questo tipo, perché sono argomenti che richiedono un certo periodo di tempo per venire comunicati, servono spiegazioni, narrazioni articolate e quindi spazi adeguati. Questo tema sta diventando centrale nelle scelte dei consumatori, perché vengono preferite sempre più le aziende che hanno "buone pratiche" anche dal punto di vista della sostenibilità. Anche in Italia inizia a essere un tema significativo e le aziende hanno bisogno di comunicare questi temi che sono estremamente delicati. Infatti, la comunicazione non basta, bisogna che le azioni siano reali, concrete, tangibili e misurabili e in qualche modo anche verificabili da parte del mercato.


Le comunicazioni "fake" diventano dei veri e propri boomerang per le aziende.


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