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Editoriale
La crescita langue da decenni
L'Italia è in crisi. Ma non (solo) a causa del coronavirus.
Per il 2020 ci si aspetta un crollo del Pil tra il 10,5% e il 13% (con qualche pessimista che indica un -17%), la discesa più drastica dal dopoguerra e una delle maggiori al mondo. Però le cause hanno radici più profonde.
Si vede chiaramente se si vanno a prendere i dati di crescita negli ultimi 20 anni. Dal 1999 al 2019 (ultimo dato reale), il nostro Paese è cresciuto complessivamente del 2% (+0,3% lo scorso anno), mentre la Germania del 28%, la Francia del 19%, l'Austria del 24% come l'Olanda, la Spagna del 23%, con una media dell'eurozona del 22%. Persino la Grecia ha fatto registrare un +7%.
L'Italia ha smesso di crescere in concomitanza all'ingresso dell'euro e i dati lo dimostrano. Se a questo fattore aggiungiamo la mancanza di quelle riforme (fisco, giustizia, burocrazia) che farebbero veramente la differenza, oltre che a investimenti pubblici perennemente in calo, abbiamo le motivazioni per cui il Pil è inchiodato e langue da decenni.
Se alle difficoltà di fare impresa si aggiunge la miopia di uno stato che persegue un costante avanzo primario (spende meno di quanto incassa di tributi) pur aumentando il debito pubblico, si capisce perché quando c'è la crisi da noi morde di più.
Naturalmente siamo contributori netti anche con l'UE, dove di fatto paghiamo per aiutare i Paesi concorrenti. Come non si può creare lavoro per decreto, allo stesso modo non si può fare crescita per imposizione. Servono idee realistiche e strategie.
Non saranno i prestiti a strozzo e con condizioni della UE che libereranno le risorse per invertire la rotta.
Anzi, peggioreranno i problemi.
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