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20/05/2020

idee

PMI e Fase 2: adesso ci vuole lo Stato

 

Sangue (FondItalia): È assolutamente necessario mettre in atto misure veloci e efficaci per creare un clima di fiducia, capace di contrastare quelle insicurezze che producono l'effetto di limitare i consumi a quelli strettamente necessari

Sono numerose le azioni che si rende necessario intraprendere per sostenere le piccole e medie imprese nella cosiddetta Fase 2.
Per le PMI, che rappresentano effettivamente il cuore del tessuto economico e produttivo italiano, si tratta di affrontare una doppia sfida: da un lato, risolvere le vulnerabilità del passato, non più rinviabili, e dall'altro approntare strategie innovative che ne consentano la sopravvivenza in questa specifica situazione emergenziale.
Non più rinviabili, dunque, le azioni di ammodernamento già indispensabili prima della crisi connessa alla pandemia: si pensi alla digitalizzazione, all'eCommerce, al rafforzamento dei meccanismi di rete, all'internazionalizzazione; tutte misure in grado di ampliare quel mercato di prossimità, non sempre capace di garantire entrate sufficienti per sostenere la crescita produttiva.

PMI e Fase 2: adesso ci vuole lo Stato

A queste lacune di fondo, si aggiungono ora le enormi difficoltà derivanti dalla situazione contingente, con un'economia oramai paralizzata da due mesi e che faticherà a ripartire, non soltanto per l'interruzione delle attività produttive, ma soprattutto per il completo stallo di domanda e consumi.
In questa situazione di così grave emergenza economica, non sembra risolutivo il primo provvedimento adottato dal Governo, ossia la possibilità di accordare prestiti alle imprese. Risulta complesso immaginare, infatti, che una piccola impresa, spesso già indebitata, possa indebitarsi ulteriormente con una prospettiva di vendita dei propri prodotti o servizi praticamente nulla.
Il tema centrale, dunque, rispetto alla riapertura, è soprattutto quello inerente alla domanda. Le piccole imprese, infatti, temendo di correre il rischio di riaprire prematuramente, in una situazione in cui i ricavi sarebbero inevitabilmente di gran lunga inferiori ai costi, stanno scegliendo di non riaprire per poter usufruire ancora di altre settimane di cassa integrazione.

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Del resto, anche l'accesso agli ammortizzatori sociali non è stato semplice. Le piccole imprese si sono dovute orientare in un labirinto di ammortizzatori diversi (CIGO, FIS, Cassa Integrazione in deroga alle Regioni, etc), attivando spesso procedure troppo complesse. Non è un caso che su un totale di 4,4 milioni di istanze per bonus partite IVA, circa 300mila sono risultate errate.
È assolutamente necessario che lo Stato metta in atto misure veloci e efficaci per creare un clima di fiducia, capace di contrastare quelle insicurezze che producono l'effetto immediato di limitare i consumi a quelli strettamente necessari.
Dal canto nostro, una volta evidenziate le esigenze più pressanti da parte delle imprese aderenti al nostro Fondo, abbiamo cercato di avviare tutti i provvedimenti che consentissero alle stesse di sostenere e garantire che la formazione già programmata o in fase di programmazione non si arrestasse.

Abbiamo provveduto, quindi, alla nostra immissione di liquidità, innalzando a 10 milioni la dotazione economica dell'Avviso per finanziare la formazione, attualmente aperto.
Abbiamo consentito l'immediata conversione della formazione d'aula in teleformazione e abbattuto a zero il cofinanziamento delle imprese, quando consentito dalla norma, affinché potessero essere formati anche i lavoratori in condizione di sospensione lavorativa.
Non ci è stato possibile, tuttavia, soddisfare l'esigenza espressa a gran voce da tutte le imprese, di poter realizzare a distanza anche la formazione sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, uno degli ambiti formativi più impattati dall'emergenza sanitaria, che resta inapplicabile e non finanziabile in quanto non disciplinata in tal senso.
Servono, dunque, risposte immediate e strutturali.
Bisogna lavorare sulla domanda, dare fiducia al Paese, immettere liquidità. In tutti i periodi di grande crisi, è la spesa pubblica il primo motore dell'economia nazionale. 120 miliardi di lavori pubblici sono necessari a costruire infrastrutture, ponti, strade, ospedali e scuole. Anche se un po' artificioso, immettere spesa pubblica è lo strumento per consentire la ripresa della catena lavorativa, così che a sua volta, chi lavora, rassicurato da una prospettiva a breve termine, ricominci a consumare innescando un meccanismo virtuoso in cui il Paese possa effettivamente ripartire. Meccanismi che incentivino la domanda sono necessari. Così come sono necessarie risorse finanziarie a fondo perduto per imprese e cittadini, perché si possa recupera il differenziale economico di questi mesi di paralisi.

Non va dimenticato, infatti, il debito pubblico, pari al 130-140% del PIL in Italia e fonte di 76 miliardi di interessi da pagare ogni anno, contro una liquidità pari a 1.400 miliardi in risparmi privati.
Varrebbe la pena ricordare che nell'immediato dopoguerra, fu avviata la sottoscrizione di un prestito nazionale per la ricostruzione del Paese. Non ci resta che chiedere a gran voce un analogo scatto di reni, una raccolta importante interna da dedicare alla crisi economica che ci ponga, finalmente, in condizioni realmente negoziali in Europa.
#laformazionenonsiferma
Egidio Sangue, vicepresidente e direttore di FondItalia - Fondo Interprofessionale per la formazione continua



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