15/04/2020

idee

La guerra delle mascherine è il tramonto della globalizzazione

 

I Paesi dipendono da supply chain troppo lunghe e basate solo sul valore. Sarà il caso di rivedere il concetto di industria strategica

Se c'è un lato buono del COVID-19 è che ha svelato cosa significa il concetto di sicurezza nazionale e, di conseguenza, interesse nazionale. In un mondo che sembrava avviato ad una globalizzazione inarrestabile, il virus ha fatto capire quanto farraginosi e artificiali fossero i regolamenti e i comportamenti che fino a poche settimane fa regolavano il mondo. In un clima da ''si salvi chi può'' si è passati al ''mors tua vita mea''.
Uno dei tanti fattori che hanno fatto cadere il velo dell'ipocrisia sulle presunte regole del commercio globalizzato è stata la guerra tutt'ora in corso delle mascherine.
L'unico vero grande produttore è la Cina, proprio nel famigerato distretto di Wuhan, e da lì vengono spedite in tutto il mondo via mare.

Hanno iniziato Francia e Germania a sequestrare le mascherine in viaggio per l'Italia, il primo Paese ad esser maggiormente colpito dal virus, in barba ai trattati europei e alla solidarietà. Dopo le proteste qualcosa di è sbloccato, non tutto, ma intanto da noi il COVID-19 ha dilagato.
Adesso che l'emergenza è esplosa anche negli USA, emissari americani sono stati spediti in tutto il mondo ad acquistare a prezzo maggiorato le mascherine già destinate ad altri stati.
Berlino ha parlato di ''moderna pirateria'', ma gli USA si comportano esattamente come hanno fatto i tedeschi in tantissime altre occasioni, e fanno tutt'ora (insieme ad altri Paesi europei) poiché stanno da tempo facendo incetta sul mercato dei saturimetri, acquistandoli a qualunque prezzo.
Trump fa pressioni politiche sul governo cinese e, fatto non secondario, ha dotato i suoi emissari in giro per il mondo di liquidità senza limiti pur di accaparrarsi la merce. I pagamenti cash sono sempre stati un incentivo straordinario da sempre e in qualsiasi situazione.

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E che questa sia una strategia vincente lo dimostra il fatto che i carichi già pronti per esser spediti in vari Paesi sono stati istantaneamente destinati agli USA. Addirittura c'è stato un aereo che già carico per partire verso la Francia, ha preso la via per Washington.
Questa situazione dimostra come l'aver sviluppato supply chain globali basate solo sul valore, cioè si produce dove costa meno, può portare improvvisamente a scoprire che interi continenti dipendano per le forniture da una sola regione. Se questa va in crisi o c'è un picco internazionale di domanda, tutto va in crisi. E comincia la guerra.
Ovviamente, c'è chi come al solito sfrutta la situazione in modo politico. Daimler ha dichiarato che non può riaprire le fabbriche di auto in Germania perché mancano le componenti delle aziende italiane in lockdown per coronavirus. E' parzialmente vero, visto che in questo momento il mercato è a dir poco fermo e nessuno pensa di cambiare l'auto, ma è un modo per addossare davanti alla loro opinione pubblica la colpa agli italiani di uno stop che ci sarebbe stato comunque. Anche questa è una azione tipica tedesca, per cui loro sono efficienti e gli altri fannulloni.

In un mondo di fornitura globale aver delocalizzato, se non azzerato la produzione interna, di molti prodotti può quindi avere conseguenze catastrofiche. E anche effetti collaterali, come la guerra per accaparrarsi le mascherine.
Quando tutto questo sarà finito, se avremo imparato la lezione, dovremo riconsiderare quali siano effettivamente i settori strategici per il nostro Paese. Seguendo solo la logica del risparmio, dei tagli e del profitto, sono state fatte troppe privatizzazioni, delocalizzazioni e si è rinunciato a produrre ciò che realmente serve alla popolazione in caso di necessità.
Come delle banali mascherine dal costo di pochi centesimi che oggi vengono vendute sui mercati internazionali a peso d'oro. Ovviamente al miglior acquirente.
Non vogliamo pensare a cosa accadrebbe in caso di mancanza di beni per l'alimentazione, come il grano o l'acqua.

Claudio Gandolfo



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