01/04/2020

economia

Mercati azionari: niente panico, è necessaria pazienza

 

Roose (DPAM): per poter assistere al risanamento del mercato, occorrono interventi monetari e fiscali ancora più incisivi e coordinati, e una diminuzione del tasso di contagio quotidiano nei Paesi dell'Unione Europea

Nelle ultime settimane i mercati azionari hanno continuato a scendere. Tutti noi ci chiediamo quando questa discesa si interromperà e se l'architettura del nostro sistema finanziario sarà in grado di resistere all'attuale crisi di liquidità/creditizia. Siamo stati forse accecati dai sistemi di salvaguardia messi in atto dopo la grande crisi finanziaria del 2008 e inconsapevoli della conseguente mancanza di liquidità sui mercati dei capitali?

Guardando all'azione dei mercati, questa è stata la correzione dell'S&P500 più brusca e veloce dal 1964 e dobbiamo tornare indietro agli anni '70 per vedere un così improvviso calo dei prezzi del petrolio. L'indice iTraxx Crossover Index (indicativo dello stress del credito ad alto rendimento) ha toccato livelli che non si vedevano dal 2011/12 e i livelli di volatilità giornaliera sono stati sullo stesso piano di quelli registrati l'ultima volta nel 2008. Le strategie sistematiche hanno ampiamente esaurito i loro budget di rischio e questo, combinato con una minore liquidità (in quanto le banche d'investimento sono vincolate nel fornirla), sta esacerbando la correzione nei mercati azionari. Anche i beni rifugio, come l'oro, hanno subito forti flussi di vendita.
Contrariamente al 2008, questa volta i catalizzatori (cioè COVID-19 e, dalla settimana scorsa, il crollo dei prezzi del petrolio) per i violenti cali del mercato azionario sono stati esogeni al sistema finanziario, con crescenti tensioni di cassa che hanno creato una stretta creditizia. Già nel 2008/09, il problema principale era il rischio di controparte sui mercati finanziari dopo il fallimento della Lehman. Oggi, una (potenziale) ondata di fallimenti in diversi settori (ad es. petrolio di scisto o settore dei viaggi) potrebbe contaminare le imprese sane e il sistema finanziario.

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Una recessione mondiale è ormai inevitabile (l'inversione a U dell'Arabia Saudita sulla sua politica petrolifera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso), poiché raramente abbiamo visto una tale perturbazione della crescita economica a livello globale e gli analisti o gli economisti stanno abbassando le loro stime a un ritmo vertiginoso. Le revisioni al ribasso dell'utile per azione sono ovviamente importanti per la performance dei singoli titoli e vediamo un'ampia dispersione della performance all'interno dei settori, con alcune aziende fortemente impattate dal blocco delle attività e dalle misure di isolamento (ad esempio quelle del settore della ristorazione) e altre che sono meno influenzate o che ne stanno addirittura beneficiando (ad esempio quelle alimentari). Ma, in ultima analisi, non saranno le revisioni assolute degli utili per azione a dettare la direzione generale del mercato in futuro.

Per poter assistere al risanamento del mercato, bisogna che si verifichino due fattori: interventi monetari e fiscali ancora più incisivi e coordinati, in aggiunta alle numerose misure di ''sostegno alla vita'' già adottate, e diminuzione del tasso di contagio quotidiano nei Paesi dell'Unione Europea. Se il blocco dell'Italia funziona e il numero complessivo dei nuovi pazienti di COVID-19 non aumenterà più allo stesso ritmo, si può presumere che questo ''modello'' funzionerà anche in altri Paesi. Ciò potrebbe accadere in tempi relativamente brevi. Per quanto riguarda gli interventi, si rende necessario l'acquisto diretto del debito societario (o anche del prestito diretto alle imprese). Attualmente, tale ambito non rientra nel mandato della Fed, che potrebbe comunque essere ampliato. Inoltre, sono necessarie ulteriori misure fiscali da parte di paesi come la Germania o di quelli del G7 e vanno evitate anche gaffe nella comunicazione. Già nel 2008/09, le banche centrali e persino i governi sono stati costretti a introdurre innovazioni in termini di strumenti monetari e fiscali, poiché la crisi era di natura sistemica. Oggi i decisori politici sono meglio preparati poiché la maggior parte di questi strumenti sono già stati testati, anche se sono necessarie misure di sostegno non convenzionali. Allo stesso tempo, i governi devono gestire deficit fiscali più consistenti, un'opzione più accettabile alla luce degli attuali tassi di interesse e dato che questa volta le banche non sono la causa principale della crisi.

Riteniamo quindi che sia troppo tardi per vendere azioni e questo anche se siamo stati molto attenti alla liquidità e a bilanciare le nostre posizioni, evitando nel contempo di aumentare le posizioni in società/settori che sono nell'occhio del ciclone. Tra questi vi sono le società di viaggi, le società di servizi legati al settore alimentare o le compagnie energetiche. Per il settore del turismo, per esempio, l'impatto del decreto che ha bloccato l'Italia, anche quando questo ad un certo punto verrà revocato, potrebbe durare più a lungo di quanto attualmente ipotizzato. A parte questo, non abbiamo adattato i nostri portafogli in modo significativo, una lezione appresa dalla grande crisi finanziaria del 2008, quando gli operatori del mercato iniziano a ''guardare a valle'', i violenti movimenti in salita in diversi settori potrebbero causare una sostanziale sottoperformance. Il consiglio è quello di restare investiti e di avere un orizzonte d'investimento di oltre sei mesi.

Alexander Roose, CIO Fundamental Equity at DPAM



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