In piena epidemia coronavirus bisogna pensare al futuro. L'obiettivo è gestire la crisi interna, tutelare il made in Italy e ricostruire l'immagine del Paese all'estero
Dopo i virtuali #Milanononsiferma a #Litalianonsiferma sui social, c'è una nuova iniziativa concreta promossa da tre grandi agenzie di comunicazione, che si propone come cabina di regia per il coordinamento della comunicazione degli interventi pubblici e privati in tema di coronavirus.
C'è la volontà di aiutare l'Italia in un periodo di contingenza che ci mostra al mondo come culla del nCOVID-19. Da un lato c'è la necessità di una giusta comunicazione sanitaria. Dall'altro, parlare ai mercati internazionali con tematiche di rassicurazione, spiegando che il problema non è solo italiano.
''Il nostro Paese: raccontiamolo insieme, raccontiamolo meglio'' è quindi un manifesto per riunire tutti coloro che vogliono far ripartire l'Italia, siano essi politici, sia aziende. Ce lo ha illustrato Auro Palomba, founder e CEO di Community Group, che recentemente si è aggiudicato il primo posto nella classifica 2019 ''Top PR Consultants'' per l'area EMEA (Europa, Middle East e Africa) secondo MergerLinks.
Come nasce l'iniziativa?
Con Giuliana Paoletti (Image Building) e Luca Barabino (Barabino & Partners) sono anni che ci parliamo con l'idea di far qualcosa per il nostro settore.
Quando abbiamo capito che il coronavirus stava diventando anche un'emergenza comunicazionale, Giuliana ci ha chiamati dicendo ''perché non facciamo qualcosa per il Paese?''. Quindi abbiamo deciso di lanciare questo manifesto in cui tre grandi aziende della comunicazione insieme, gratuitamente, sono a disposizione della politica e degli amministratori che hanno bisogno di aiuto.
Come si evolve questa comunicazione verso le aziende?
Le aziende fanno parte di un sistema-Paese, quindi la crisi colpisce anche le aziende italiane. Le colpisce nel business, poiché oggettivamente oggi saltano gli incontri, non vengono più le persone dall'estero e le nostre fanno fatica ad andare in altri Paesi.
Ma poi anche perché il nostro è un Paese in cui ci sono moltissimi esponenti del Made in Italy, che in questo momento è colpito dalla crisi di comunicazione del coronavirus che c'è in giro per il mondo. Quindi le aziende devono fare sistema, fare quadrato insieme per tentare di risollevare l'immagine del Paese.
Da qui l'esortazione al coinvolgimento dei CEO.
La comunicazione è cambiata. Oggi gli Amministratori Delegati delle aziende sono dei testimonial delle aziende stesse. Se fino a qualche anno fa un AD era bene che magari parlasse poco e solamente dei temi aziendali, oggi le imprese sono dei macrosistemi e devono parlare di tutti i temi che coinvolgono anche gli stakeholders e il Paese.
Quindi temi come la sostenibilità o quelli legati alle varie diversity, poiché i consumatori si riflettono in questi e vogliono che le aziende diventino protagoniste. In maggior modo, in un momento come questo, dove c'è un Paese sotto scacco.
Come è stata gestita a livello istituzionale la comunicazione sul coronavirus?
Il problema è stato che i nostri amministratori, nel desiderio di far vedere ai cittadini italiani che prendevano la situazione sul serio ed erano anche pronti con misure eccezionali, non hanno capito che la comunicazione ormai è globalizzata.
Quindi qualsiasi cosa che tu fai per parlare o aiutare i cittadini (anche di un Comune), questa fa il giro del mondo. Se uno pensa al Governatore Fontana che facendo quella diretta Facebook con la mascherina voleva mandare un messaggio di tranquillità ai cittadini lombardi, deve considerare che quello stesso filmato - con lui che si mette la mascherina e prima tossisce - fa il giro del mondo, lanciando un messaggio di panico non solo in Italia.
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