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04/03/2020

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Portioli (Mediobanca): il Sistema Moda italiano è solido e con margini di crescita nei prossimi anni

Oltre ai marchi nazionali ormai conosciuti in tutto il mondo non va dimenticato che per i grandi gruppi europei la nostra supply chain rappresenta più del 25%, mentre per l'alto di gamma si toccano quote quasi del 90%

Il fashion italiano continua a crescere e le prospettive sono più che ottimistiche. Secondo un report dell'Area Studi Mediobanca sul Sistema Moda Italiano, che ha preso in esame 173 aziende con un fatturato superiore a 100 mln di euro e i principali gruppi europei del settore, Nel 2018 il comparto ha registrato un giro d'affari totale di 71,7 mld di euro (+22,5% sul 2014 e +3,4% sul 2017). Si tratta di una crescita importante che ha avuto nel 2015 una notevole impennata (+9,4%) e che, nonostante abbia rallentato negli anni successivi, non è mai stata inferiore al +3,4% annuo. Cresce anche il peso del comparto sul Pil nazionale rispetto al quale la moda nell'ultimo quinquennio ha viaggiato a una velocità quasi doppia. Bene anche gli utili che nel 2018 ammontano a 3,7 mld di euro (+25,2% sul 2014).
Tra i comparti spicca l'abbigliamento, che da solo determina il 42,6% dei ricavi aggregati, seguito dalla pelletteria (23,1%) e dall'occhialeria (15,6%). In quanto a crescita media annua delle vendite nel 2014-2018 si distingue, invece, la gioielleria (+10,9%) seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+6,2%), dal tessile (+5,7%), dalla distribuzione (+4,9%), dall'abbigliamento (+4,5%) e dall'occhialeria (+3,7%).


Le società a controllo italiano performano meglio in quanto a redditività (ebit margin al 9,3%) rispetto a quelle controllate da gruppi stranieri (6,2%). In particolar modo, sono le aziende quotate con la quota di maggioranza in capo a una famiglia che registrano l'ebit margin migliore (13,4%) e che al contempo si mostrano più propense all'export (l'86,1% del loro fatturato proviene dall'estero).
Il settore moda italiano si conferma molto solido, come dimostrato dalla bassa incidenza del debito finanziario sul capitale netto (34% nel 2018), e dotato di una forte liquidità, con il rapporto tra disponibilità e debiti finanziari pari al 79,4%. Abbiamo approfondito il tema con Nadia Portioli, Analista Area Studi Mediobanca.

Qual è la ricetta per rendere migliore l'azienda nel comparto fashion?

Sono molti gli ingredienti importanti, ma forse tutti si possono sintetizzare in una sola parola: apertura. Quindi apertura al mercato, con il ruolo dell'apertura della base azionaria, pur mantenendo un nocciolo duro di controllo famigliare. La combinazione di questi fattori può fare la differenza.


Un altro ingrediente è la diversità, perché è un qualcosa che arricchisce e a diversi livelli. La presenza di uomini e donne insieme piuttosto che età differenti, con i giovani che portano innovazione e senior che fanno mentoring. Oppure diversità anche di ruoli, quindi all'interno di un'azienda famigliare, componenti della famiglia, manager e azionisti che lavorano insieme. Un altro tema è quello della sostenibilità ambientale, particolarmente sentito dalle generazioni del futuro.
Importantissimo poi è l'ingrediente Made in Italy, quindi la qualità e la passione del proprio lavoro che va coltivata e non va dimenticata. Perché spesso l'Italia di questo aspetto di dimentica. Infine l'imprenditore, che è un po' l'anima dell'azienda ed è l'ingrediente che fa la differenza.

Come si presenta la mappa della moda europea?

I gruppi della moda europea sono ben posizionati nel panorama della manifattura mondiale. Dimostrano di essere una industria sana, che cresce più velocemente rispetto alla media, con margini molto elevati, solida e con molta cassa.


Questo è sicuramente un tema importante perché questi grandi gruppi sono anche "affamati", e quindi spesso si generano delle operazioni di acquisizione. Il tema del consolidamento del settore è sicuramente importante, come la recente acquisizione di Tiffany da parte del colosso francese LVMH, e sicuramente in futuro ce ne saranno delle altre.

Qual è il ruolo dell'Italia nella supply chain mondiale?

E' un ruolo centrale. Questo perché dall'analisi dei bilanci di sostenibilità di questi gruppi europei della moda ben oltre un quarto dei loro fornitori ha sede in Italia. E in modo particolare nel settore dell'alto di gamma si toccano quote quasi del 90%. Ci sono quindi grandi gruppi mondiali che in Italia hanno fino al 90% dei loro fornitori e questo può essere semplicemente un motivo di orgoglio. Penso a gruppi come Chanel o Kering che hanno investito molto in un distretto, quello della pelletteria fiorentina, che sicuramente è uno dei fiori all'occhiello della manifattura italiana.

Che aspetti di diversità presenta la mappa della moda italiana rispetto a quella europea?

Le aziende italiane della moda si distinguono per un aspetto che le caratterizza: spesso l'azienda si identifica con l'imprenditore, che frequentemente ne è anche il direttore creativo.


L'identificazione è quindi forte ed è una tipicità di tutta di tutta la filiera e di tutte le aziende italiane della moda. Ma forse è proprio anche questo che ne fa la forza e la peculiarità.
Inoltre, le aziende della moda anche in Italia si posizionano bene rispetto al resto della manifattura del Paese, perché sono sostanzialmente solide, attraggono molto gli investitori, oltre due terzi di esse ha un livello di investment grade, e crescono molto velocemente. Fanno da traino a tutto il sistema produttivo perché hanno una proiezione internazionale molto elevata. E sappiamo che l'export è fondamentale per la crescita della nostra economia.

Che peso ha il sistema moda sul Pil italiano?

Queste 173 aziende che abbiamo selezionato pesano 1,2% sul Pil del nostro Paese.  


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