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26/02/2020

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Industria calzaturiera italiana: nel 2019 cresce l'export ma frena la produzione

Badon (Assocalzaturifici): le flessioni in volume di esportazioni e produzione equivalgono di fatto ad un calo della manodopera, in presenza di un mercato interno in piena fase recessiva

Un anno in chiaroscuro per il comparto calzaturiero italiano: nel 2019 crescono l'export (+6,8% a valore) e il saldo commerciale (+10,3%) ma frena la produzione (-3,1% in quantità). La fotografia del settore emerge dal report elaborato dal Centro Studi Confindustria Moda per Assocalzaturifici.
"Il record delle esportazioni, che hanno superato i dieci miliardi di euro a valore grazie al traino delle griffe del lusso (come certifica il risultato, +27%, dei flussi diretti in Svizzera, tradizionale hub logistico distributivo delle stesse) viene smorzato da elementi poco rassicuranti", spiega Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici. "Le flessioni in volume di export e produzione equivalgono di fatto ad un calo della manodopera, in uno scenario che vede il mercato interno in piena fase recessiva. A questo si aggiungono le forti incertezze per il 2020, con le conseguenze ancora tutte da valutare sull'economia mondiale dell'emergenza coronavirus, esplosa in una delle poche aree caratterizzate nell'ultimo decennio da crescite costanti per il nostro settore. In questa congiuntura non facile, il nostro comparto deve puntare sull'innovazione tecnologica e sulla formazione di nuove figure professionali per gestire il ricambio generazionale.

Sono questi i driver per migliorare le performance di un settore che con 75.000 addetti, un attivo del saldo che sfiora i 5 miliardi di euro e una produzione pari a 8 miliardi, è assolutamente rilevante per l'economia nazionale".
Sul fronte dell'export, l'analisi dei principali mercati di sbocco esteri evidenzia trend inferiori alle attese in Russia (-15,3% in quantità nei primi 10 mesi) e negli altri paesi dell'ex blocco sovietico, con pesanti ripercussioni per i distretti tradizionalmente votati a quest'area; contrazioni non trascurabili per Germania (-9,3%, condizionata dal rallentamento dell'economia), Medio Oriente (-9,2%) e Giappone (-6,7%, pur con un +6,8% in valore). Risultati favorevoli invece in Francia, +6,4% in volume e +9,3% in valore; aumenti attorno al 10% in valore negli USA e in Cina, e di quasi il 20% in Sud Corea, che fa segnare l'ennesima crescita a doppia cifra.
Al netto dei flussi diretti in Svizzera e Francia - destinazioni privilegiate del terzismo per le griffe, che coprono assieme 1/3 delle vendite estero in valore - l'aumento registrato dall'export italiano di calzature nei primi 10 mesi si ridurrebbe però dal +7,1% al +2,6%, con una flessione attorno al -3% in volume.


Continua il trend negativo dei consumi interni, con gli acquisti delle famiglie che registrano di fatto un calo sia in quantità (-3,2%) che in spesa (-2,3%). Prezzi medi in aumento contenuto (+0,9%), a testimonianza dell'attenzione sempre elevata al fattore prezzo (più della metà degli acquisti complessivi sono effettuati in saldo/svendita).
Benché il settore presenti un'elevata propensione all'export (l'85% circa di quanto prodotto nel nostro Paese viene venduto sui mercati esteri), la continua erosione dei consumi interni rappresenta una criticità rilevante, giacché comunque per le imprese nazionali l'Italia risulta il terzo mercato più importante per volumi destinati, dopo Francia e Germania, rivestendo un'importanza strategica. Regge solo il comparto delle scarpe sportive/sneakers, che fa segnare nel complesso un +0,7% in quantità e un +1,5% in spesa sul 2018 (con una tenuta delle sneakers e crescite attorno al 2% per le sportive). Sensibili contrazioni per le scarpe "classiche" per uomo (cali nell'ordine dell'8%, sia in volume che valore) e per donna (-5,2% in quantità, malgrado una tenuta per polacchetti e stivali alti).


Più modesto - benché ugualmente caratterizzato da variazioni negative in pressoché tutte le tipologie - l'arretramento per il comparto bambini/ragazzi (attorno al 1,2%). Negativi anche i dati della pantofoleria (-4,3% le paia).
Infine, per quanto riguarda la natalità delle imprese e l'occupazione, a fine dicembre 2019 il settore contava 4.326 aziende (179 in meno) e 74.890 addetti diretti (-790), in calo rispettivamente di un non trascurabile -4,0% e del -1,0% sui livelli di un anno addietro. Considerando anche la componentistica, i saldi negativi salgono a -266 aziende e -1.086 addetti, con trend disomogenei tra le regioni. Le Marche, duramente colpite dalla crisi in Russia e CSI registrano l'arretramento più pesante in termini assoluti nel numero di imprese (-122, tra industria e artigianato). Relativamente al numero di addetti, i cali più sostenuti hanno interessato nuovamente le Marche (-1.251) e l'Emilia Romagna (-278); attorno al centinaio di unità, invece, le perdite per Lombardia e Toscana.
Segnali delle tensioni occupazionali sopra descritte emergono anche dai dati INPS relativi alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG).


Le ore autorizzate nella filiera pelle nel corso del 2019 hanno sfiorato gli 8,3 milioni (+28% rispetto ai 6,5 milioni del 2018), dopo un biennio di significative contrazioni.
L'analisi per regione mostra incrementi diffusi, con l'eccezione (tra le aree più importanti per il comparto) di Toscana (-19%) e Puglia (-38%). Le Marche (+48%) sono la prima regione per numero di ore autorizzate (2,7 milioni, 1/3 del totale nazionale). Aumenti attorno all'80% per il Veneto e del 47% per la Campania.


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