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12/02/2020

idee

Pil in calo per tutti. C'è qualcuno a Bruxelles?

A fine 2019 male l'Italia, ma anche gli altri Paesi europei frenano. Finché non si decide di abbandonare un modello economico ormai superato e fallimentare non ci sarà ripresa. Occorre il coraggio di cambiare paradigma

Il comunicato Istat è stato impietoso: "Nel quarto trimestre del 2019 si stima che il prodotto interno lordo (Pil), corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, sia diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e sia rimasto invariato in termini tendenziali". (...) "La variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell'agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell'industria, mentre il comparto dei servizi ha registrato una variazione pressoché nulla. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto positivo della componente estera netta". Era dal primo trimestre del 2013 che l'economia italiana non faceva così male.
Duro il commento dell'ufficio studi di Confcommercio: "si tratta dell'ennesima conferma di una perdurante fase di stagnazione dalla quale si può uscire solo con un recupero della produttività sistemica. In considerazione dell'assenza di concreti segnali di miglioramento del quadro congiunturale e dato il trascinamento negativo ereditato, le prospettive per il 2020 delineano una variazione del PIL (+0,3%) non molto migliore di quella dell'anno che si è appena concluso (+0,2%).

Questa condizione accresce le difficoltà di riduzione dei principali rapporti di finanza pubblica e rappresenta un vincolo a qualsiasi progetto di riforma strutturale, compresa quella fiscale. Per la stessa ragione, tali progetti sono ancora più urgenti. Per ottenere concreti risultati, a questo punto è davvero necessario un impegno straordinario da parte di tutte le componenti della società".
Poi è arrivato il comunicato Eurostat, e abbiamo appreso che il Pil italiano del IV trimestre è risultato il peggiore d'Europa. Ma anche per il resto dei Paesi la situazione non è affatto rosea. E diciamolo chiaro: finché non si decide di abbandonare un modello economico ormai superato e fallimentare non ci sarà ripresa. Occorre il coraggio di cambiare paradigma. L'uscita della Gran Bretagna dovrebbe far riflettere, anziché suscitare reazioni isteriche e francamente puerili.
L'Italia quindi è chiamata ad uno sforzo decisamente più efficace per non entrare in recessione, visto che questo governo ha deciso di rimandare tutte le decisioni in materia di economia a dopo la tornata elettorale regionale. Occorrono una serie di azioni per invertire la rotta in una congiuntura che rischia di far molto male al nostro Paese, stretto nella morsa dei vincoli europei e la fortissima frenata che rischia l'economia mondiale causa coronavirus cinese.


Non è più il momento di scelte cosmetiche e ideologiche, ma pragmatiche e di prospettiva, pena l'acuirsi drammatico della crisi interna di imprese e famiglie. Un sistema basato principalmente sull'export è oggettivamente fragile e dipende dalle economie altrui.  
Ma se l'Italia è il fanalino di coda della UE - anche perché non ci viene concesso di fare manovre espansive - non è che Francia e Germania godano di ottima salute.
Anche a Parigi è stato rilevato nel IV trimestre 2019 un decremento dello 0,1% dopo il +0,3% del terzo trimestre, deludendo le stime degli analisti che indicavano un +0,2%. E tutto ciò nonostante il governo prosegua la sua politica di espansione che lo porterà a sforare allegramente il parametro del 3% di Maastricht. Questo porta ad un paradosso: Macron si impegna a sostenere l'economia con un volume di spesa notevolissimo, cercando però allo stesso tempo di tagliare pensioni, welfare e sussidi. E la popolazione inferocita - che queste spese statali non le vede affatto risultando per giunta impoverita - va in piazza continua a protestare e scioperare ormai da mesi, causando disagi da un lato, e un calo della produzione dall'altro.



Quanto potrà andare avanti questo braccio di ferro? Quanto potrà ancora far finta di nulla la commissione UE sui ridicoli parametri che sono ferrea legge per alcuni Paesi e opinabili per altri?
Se la Francia piange, la Germania certo non ride. Berlino ha comunicato già dai primi giorni di gennaio che il suo PIL annuale per il 2019 vedeva una crescita di solo un +0,6%, non certo una grande prestazione rispetto agli anni precedenti. In ogni caso, i primi risultati del PIL per il quarto trimestre del 2019 saranno disponibili da metà febbraio (e quando i tedeschi rimandano la comunicazione di un dato significa che è pessimo), ma è chiaro che anche da quelle parti c'è stata una frenata nell'ultima parte dell'anno. Il surplus è sempre ai massimi livelli, ma c'è da scommettere che l'effetto coronavirus sul commercio globale si farà sentire parecchio, stante un più che certo calo della Cina.
Ma quest'ultima potrà sempre uscirne come ha fatto in passato; stampando moneta e iniettandola nel sistema, magari con una nuova tornata di opere pubbliche. Ne ha la capacità e può farlo.
In Europa invece la situazione è decisamente più complicata.


Non possediamo una moneta e i bilanci statali sono sotto il rigido controllo di Bruxelles con i suoi bizantinismi. Ci vorranno risposte veloci ed efficaci, altrimenti l'intero continente, già alle prese con una forte crisi, diventerà una polveriera, in cui ogni Paese cercherà di portare a casa la pelle al sempiterno grido di "Ognuno per sé e Dio per tutti".

Claudio Gandolfo


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