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05/02/2020

economia

L'economia americana sopravviverà alla politica nel 2020?

Desai (Franklin Templeton): non prevedo mutamenti drastici delle prospettive macroeconomiche, tutt'al più penso che prevarrà ancora un pessimismo eccessivo

Anno nuovo e decennio ai nastri di partenza. Alla tavola rotonda di Barron per il 2020, tenutasi a New York, ho appena condiviso alcuni miei motivi di preoccupazione riguardo al 2020 e alcune idee per renderlo un anno di successo dal punto di vista degli investimenti. Ma prima di addentrarmi in questo tema, permettetemi di approfondire le lezioni del 2019 e le tendenze di fondo che ci portano nel nuovo anno.
Nessuna profezia nefasta si è materializzata nel 2019. Le tensioni commerciali non sono sfociate in guerre commerciali incontrollabili; i nuovi dazi hanno colpito alcune aziende e industrie senza tuttavia ripercuotersi gravemente sul piano macroeconomico. Lungi dall'esaurirsi, l'espansione economica statunitense è diventata la più longeva della storia, con un tasso di disoccupazione al minimo storico degli ultimi 50 anni. L'economia cinese non si è arrestata; ha solo rallentato il passo accontentandosi di un ancora apprezzabile tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) del 6%.
È stato un anno straordinario per i mercati finanziari statunitensi (benché con un forte contributo della Federal Reserve).

L'indice S&P 500 e il NASDAQ hanno chiuso guadagnando, rispettivamente, quasi il 30% e oltre il 35% - la migliore performance degli ultimi sei anni per entrambi gli indici - mentre il Dow Jones Industrial Average ha guadagnato il 22%.

Una pioggia di preoccupazioni?

La lezione, a mio avviso, è che l'anno scorso troppe voci si sono sollevate dai media e nei mercati per manifestare un'eccessiva preoccupazione riguardo ai problemi. Ecco cosa penso che dovremmo aspettarci, e in qualche caso dovremmo preoccuparci, nel 2020.
Credo che la politica statunitense sarà la principale fonte di volatilità mentre ci avviamo verso le presidenziali americane a novembre del 2020. Le proposte politiche di alcuni importanti candidati del Partito Democratico richiamano la presidenza Obama, mentre le proposte avanzate da altri contendenti modificherebbero radicalmente il quadro economico con un probabile grave impatto negativo sulla crescita e sui mercati.
Anche con un Congresso diviso, una nuova amministrazione potrebbe emanare modifiche normative sostanziali attraverso lo strumento del decreto presidenziale, come ha fatto il governo in carica.

Ritengo che abbiamo seriamente sottostimato il contributo offerto alla crescita economica dalla de-regulation degli ultimi tre anni; allo stesso modo, penso che stiamo sottovalutando il potenziale impatto negativo di una rapida ricomparsa della regolamentazione.
D'altro canto, un secondo mandato per il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump comporterebbe molto probabilmente la continuazione della "politica per tweet", già rivelatasi dirompente in termini di volatilità del mercato e di incertezza degli investimenti aziendali. Con l'avvicinarsi delle elezioni di novembre, mi aspetto che l'incertezza sul corso della futura politica economica avrà un peso maggiore sui mercati.
Indipendentemente dal vincitore, è probabile che la spesa pubblica e il debito pubblico statunitense continueranno a crescere, facendo aumentare ulteriormente le già elevate valutazioni attuali dei Treasury USA.

I mercati e la Fed: braccio di ferro

Il braccio di ferro tra i mercati e la Fed è destinato a riprendere. Nel 2019, quando i mercati erano sotto pressione, la Fed ha capitolato.


Le azioni hanno chiuso con un progresso del 30% circa un anno di utili aziendali sostanzialmente stabili, nel quale più di tutto hanno inciso i tagli dei tassi di interesse della Fed. È una situazione tutt'altro che facile per una banca centrale.
Nel 2020, penso che la Fed punterà a rimanere ferma e a mantenere i tassi a breve termine ancorati ai livelli attuali: un approccio troppo accomodante per quello che prevedo essere un altro anno di robusta crescita del PIL reale degli Stati Uniti, intorno al 2,5-2,75%. Tuttavia, con la revisione in atto della strategia di politica monetaria, la Fed può darsi una copertura supplementare, verosimilmente in grado di favorire il raggiungimento di un tasso medio d'inflazione. Ciò comporterebbe, per un certo periodo, una maggiore tolleranza per livelli d'inflazione oltre il livello fissato.
Mi aspetto anche un aumento dell'inflazione oltre il traguardo fissato al 2%, ma rimane da capire di quanto oltre. Negli Stati Uniti, gli altissimi livelli occupazionali hanno iniziato ad alimentare un'accelerazione visibile del costo della manodopera aziendale. La quota delle piccole imprese che indicano nel costo del lavoro il loro problema più importante è di gran lunga la più elevata degli ultimi 40 anni.



Anche un moderato aumento dell'inflazione dei prezzi al consumo, se abbastanza rapido, potrebbe innervosire gli investitori e spingere i tassi a lungo termine più in alto di quanto i mercati si aspettino. L'idea, ampiamente accettata da policymaker e analisti, che l'inflazione non rappresenti più un motivo di preoccupazione, è pericolosa.
I cambiamenti tecnologici e la globalizzazione hanno avuto un impatto disinflazionistico su beni e servizi, ma non vi è alcuna garanzia che durerà per sempre. Nel frattempo, la politica monetaria espansiva ha alimentato l'inflazione dei prezzi degli asset, confermando che la liquidità finisce per causare inflazione da qualche parte.
È attualmente opinione diffusa che stiamo attraversando una "stagnazione secolare", che la crescita delle economie avanzate sarà perennemente lenta perché una domanda aggregata debole deprimerà per sempre gli investimenti e i rendimenti obbligazionari. Portando alla conclusione che ci serve una politica monetaria perennemente espansiva e una maggiore spesa pubblica e che queste politiche non comportano alcun rischio, poiché l'inflazione è morta e il debito non conosce limiti.



Il periodo di relativa stabilità macroeconomica a partire dalla metà degli anni ?80 in poi, noto come la "Grande moderazione", godeva della stessa accettazione incondizionata, fino a quando le cose non sono cambiate. L'economia non ha ancora trovato una spiegazione convincente del perché l'inflazione rimane contenuta anche con un mercato del lavoro da record e penso che non sia saggio fare totale affidamento su qualcosa che non comprendiamo appieno.
Mi preoccupa quindi questa spinta incurante verso una politica monetaria e fiscale più permissiva da parte di economisti di primo piano, come Larry Summers che ci esorta a smettere di preoccuparci e ad amare il debito, come sostiene il pensiero "magico" della Modern Monetary Theory (MMT) affermando che "non esiste alcun vincolo di bilancio". Stiamo piantando il seme dell'instabilità finanziaria che germoglierà non appena la stagnazione secolare mostrerà di non essere poi tanto secolare, ma solo un'altra fase transitoria.
Penso anche che la discussione sulle prospettive di crescita abbia liquidato troppo rapidamente il lato dell'offerta dell'equazione: poiché la crescita della produttività è stata lenta nell'ultimo decennio, molti economisti hanno ipotizzato che sarà sempre tale e si sono concentrati su come stimolare la domanda aggregata.


In questo modo si sottovaluta il potenziale delle innovazioni digitali che si fanno strada in tutti i settori dell'economia, dalla finanza alla manifattura.
Ci vedo un atteggiamento impaziente e schizofrenico. Da una parte, ci tormentiamo per gli sviluppi che irrompono nelle nostre industrie e discutiamo su come gestire l'imminente automazione della maggior parte dei posti di lavoro. D'altra parte, presumiamo che non ne otterremo alcun impatto positivo in termini di produttività e crescita perché non ne abbiamo ancora visti. Ma l'implementazione di queste nuove tecnologie prende tempo. Richiede nuove competenze, cambiamenti organizzativi, nuovi modi di gestire e amministrare l'impresa. Succede nella finanza e ancor più nell'industria. Prende tempo ma sta già accadendo.
L'economista premio Nobel Robert Solow dichiarò nel 1987 che "si può vedere la rivoluzione informatica ovunque tranne che nelle statistiche di produttività"; pochi anni dopo, la crescita della produttività raddoppiò. È una lezione importante che vale la pena ricordare oggi, dato che altri economisti paragonano il clamore dell'intelligenza artificiale e della robotica alla lenta crescita della produttività e concludono che le nuove innovazioni non hanno alcun potere di stimolo alla crescita.


Le aspettative di adattamento generano una pericolosa distorsione.

I timori di una guerra commerciale sono esagerati, ma ancora presenti

Le tensioni commerciali sono destinate a persistere. La sigla della "fase uno" dell'accordo fra Cina e Stati Uniti ha confermato che i timori di guerre commerciali erano esagerati, ma non consideriamolo come un grande motivo di ottimismo. I tweet aggressivi del Presidente Trump sulla politica commerciale hanno talvolta causato volatilità, tuttavia è importante riconoscere che sia i Repubblicani che i Democratici hanno assunto un atteggiamento più critico nei confronti della globalizzazione. Indipendentemente da come si svolgeranno le elezioni, il contesto commerciale globale è cambiato in modo strutturale.
La concorrenza economica e strategica fra Stati Uniti e Cina potrà solo intensificarsi se il paese del Sol Levante continuerà a investire in tecnologie avanzate; anche la transizione globale a un più marcato nazionalismo si rivelerà duratura. Questo non causerà guerre commerciali e una recessione globale, a mio parere. Ma dal punto di vista degli investimenti, mi aspetto che continui ad avere un impatto su specifiche aziende e industrie, e che continui a cambiare la competitività relativa e l'appeal dei diversi paesi.




Cosa aspettarsi nel 2020

Tutto considerato, nel 2020 non prevedo mutamenti drastici delle prospettive macroeconomiche; tutt'al più, penso che prevarrà ancora un pessimismo eccessivo. Credo che la crescita globale dovrebbe rimanere in equilibrio, con un aumento del PIL del 2,5-2,75% negli Stati Uniti, dell'1% circa nell'eurozona e del 6% circa in Cina.
Dovremo nuovamente far fronte a una significativa volatilità originata da molteplici fonti, tra cui l'incertezza politica, la geopolitica e la naturale tendenza dei media a cavalcare praticamente ogni rischio che si profili all'orizzonte.

Sonal Desai, CIO di Franklin Templeton Fixed Income


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