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11/12/2019

idee

I problemi macroeconomici e strutturali penalizzano le banche

Ellison (Columbia Threadneedle): con valutazioni precipitate ai livelli del 2009 e del 2012 e ostacoli tanto numerosi quanto differenti, c'è speranza all'orizzonte per uno dei settori più tormentati d'Europa?

È lecito affermare che il settore bancario sia stato il flagello del mercato azionario europeo. Se a fine 2007 rappresentava il 17,6% del mercato (come misurato dall'MSCI Europe Index), ad agosto 2019 tale percentuale era scesa all'8,5% a causa di performance deludenti rispetto al resto del mercato (e praticamente a qualsiasi altro settore). Ciò nonostante, le banche rappresentavano ancora una parte significativa dell'indice, ed è proprio questo fattore strutturale che spiega in gran parte perché le azioni europee sembrano costantemente sottoperformare il mercato statunitense.
Mentre l'Europa è stata tradizionalmente dominata dalle banche, gli Stati Uniti sono stati trainati dai colossi tecnologici della California. Ciò è dovuto a ragioni in parte macroeconomiche e in parte strutturali. In termini macroeconomici, una politica monetaria persistentemente accomodante ha avuto ricadute negative sul settore. I margini d'interesse netti delle banche risultano raramente entusiasmanti in contesti di tassi d'interesse contenuti, e ancora meno quando i tassi sono negativi.


I tassi d'interesse negativi rappresentano addirittura un rischio esistenziale per determinate parti del settore bancario: perché affidare i propri risparmi a una banca quando quest'ultima vi fa pagare per tale privilegio? Mettete i soldi sotto il materasso e risparmierete questi costi. Ma vi sono altre minacce esistenziali che pesano sul settore bancario tradizionale.
Negli ultimi due decenni le banche hanno investito miliardi nella tecnologia. Sono finiti i tempi in cui i bonifici personali venivano effettuati tramite un sistema di assegni via posta e richiedevano quasi una settimana prima di poter essere incassati. Oggi la maggior parte dei consumatori utilizza servizi online tramite app per dispositivi mobili e i bonifici istantanei costituiscono la norma. Tuttavia, questo investimento nella tecnologia rende le enormi reti di filiali e i costi del personale annessi sempre più discutibili.
Se effettuo tutte le mie operazioni bancarie online, perché dovrei sovvenzionare implicitamente la rete di filiali di cui si serviva la generazione dei miei genitori? E se non nutro alcun interesse verso tale rete e il suo marchio storico, perché non passare a un provider dinamico che opera esclusivamente online e che è in grado di soddisfare le mie esigenze imprevedibili e in continua evoluzione?
Le banche tradizionali possono offrire molto di tutto ciò, ma molte di esse si ritrovano con basi di costi ereditate dal passato, che forniscono servizi onerosi e raramente utilizzati.

Tale analisi potrebbe essere difficile da digerire per alcuni, ma c'è dell'altro. La verità è che ci sono troppe banche in Europa, e l'euro non ha fatto altro che esacerbare le pressioni competitive, oltreché imporre tassi d'interesse bassi in tutto il continente. Il cliente di una banca a Parigi o a Francoforte non si sente più tenuto da ragioni culturali, normative o valutarie a scegliere un operatore locale. L'euro ha abbattuto i confini nazionali e ha creato un mercato unico. Le banche francesi non sono più esclusivamente in concorrenza l'una con l'altra, ma devono fare i conti anche con istituti tedeschi, italiani e spagnoli che cercano di accaparrarsi la loro clientela.
L'aumento della concorrenza è accompagnato da un aumento della regolamentazione, ed errori in aree quali il riciclaggio di denaro e la violazione di sanzioni hanno esposto le banche a indagini, ammende e persino pene detentive per i dipendenti più sfortunati. La cattiva stampa pesa sugli azionisti che sono sempre più consapevoli delle loro responsabilità in fatto di governance. Si delinea pertanto un quadro cupo, e non c'è da stupirsi se il settore ha registrato performance così deludenti nell'ultimo decennio, peggiori anche rispetto alla controparte statunitense.



Oltreoceano, i severi provvedimenti intrapresi per affrontare i problemi sorti in seguito al crollo di Lehman Brothers e alla crisi finanziaria globale hanno infatti dato i loro frutti. Gli Stati Uniti contano un minor numero di banche più efficienti con migliori livelli di capitale e portafogli prestiti più sani. Ma in qualità di investitori ci viene sempre chiesto di considerare il futuro, non il passato. Cosa riserva il futuro alle banche?
Sulla base del rapporto price/tangible book value (prezzo/valore contabile tangibile), le valutazioni stanno precipitando ai livelli del 2009 e del 2012, e in alcuni casi quotano a metà di tali valori o ancora più in basso. Uno sconto è indubbiamente appropriato per le società caratterizzate da una redditività del capitale proprio ampiamente inferiore al costo del capitale, ma la situazione ci è forse sfuggita di mano? Concentriamoci su cosa potrebbe cambiare.
In primo luogo, un consolidamento (ossia una riduzione del numero di banche) è indispensabile e fornirebbe un importante sostegno alle quotazioni azionarie del settore. L'Irlanda ha conosciuto questa situazione molto presto: la crisi finanziaria aveva colpito così duramente le banche del paese e il suo impatto sull'economia nel suo complesso era stato così doloroso che sono state prese misure drastiche.


Le banche locali sono state nazionalizzate (integralmente o in parte) e i concorrenti esteri si sono ritirati. Ci si è liberati dei crediti inesigibili attraverso svalutazioni e l'isolamento in una "bad bank". I prezzi degli attivi hanno registrato una correzione e il debito è diminuito.
L'Irlanda è quindi un esempio di un modello di successo, ma rappresenta solo una piccola parte dell'Europa, soprattutto in termini di mercati azionari, ed attualmente è minacciata dal rischio Brexit.
Anche la Spagna è intervenuta, anche se più tardi e in modo meno aggressivo: il settore delle casse di risparmio è stato consolidato tramite fusioni e ricapitalizzazioni. La Spagna conta ora un numero minore di banche attive, anche se i grandi istituti operano a livello globale e hanno una marcata esposizione all'America Latina, che non necessariamente potrebbe piacere a tutti.
In Germania sono necessari ulteriori interventi (il che risulterà difficile data la predominanza di società mutue e non quotate) come del resto anche altrove, e il consolidamento transfrontaliero, seppur impegnativo sul piano politico, contribuirebbe a ridurre la sovracapacità e le carenze di capitali.


Qualsiasi segnale in questo senso sarebbe ben accolto dal mercato.
Ma se il problema è in parte macroeconomico, ci saranno soluzioni anche su questo piano?
Qualsiasi incremento dei tassi d'interesse, dell'inflazione e della crescita migliorerebbe la redditività, anche se l'esposizione del bilancio di alcuni istituti alle obbligazioni comporta un certo rischio di erosione del capitale in un contesto di tassi in aumento. Dati i livelli depressi di redditività, non è necessario che tale rialzo sia elevato. È possibile che siamo semplicemente arrivati a un punto di minimo e che questo settore, così poco apprezzato e così trascurato dagli investitori professionali, debba ancora avere il suo momento di gloria. Ma gli eventuali acquirenti potrebbero anche essere motivati da questioni tattiche piuttosto che strategiche, in quanto non ci sono segnali di cambiamenti sufficienti per identificare i modelli di business veramente solidi e sostenibili caratterizzati da una crescita o da un pricing power reale e duraturo. Per questo sono necessari ulteriori interventi.

Francis Ellison, Gestore di portafoglio clienti di Columbia Threadneedle Investments

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