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30/10/2019

idee

Il vero nodo della Brexit si chiama Rebate e Germania e Olanda fanno i furbi

L'uscita della Gran Bretagna provocherà un buco nel bilancio della UE, che dovrà essere ripianato. E Bruxelles lo vuole pure espandere tagliando però welfare e agricoltura

C'è un aspetto poco noto all'interno dei trattati europei che però rende bene l'idea dei bastoni tra le ruote che Barnier e accoliti hanno messo ad una Brexit concordata e amichevole, col terrore di perdere il ricco mercato importatore UK.
Si chiama "Rebate", una sorta di sconto, e si tratta di una correzione voluta e negoziata per la prima volta da Margaret Thatcher negli anni '80. In sintesi, la Lady di ferro aveva chiesto e ottenuto un abbassamento dei versamenti fatti alla UE, poiché ne tornavano indietro molto meno di quanti ne arrivassero a Bruxelles.
Questo ha dato la sponda ad altri Stati membri contributori netti, che hanno chiesto e ottenuto delle agevolazioni simili (uno sconto sullo sconto). Ecco spiegato perché a Germania, Olanda, Danimarca, Austria e Svezia è stata accordata una riduzione sulle quote versate a Bruxelles. Una cosa decisamente poco nota.
Ma non tutti i contribuenti netti hanno potuto usufruire del "rebate". L'Italia, per esempio, che è anch'essa un contributore netto.

In questa Europa, qualcuno è sempre più uguale degli altri.
Guardando agli ultimi 7 anni, i Paesi più "poveri" dell'UE sono quelli che, in percentuale alla propria ricchezza, hanno versato decisamente di più a Bruxelles. Italia compresa. Ma che sorpresa?
Adesso con la Brexit verrebbe a mancare la quota UK (circa 14 miliardi all'anno) e il bilancio comunitario si assottiglierebbe, ma gli euroburocrati di risparmiare non ci pensano neanche. E infatti i negoziati su quello che è noto a Bruxelles come il "quadro finanziario pluriennale" (QFP), saranno insolitamente difficili.
Dalla commissione hanno già fatto sapere che "chi è più ricco dovrà aumentare i propri contributi alla cassa comune e rinunciare ai rebate".
Germania e Olanda, così come anche Austria e Danimarca, per citarne alcuni, lamentano di aver già dato troppo al bilancio comunitario e di non voler veder salire ulteriormente i propri contributi. Una polemica cui la Commissione ha risposto con un documento molto esplicativo: se in termini assoluti la Germania e l'Olanda figurano tra i massimi contribuenti del bilancio UE, lo stesso non avviene quando si relativizzano i singoli contributi parametrandoli alla ricchezza nazionale (Reddito nazionale lordo o RNL).


"È giunto il momento per il Consiglio europeo di concordare un sistema più equo e trasparente in cui le stesse regole si applichino a tutti". Una chiara ammissione di uno squilibrio presente.
Infatti, i Paesi ricchi pagano lo 0,70% mentre i Paesi al di sotto della media UE, quindi i meno ricchi, versano contributi pari allo 0,85% dei loro redditi. Uno squilibrio cui la Commissione dal 2020 vuol porre rimedio (naturalmente a suo favore): Bruxelles chiede un contributo complessivo di chi ha un RNL sopra la media UE pari allo 0,91%, mentre a chi sta sotto questa soglia viene chiesta una quota pari allo 0,90%. Si tratta comunque di un aumento generalizzato, ma necessario per sopperire alla quota mancante della Gran Bretagna.
E qui torna in gioco il "rebate", che con la Brexit cesserà di esistere, compresi gli aiuti agli altri stati membri, che a quel punto le quote le pagheranno per intero.
Secondo uno studio dell'UE, pubblicato dal Funke Mediengruppe, la Germania dovrà aumentare il suo contributo al bilancio dell'UE di 3,8 miliardi di euro ogni anno dopo la partenza del Regno Unito.


I costi aggiuntivi comporteranno un aumento del 16% del contributo annuale della Germania.
La Francia dovrà versare 1,2 miliardi di euro in più all'anno nel bilancio dell'UE, mentre l'Italia dovrà affrontare un contributo aggiuntivo di circa un miliardo di euro.
L'importo che ciascun Paese alla fine verserà nel bilancio dell'UE dipenderà anche dal fatto che Bruxelles decida di perseguire politiche di austerità a seguito della Brexit o se introduca nuove tasse.
Il dibattito è sempre acceso tra coloro che vogliono che l'UE abbia la capacità di tassare in modo indipendente e coloro che vogliono mantenere il diritto di tassazione esclusivamente nelle competenze degli Stati membri. Una questione annosa che sta riemergendo prepotentemente.
La Commissione propone che i dazi doganali, i contributi basati sull'IVA e le entrate del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) siano riscossi a livello dell'UE, non a livello nazionale.
E che l'UE non intenda applicare l'austerity al proprio bilancio, anzi intende aumentarlo, passando dall'1% del reddito europeo lordo all'1,1%.


Sempre secondo il FT, Merkel ha affermato che anche una percentuale dell'1% comporterebbe un "chiaro aumento dei contributi" della Germania. I funzionari di Berlino affermano che la Germania dovrebbe pagare in media 40 miliardi di euro lordi, 10 miliardi di euro in più rispetto a quanto ha attualmente investito.
"A causa di questo aumento e dell'imminente uscita della Gran Bretagna dall'Ue, la Germania sarà eccessivamente gravata quando si tratterà del QFP", ha affermato Merkel. "Per questa ragione dobbiamo parlare di un'equa ripartizione degli oneri sul piano finanziario e di uno sconto per la Germania". Chiaro che non sono credibili, visto che a Berlino sono campioni mondiali di surplus e chi spinge per questi aumenti è Macron
E come la Commissione Europea non abbia intenzione di ridurre il proprio budget, è testimoniato dai programmi che ha già messo in pipeline, e che hanno già previsto una crescita degli stanziamenti, come Horizon 2020, un fondo per la difesa comune, politiche per l'immigrazione o l'Erasmus.


In cambio sono previsti tagli alla coesione sociale (welfare) e agricoltura e pesca.
Quindi, la mancanza delle quote UK e del "rebate", metterebbe con le spalle al muro molti governi, Germania e Olanda in testa, e porrebbe fine anche ad un ingiusto (e ingiustificato) aiuto dato ai Paesi ricchi a danno di quelli più poveri.
Adesso vedremo quanto saranno veramente europeisti. Claudio Gandolfo


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