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10/04/2019

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Punto e a capo - Parola d'ordine: chiudiamo internet! Copyright e legge 230 all'attacco

Le regole che non hanno regolamentato il web in passato superate da leggi che lo chiuderanno

Le mie vecchie battaglie personali per la libertà del web non sono mai terminate, anche se ho perso nel tempo preziosissime sponde come Alberto d'Ottavi, Francesco Di Martile, Roberto Venturini e Marco Zamperini, che ci hanno lasciato troppo, ma troppo presto.
Anzi, in questo ultimo periodo mi sento molto preoccupato sotto questo aspetto, forse come non lo sono mai stato in passato.
Fatto questo preambolo, la premessa è che a mio avviso, le attuali leggi non siano adeguate allo sviluppo del web, così sgombriamo il campo da un approccio totalmente libertario e ci preoccupiamo invece delle questioni serie.
Il web, che non è internet (visto che quest'ultimo è una parte quella che segue certi protocolli di comunicazione) si è sviluppato perché nessuno ha mai messo in discussione la libertà di parola e di espressione, la circolazione delle idee, anche le più strampalate e pericolose, nonché l'uso, del tutto indiscriminato, di contenuti altrui.


Premettendo che è evidente che vi sia un problema di protezione del diritto d'autore, è altrettanto vero che non è pensabile che tale controllo sia delegato dai legislatori ai fornitori dei servizi rispetto alla magistratura.
La lotta alla pirateria delle dirette delle partite di calcio, in corso in tutta Europa, dimostra che qualcosa si può fare, ma che gli strumenti a disposizione sono troppo lenti, ma questo è solo un esempio tra i tanti che si possono fare.
Mi preoccupa la nuova legge europea sul copyright, quindi, che costringe gli Over the Top, le aziende che mostrano i contenuti degli utenti come Youtube, Google, Facebook e via di seguito a effettuare il controllo che, di fatto, sarà automatico, quindi non perfetto per definizione, ma sarebbe comunque opinabile anche nel caso che fosse effettuato da un umano. Queste aziende avranno la possibilità di decidere, insindacabilmente, che un contenuto merita o no di essere mostrato, viola o no un diritto d'autore, lede i diritti o il senso comune.
Questo ragionamento è antistorico, oltre che fortemente illiberale.

Un soggetto che non è riconosciuto come pubblico, si comporta come un soggetto pubblico? Ma stiamo scherzando? Il cenacolo vinciano, quello che tutto il mondo può vedere nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, vive grazie al fatto che in giro per il mondo vi siano tante copie dell'affresco, più o meno riuscite, che hanno permesso il restauro nel migliore dei modi. Se fosse esistita una legge sul copyright, cosa ci sarebbe adesso su quel muro?
Certo, la facilità di replica del digitale non è d'aiuto, ma si devono trovare misure più efficaci per contrastarlo che abbassare le armi e sperare che ci pensi qualcun altro.
Se una tutela del copyright come quella della legge europa preoccupa, per fortuna non solo me ma anche tanti altri operatori del settore e la campagna di Wikipedia ne è testimone, c'è un altro spettro all'orizzonte.
Negli Stati Uniti, da dove internet è partita, si sta mettendo in discussione una legge, la Sezione 230 del Communications Decency Act che ha rappresentato fino a oggi quello che può essere definito il Primo Emendamento del web. Molti siti, servizi, e piattaforme che usiamo tutti i giorni non sarebbero mai esistite senza l'appoggio di questa legge.

Il suo testo afferma che, con poche eccezioni, siti i Web e i servizi non possono essere ritenuti responsabili dei contenuti creati dai loro utenti.
Pensateci: Facebook, Instagram, Goolge e Wikipedia non esisterebbero perché, quando sono nati questi servizi, non avrebbero avuto le possibilità economiche e fisiche di gestire la verifica dei contenuti sulle piattaforme. Chiunque avrebbe avuto la possibilità di denunciare, andare in tribunale, intasarli e bloccare qualsiasi cosa. Giusto o sbagliato non è una discussione accettabile, perché il web non è qui da ieri e non solo non possiamo tornare indietro, ma dato che c'è un'economia legata ad esso, piuttosto fiorente e crescente, non ha senso castrarla.
Mi infastidiscono commentatori che sostengono che i legislatori si comportino in questo modo per ignoranza sul tema e "paura del nuovo", perché semplicemente è inaccettabile, anche se la Brexit dimostra che la politica oggi fatichi a dare a se stessa, prima che ai cittadini, dei comportamenti credibili e responsabili.
La questione di Cambridge Analytica e Facebook ha posto in discussione la neutralità della rete e quindi l'essenza della sezione 230.


Se discutiamo i contenuti, discutiamo anche i commenti, quindi, senza fare un esempio di insulti politici, un ristoratore potrebbe fare causa a Tripadvisor per una recensione.
Credo, senza temere smentite, che sia un'utopia pensare che i servizi internet siano del tutto neutrali, che nessuno cancelli commenti pesanti che non accetta, ma spesso si tratta di accettazione dei termini di utilizzo che nessuno legge e che oggi valgono per qualsiasi cosa, che ogni consumatore tende a ignorare, me compreso, salvo poi svegliarsi bruscamente.
Di fatto, è già una regola, magari non scritta, ma accettata. Facebook blocca in automatico immagini di nudo. Non giudichiamo, fa parte delle regole.
Ma possiamo pensare di volere costruire una rete internet fatta di servizi che rischiano di essere messi in discussione a causa delle preferenze politiche, religiose, piuttosto che delle idee più fantascientifiche, e che possa questo accadere in modo del tutto arbitrario da parte di un software?
Già oggi si parla di Facebook che interviene sulle fake news o blocca alcuni contenuti espliciti su certi argomenti. Che cosa vieterà mai al prossimo Facebook di vietare i commenti di sinistra o di destra, sulla Juve o sul Milan, sul sesso o sulle malattie?
Lo stesso Mark Zuckerberg ha recentemente scritto "sono arrivato a credere che non dovremmo prendere così tante decisioni importanti sul discorso da soli.


 Quindi stiamo creando un organismo indipendente in modo che le persone possano appellarsi alle nostre decisioni".
Arriveremo fino a un controllo delle persone? Con il software che si accorge che queste persone sono entrate nel boschetto di Rogoredo, leggendo i dati del cellulare, e come conseguenza non vengono accettate in certi Pronto soccorso perché ritenuti, per la proprietà transitiva, dei "drogati"?
Ci devono essere delle regole, il far west è pericoloso, ma non si possono delegare ai privati, alla loro sensibilità e discrezione. Non solo bisogna tutelare la libertà di parola, ma anche la possibilità di critica, l'elaborazione delle idee e le loro circolazione. Anche se quelle non ci piacciono.
La lotta durissima e sanguinosa per queste conquiste non può essere barattata per la praticità e il quieto vivere.
Il mondo in questi 30 anni ha compiuto dei passi enormi, non tutti in avanti, ma è successo perché oggi 4 miliardi di persone hanno a disposizione le informazioni. Tutte le informazioni, non una parte di esse.  

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