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20/02/2019

idee

Se l'export non tira più come prima è ora di cambiare

Meglio pensare a come incrementare il Pil partendo dai consumi interni e da un piano di spesa statale in infrastrutture, o comunque di interventi sul territorio, che li supporti creando lavoro

Non è fasciarsi la testa prima di subire un colpo. Pensare che non di solo export possa vivere (e sopravvivere) il Pil italiano è doveroso. L'intera economia globale sta frenando. L'Italia, non diversamente dal solito, frena come e forse più di altri Paesi dell'eurozona. Quindi, o ci lasciamo trasportare verso una nuova e più che probabile recessione, o si pensa ad una alternativa.
I nostri migliori clienti, Germania in testa, vedono un brusco rallentamento delle loro capacità di esportazione, a partire dal settore automotive. E noi che siamo gli alfieri della componentistica non possiamo evitare un drastico ridimensionamento delle commesse. Ovvio che il problema non siamo noi se, per esempio, crollano le vendite di vetture tedesche in Cina o se Trump decide di mettere i dazi alle auto delle case di Berlino. Ma gli effetti li subiamo eccome. E non vale solo per le automobili, ma potrebbero esserci effetti anche per altri comparti che ci vedono protagonisti sui mercati internazionali con le famose 3 F: Fashion, Furniture, Food.


Se è chiaro che potrebbe non bastare più l'eccellenza del Made in Italy, neanche con una ulteriore e folle compressione salariale o di prezzi, occorre percorrere strade diverse per non dipendere in modo così pesante dall'export. Magari cominciando a guardare al mercato interno e abbandonando la nefasta politica di austerity.
Torniamo in Germania, la locomotiva che si sta fermando.
Recentemente, gli economisti tedeschi meno ortodossi e rigidi hanno iniziato a chiedere al governo di utilizzare parte dell'enorme surplus, accumulato attraverso l'export, per incrementare i consumi interni. Questo può avvenire, per esempio, attraverso piani di ammodernamento delle infrastrutture, che - a detta loro - sono ormai fatiscenti per la mancanza di manutenzione o per progettazioni incredibilmente sbagliate e costosissime (vedi l'aeroporto di Berlino). Oppure con l'aumento dei salari, a partire dal superamento dei famigerati minijobs, che coinvolgono ormai quasi 9 milioni di persone, visto che ormai è stato riconosciuto il fallimento della riforma Hartz 4, la matrice dei disequilibri di ricchezza.


Con la produzione industriale ormai in caduta libera, l'intervento statale sembra una delle soluzioni più praticabili. Peraltro, gli stessi industriali chiedono che la mano governativa non agisca solamente sul comparto bancario, dove è già pesantemente intervenuta (in barba alla BCE e agli accordi comunitari). Quindi, quantomeno si è aperta una discussione - finora impossibile - sugli investimenti statali come contrappeso al brusco calo di esportazioni e produzione industriale. In pratica, lo stato dovrebbe istituire una sorta di IRI tedesca per salvare le imprese in difficoltà, cosa che a noi non è mai stata concessa.
Però spesso è la necessità, la disperazione (o altro, chiedere a Macron) che fanno tornare con i piedi per terra gli integralisti.
Chissà che tutta l'Eurozona non abbia giovamento se, abbandonata la fobia tutta teutonica dell'inflazione, i diversi Paesi possano esser messi in grado di affrontare la prossima crisi con armi efficaci e non inutili, come invece vorrebbe questa Commissione Europea ormai prossima alla data di scadenza.
Se l'export frena quindi, meglio pensare a come incrementare il Pil partendo dai consumi interni e da un piano di spesa statale in infrastrutture, o comunque di interventi sul territorio, che li supporti creando lavoro e restituendo capacità di spesa.


Persino i tedeschi ci stanno arrivando.
Non facciamoci trovare impreparati.

Claudio Gandolfo


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