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09/01/2019

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Villani (ALDAI-Federmanager): le sfide si vincono con i manager 4.0

Per le PMI il management proveniente dall'esterno consente il cambio generazionale, favorisce la crescita dell'azienda e la sua internazionalizzazione. Porta una cultura d'impresa innovativa gestendo la trasformazione digitale

In un Paese dove la stragrande maggioranza delle aziende sono PMI, la trasformazione digitale passa necessariamente attraverso i manager che devono fattualmente implementarla. Per consentire alle imprese un salto di qualità sia in termini di dimensioni sia di fatturato, è però necessario che gli stessi manager siano preparati, formati, ma soprattutto ascoltati e supportati dalla proprietà. Un fattore critico per molte aziende italiane. Ne abbiamo parlato con Bruno Villani, Presidente ALDAI-Federmanager.

Competenze digitali: c'è carenza di manager 4.0?

Il nostro Paese sta affrontando quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale e, se ci paragoniamo nello scenario europeo possiamo rilevare soprattutto un ritardo rispetto a tutti i progetti, a tutte le incentivazioni e a tutte le misure messe in piedi - anche dal nostro governo - per favorire l'attuazione di una politica 4.0. Effettivamente si parte con il piano Calenda, orientativamente siamo a un paio di anni fa.
E' un piano molto ambizioso che è nato in un momento molto particolare, che vedeva il nostro tessuto economico e produttivo, costituito in percentuali vicino al 95% da piccole e medie aziende, già alle prese con il passaggio generazionale, con l'aspetto delle dimensioni di impresa e l'internazionalizzazione.


Il piano prevedeva tutta una serie di cose e un aspetto da noi evidenziato immediatamente è stato quello dell'assenza nella cabina di regia, costituita da tanti attori del settore dello scenario economico produttivo, dei manager. Questo a mio avviso è un punto critico, in quanto ritengo che poi nelle aziende i veri attuatori del cambiamento sono i manager. L'imprenditore decide, intraprende delle strade, ma poi chi è all'interno il facilitatore, portatore e attuatore del cambiamento è il manager.
Da questo punto di vista, sarebbe auspicabile che anche in futuro chi è chiamato a prendere certe decisioni prendesse in considerazione la presenza dei manager a questi tavoli. C'è sicuramente carenza di competenze digitali perché lo scenario cambia, cambia il modo di fare impresa, cambia il mondo delle relazioni commerciali, cambiano tutti gli scenari competitivi, e il manager dovrà trasformarsi anche in un gestore dei processi e dell'innovazione, e non solo delle risorse umane. Sarà fondamentale anche la capacità di far circolare le informazioni, di condividerle con i collaboratori e la capacità di essere innovativi e portatori del cambiamento di cui parlavo.


Come ALDAI Federmanager siamo ben consapevoli che c'è una necessità di sviluppo di competenze digitali, e tal fine la nostra federazione ha istituito Be Manager, un programma di certificazione delle competenze manageriali che prevede, in sintesi, il potenziamento di queste competenze. Si tratta di programmi finanziati dal sistema Federmanager per potenziare le skill. Queste oltretutto vanno sempre più orientati verso le soft skill, piuttosto che sulla specializzazione: il manager non deve essere lo specialista tecnico, da quel punto di vista ha i collaboratori in azienda che possono portare tutte le competenze per produrre, occuparsi di logistica e altre cose. Il manager deve avere soft skill che vanno dal problem solving alla visione strategica e di lungo termine, dalla capacità di fare squadra a quella di portare una nuova cultura. E' infatti richiesto un vero e proprio cambiamento culturale.

Il ruolo del management in Italia. Oggi è così disorientato come descrivono i media?

Il management, a mio avviso, rappresenta un po' la spina dorsale del Paese.


Al lato pratico, ci sono migliaia di manager che dalla mattina presto fino a tarda sera sono lì per favorire lo sviluppo dell'azienda, per contribuire alla crescita del Paese, e non sono sicuramente una classe d'élite come spesso da molti viene definita.
Secondo me, il manager non è disorientato, ma è ben consapevole del peso e della responsabilità che ha in questo momento, perché è conscio che anche da lui dipende l'attuazione del cambiamento. Quindi, come fa tutti i giorni, è pronto a prendersi le responsabilità ed è pronto a giocare il proprio ruolo.

Per i manager italiani, quali sono le differenze per chi governa multinazionali, piccole e medie imprese?

Nella mia esperienza lavorativa ho avuto l'opportunità di operare in grandi multinazionali e con PMI. Le differenze sono sostanziali.
La grande azienda è normalmente ben organizzata, strutturata, con tutti i posti coperti da una persona, con CdA di grandi vedute e anche di grandi possibilità, in termini di investimenti e risorse in generale a disposizione. Nella PMI ci sono diverse problematiche da affrontare.


Parto dall'inizio.
La PMI ha il problema oggi, nell'era della quarta rivoluzione industriale, di affrontare prima di tutto un cambiamento culturale, che è fondamentale. Questo è facile a dirsi. Ma nella realtà, se soltanto pensiamo per un momento di metterci nei panni di chi fino a questo momento ha gestito l'azienda in un certo modo, e che deve in qualche maniera mettersi da parte per favorire l'ingresso di una persona esterna che va a gestire l'azienda, è un processo che è sicuramente abbastanza complesso. Io l'ho vissuto e lo sto vivendo.
E' dimostrato chiaramente che le aziende che hanno avuto e hanno successo sono quelle che sono state capaci di affrontare il passaggio generazionale, ma anche di capire che l'impresa ha la necessità di trasformarsi da una gestione famigliare a società di quarto capitalismo con l'immissione di management dall'esterno.
Oggi sono richieste sempre più competenze che vanno al di là di quello che normalmente si trova - salvo eccezioni - nella PMI italiana, dove però nella maggior parte dei casi la proprietà è convinta di avere al proprio interno tutte le competenze necessarie.


E quindi, anche dove c'è una forte volontà da parte dell'imprenditore di mettere del management all'interno, i problemi gestionali diventano estremamente complessi e articolati. Questo per tutta una serie di motivi.
Intanto perché l'imprenditore deve probabilmente accettare di passare da proprietario a collaboratore, e questo passaggio all'interno dell'azienda è abbastanza difficile. E poi il manager stesso che arriva deve giocare il ruolo oltre che strategico anche operativo, perché nelle PMI a differenza delle grandi aziende, spesso una persona è chiamata ad assolvere a più compiti. Difficilmente ci si può permettere tutti i posti di responsabilità che si hanno in una grande azienda.
Quindi, in sintesi, c'è un problema dimensionale: il "piccolo è bello" è sicuramente superato dalla quarta rivoluzione industriale. Bisogna cominciare a pensare a delle piattaforme di collaborazione tra le PMI, che tra queste piuttosto che le reti di impresa, possono avere la possibilità di disporre di competenze allargate, di capitali maggiori, e anche di know how differente rispetto a quello sono le esigenze, magari in termini di internazionalizzazione.



Inoltre, le aziende che hanno avuto successo negli ultimi periodi, sono state quelle capaci, anche nel momento della massima crisi economica che abbiamo attraversato, di internazionalizzarsi, di portare l'azienda ad avere fatturati importanti con l'estero. Questi possono essere almeno al 40, 50 e 60%, poiché il mercato Italia è molto maturo, che soffre molto a livello di domanda interna, come vediamo da tutte le indagini che vengono fatte. E quindi tutte le aziende che sono state capaci di guardare con un occhio diverso al mondo esterno, hanno più brillantemente superato e stanno superando la crisi.

Quali sono le sfide che i manager delle PMI devono affrontare in tema di internazionalizzazione?

Possiamo vederla da due punti di vista. Se uno guarda a livello interno, come capacità delle volte di attrarre investimenti - perché magari per internazionalizzare ho necessità di attrarre investimenti nell'ambito del mio Paese - ci confrontiamo giorno dopo giorno con una serie di fattori. Come la burocrazia, che sicuramente costituisce un grande limite, perché non si fa nulla per agevolare da questo punto di vista le aziende.


Oppure la giustizia civile, e non per ultimo con un altro problema non trascurabile, che è la stabilità politica. E' un fattore che poco si prende in considerazione ma oggi per un investitore che vuol fare qualcosa con un'azienda italiana, per farla crescere, entrare in società ecc., la stabilità politica è veramente impattante. Perché quello che è certo oggi non è certo domani. E noi abbiamo una cadenza da questo punto di vista "invidiabile", forse abbiamo il record per quanto concerne i cambi. Sono fattori che certamente non aiutano le aziende e gli investitori.
Se invece consideriamo la pura internazionalizzazione, intanto ci vogliono delle competenze. Occorrono manager avveduti e preparati.
Da questo punto di vista, come Federmanager con Be manager siamo arrivati a certificare le competenze, negli ultimi due anni circa 300 persone, con la qualifica di Innovation Manager, Export Manager e Manager per l'Internazionalizzazione, Manager di Rete e Temporary Manager.
All'interno delle aziende bisogna avere grande visione strategica e grande capacità di marketing.


Occorre anche comprendere quanto è importante il capitale umano dell'azienda e quindi pensare alla sua formazione, che è la vera grande risorsa dell'impresa: chi non capisce questo è destinato a fallire. E poi nella cultura aziendale deve entrare il principio di mettere il cliente al centro. Questo perché il cliente è il nostro padrone: se noi vendiamo ma il cliente non acquista, chiudiamo.
Quindi bisogna avere la capacità di ascoltare il mercato, la capacità di focalizzarsi sempre di più sulle attese del cliente, e di cogliere segnali deboli: ci sono esigenze espresse o solamente accennate. Sta alla bravura di chi ricopre certi ruoli di cogliere segnali deboli e anticipare e soddisfare le esigenze possibili che arrivano dal mercato.
Poi per internazionalizzare occorre avere anche risorse, umane ed economiche, e questo non è assolutamente trascurabile. Anche se mi permetto di dire - cosa che sto vivendo proprio adesso - che ci sono dei Paesi che fanno di tutto, anche con incentivazioni fortissime, per attrarre investimenti. La Russia, per esempio, ha messo in atto da qualche anno una politica finalizzata - uso termini buoni - alla sostituzione delle importazioni, visto che hanno problemi con inflazione e sanzioni.


Stanno favorendo con misure incredibili (sussidi, location, agevolazioni fiscali ecc.), per fare in modo che le aziende vadano a mettere in atto una produzione in loco.
Si trova tutto il terreno favorevole, ma poi noi dobbiamo mettere a disposizione personale e competenze. Il know how ce l'abbiamo sicuramente: la nostra forza, come azienda Italia, è proprio questo, insieme a capacità di innovazione e creatività. Ma non basta, poiché se voglio andare all'estero, trovo un partner, anche delle agevolazioni, in qualche maniera devo investire anch'io del capitale. E con quella che è la situazione attuale, potrebbe non essere così facile.

Ha parlato di Be Manager: qual è il suo profilo?

E' una persona certificata, attraverso una formazione ricevuta, per sviluppare le competenze che sono necessarie, per esempio, per diventare un manager dell'innovazione. Non lo si può esser solo a parole, devo passare attraverso - oltre che il mio percorso personale - formazioni specifiche che mi consentono di ricoprire appieno un certo tipo di ruolo.
La certificazione è una cosa in cui Federmanager crede moltissimo, e siamo consapevoli che investire sul capitale umano e sulla formazione sarà un fattore di successo per tutte le aziende italiane.


Da questo punto di vista, anche il precedente governo col Piano 4.0 è partito non prendendo in considerazione questo aspetto. Attualmente ci sono misure che vanno in quella direzione ma, a mio avviso, c'è da spingere molto di più in formazione. Il governo e le istituzioni devono lavorare sempre di più per favorire percorsi professionali, specializzazioni, poiché noi abbiamo bisogno di competenze molto particolari.
Per questo Federmanager e Confindustria hanno dato vita anche a 4 Manager con lo scopo di attivare strumenti di politiche attive del lavoro che irrobustiscano le competenze manageriali in linea con quelli che sono i fabbisogni reali delle imprese.

Industria 4.0 ed etica: c'è qualche problema?

La quarta rivoluzione industriale non coinvolge solamente la modalità di produzione, ma anche e soprattutto l'introduzione dell'intelligenza artificiale. Se in questo non si affronta il tema dell'etica il rischio è - come dimostra la storia dell'umanità - che ci siano delle derive per imporre il proprio potere nei confronti di qualcun altro. Vorrei quindi attirare l'attenzione sull'aspetto etico, con dibattiti approfonditi e coinvolgendo tutti gli stakeholder interessati.


Poniamoci quantomeno la domanda: dove ci può portare tutto questo? Riflettiamoci. Siccome abbiamo tutti le competenze e la volontà di evitare che ci siano delle derive negative, metto al centro dell'attenzione questo aspetto che andrà sviluppato come quello della crescita delle competenze digitali.
Su queste ultime poi, noi siamo molto in ritardo rispetto ad altri Paesi. Dai dati rilevati dall'Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali di 4 Manager, emerge che le competenze digitali elevate sono al 50% in alcuni Paesi d'Europa come la Gran Bretagna, al 39% in Germania, mentre in Italia siamo solo al 29%. C'è quindi molto da fare.

Quali saranno gli obiettivi di ALDAI Federmanager per il triennio 2018-2021?

ALDAI è la maggior associazione territoriale di Federmanager, con circa 16mila iscritti. Pensiamo di dover giocare un ruolo importante, dobbiamo essere un punto di riferimento. Forse lo siamo, ma dobbiamo diventarlo sempre di più. Per far questo dobbiamo incrementare i nostri servizi, avere una associazione capace di rispondere al time-to-market nel più breve tempo possibile, e questo può avvenire anche attraverso la nostra digitalizzazione, cosa necessaria anche in Italia da parte della PA, per favorire le aziende attraverso la sburocratizzazione.



ALDAI deve acquisire un ruolo da protagonista con tutti gli stakeholder del territorio, arrivando ad esser presente anche ai tavoli decisionali. Noi vogliamo esserci poiché siamo convinti di avere le competenze. Vogliamo dimostrare con i fatti che possiamo portare valore per la crescita e lo sviluppo del territorio e dell'intero Paese.
Oltre a questi aspetti, sarà determinante sviluppare una nuova cultura di impresa, basata soprattutto sulla managerialità. E noi si questo lavoreremo molto. Senza dimenticare lo sviluppo delle politiche attive per favorire la ricollocazione dei manager che hanno perso il posto di lavoro, piuttosto che la formazione e l'acquisizione di nuove competenze, per coloro di noi che lo necessitano. Un ruolo importante da questo punto di vista lo giocheranno anche le RSA, strategiche all'interno delle aziende, e sviluppare la loro presenza e diffusione sarà determinante: è il colloquio tra l'azienda e chi rappresenta i dirigenti che può portare al miglior risultato, poiché l'obiettivo comune è quello di far crescere l'impresa.  


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