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17/10/2018

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Cosa accadrebbe all'Italia se andasse in default?

Alfonso (Cerved Rating Agency): nello scenario peggiore un'azienda su 5 chiuderebbe, e anche un negozio su 4. Le PMI vedrebbero accentuato il "credit crunch" e vedrebbero un drastico calo dei ricavi

Cosa accadrebbe all'Italia nel caso di default dello Stato sovrano? Quale futuro attende l'economia italiana se apparisse il "cigno nero"? Secondo Cerved Rating Agency, uno dei principali attori in Europa in tema di rating, le conseguenze sarebbero drammatiche: il tasso di default atteso aumenterebbe notevolmente in un orizzonte temporale di tre anni (partendo dall'attuale 6.8%, spazierebbe dall'11% fino al 20% nel caso peggiore), portando alla bancarotta 1 azienda su 5 nel medio termine. Questo secondo lo scenario peggiore. Va detto che in molti pensano che l'Italia sia "too big to fail" e che un suo - eventuale - crollo porterebbe alla dissoluzione dell'euro e forse dell'Unione Europea come la conosciamo, specialmente dopo la Brexit.
"Più specificatamente - commenta Mauro Alfonso, Amministratore Delegato di Cerved Rating Agency - la possibilità per l'Italia di abbandonare l'eurozona, troppo spesso ventilata, comporterebbe un significativo aumento del rischio, che coinvolgerebbe in maniera rilevante, tra gli altri, i settori del commercio e delle costruzioni (24% di default), segmenti di mercato che pagherebbero il conto più alto nel concretizzarsi di questo molto sgradevole scenario".


Al 2020, un negozio su quattro non alzerebbe più la saracinesca, i fallimenti tra alberghi e ristoranti sfiorerebbero il 30%, il 20% tra le aziende dell'abbigliamento. Andrebbe un po' meglio per le aziende della chimica-farmaceutica, della componentistica e dell'ICT, che comunque vedrebbero chiudere 1 impresa su 10.
Stando all'opinione dell'agenzia di rating, e nel peggiore degli scenari, in caso di default dello Stato Italiano le PMI soffrirebbero in maniera molto rilevante del taglio delle attività di prestito delle banche, generato dall'aumento di più del 10% dei tassi di rendimento a 10 anni. Allo stesso modo, la fiducia degli investitori nell'Italia si ridurrebbe notevolmente, con pesanti conseguenze sulle chance delle imprese di competere nei mercati e assumere forza lavoro.
Infine, se da un lato per le aziende italiane "QuItaly" vi sarebbero minori costi e indebitamenti dovuti puramente alle diminuzioni dei ritmi produttivi, dall'altro lato l'effetto più pesante sarebbe il brusco calo dei ricavi, che indurrebbe un taglio irreversibile degli indici di profittabilità nel medio periodo.


Lo studio di Cerved Rating Agency riporta quattro scenari, di cui questo è il più drammatico. Per realizzarlo sono state studiate, oltre a modelli statistici, le condizioni macro-economiche reali verificatesi su base storica in tema di sovereign default, prendendo in considerazione gli scenari dei casi ben noti di Argentina e Grecia.
Giova ricordare che l'Italia Non è assimilabile a nessuno dei due stati, e siamo pur sempre una delle maggiori potenze industriali del mondo, con un tessuto industriale che Grecia e Argentina non possiedono, e con un patrimonio privato varie volte superiore al debito pubblico, a differenza di tutti i partner dell'eurozona.
In Argentina il prodotto interno lordo crollò più del 10% in un solo anno nel 2002, per poi recuperare gradualmente negli anni successivi e raggiungere i livelli pre-default solo nel 2004, quando i fattori esterni favorirono le condizioni di commercio del Paese.
Analogamente, in Grecia il tasso di crescita del PIL raggiunse il livello più basso nel 2011 (-9,13%) e rimase negativo negli anni seguenti, mentre il tasso di rendimento dei titoli governativi a 10 anni toccò il tetto massimo (39,9%) sempre nel 2011.


Il tutto con gravissime ripercussioni sociali.
Congiunture pesanti, evidenzia lo studio, che ai giorni nostri non sembrano purtroppo così remote.
"Collassi delle situazioni macroeconomiche dovrebbero essere presi seriamente in considerazione e gestiti adeguatamente - conclude Alfonso - dal momento che la possibilità per l'Italia di lasciare l'Unione Europea o incorrere nel default sovrano sono alcuni degli scenari che appaiono all'orizzonte".
Ci sentiamo di aggiungere che un'eventuale (ma molto remota) uscita dall'eurozona certamente non sarà una passeggiata, ma con un tasso di cambio più aderente alla realtà economica del nostro Paese, potremmo trarne alcuni vantaggi, tra cui un debito pubblico denominato in valuta locale (e quindi svalutato), e che probabilmente l'export ne gioverebbe in misura significativa, aumentando la nostra competitività sui mercati internazionali.


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