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10/10/2018

economia

Riduzione degli stimoli, non stretta monetaria

Barbe e Jonsson (Neuberger Berman): il ritiro del QE della BCE non dovrebbe creare degli squilibri nei mercati obbligazionari in euro

In occasione della sua ultima riunione, la Banca Centrale Europea ha confermato che a fine anno concluderà il suo programma di acquisto di obbligazioni. Molti investitori temono che questa decisione possa rappresentare una sfida per i mercati obbligazionari in euro poiché i premi per il rischio sono ancora bassi, in gran parte a causa del successo riscosso dallo stesso quantitative easing (QE). Ma davvero la fine del QE potrà far deragliare le obbligazioni dell'Eurozona?

Scarsità

Il QE dell'area euro, iniziato nel 2015, ha incluso acquisti di titoli di Stato, covered bond e obbligazioni societarie. Al tempo stesso, la BCE ha offerto finanziamenti a basso costo alle banche mediante le sue operazioni di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO).
Ciò significa che tutti i mercati obbligazionari sono influenzati dal QE: la BCE detiene il 22% dei titoli di Stato e il 9% delle obbligazioni societarie in circolazione, mentre le banche hanno nettamente ridotto le proprie emissioni di titoli senior a favore del TLTRO. Di conseguenza, gli spread creditizi si mantengono vicini ai minimi storici e si registra una scarsità di obbligazioni governative con rating AAA.


Questo fenomeno giustifica il graduale ritiro del programma di QE. Inoltre, dall'analisi della stessa banca centrale emerge che le dimensioni del suo bilancio contano più del fatto che continuino ad aumentare tramite gli acquisti di obbligazioni o del ritmo a cui avvengono. Al momento del lancio del QE, nel 2015, i tassi passarono immediatamente in territorio negativo, ma la crescita economica dell'Eurozona cominciò ad accelerare solo verso la fine del 2016, quando il bilancio della BCE superò quota 2.000 miliardi di euro. Fu necessario un periodo prolungato di finanziamenti a basso costo perché le imprese ritrovassero fiducia e ricominciassero ad attuare i loro piani d'investimento.

Stabilità

Quando il QE giungerà al termine, il bilancio della BCE sarà ancora di dimensioni elevate. Inoltre, la fine del QE non rappresenta l'inizio di una politica monetaria restrittiva.
La BCE ha ribadito il suo orientamento secondo cui i tassi d'interesse rimarranno negativi almeno fino alla prossima estate. I prezzi e i salari hanno cominciato a salire, ma l'obiettivo d'inflazione del 2% fissato dall'istituto è ancora piuttosto lontano.

La bassa inflazione è dovuta in parte al fatto che, nonostante il QE e i tassi negativi, l'euro si è deprezzato meno del previsto e solo temporaneamente, mentre nel 2018 la moneta unica si è riportata intorno ai suoi livelli medi.
Il lato positivo della stabilità del cambio e del basso rischio d'inflazione è che permettono alla BCE di lasciare il suo bilancio a livelli elevati e i tassi d'interesse in territorio negativo, al fine di mantenere bassi i rendimenti e gli spread creditizi compressi.
Si tratta di un elemento cruciale per sostenere la ripresa in atto nella regione; infatti, i Paesi meridionali dell'Eurozona cominciano solo ora a registrare un'accelerazione dei prestiti bancari e un recupero della fiducia delle piccole e medie imprese, che a loro volta dovrebbero contribuire a prevenire il rischio sistemico e un potenziale contagio. A questo proposito, vale la pena sottolineare che le tensioni politiche emerse quest'anno in Italia non hanno avuto ricadute sui mercati finanziari degli altri Paesi.
Ad ottobre i flussi legati all'imminente conclusione del programma di acquisto di obbligazioni societarie potrebbero far ampliare gli spread dei titoli in euro, ma a nostro avviso questo premio aggiuntivo e la politica monetaria ancora espansiva dovrebbero attrarre i capitali degli investitori a caccia di rendimenti superiori.


Il reinvestimento dei proventi incassati sulle obbligazioni in scadenza detenute dalla BCE aiuterà i prezzi di mercato ad adeguarsi gradualmente. Ci aspettiamo un aumento dei tassi sui Bund tedeschi decennali verso quota 0,75% a fine 2018 ed eventualmente fino all'1% nel 2019, in base all'andamento dell'inflazione.

Valore relativo

In termini di valore relativo globale, il pessimismo del mercato nei confronti dell'Europa ci sembra dunque eccessivo. Quest'anno la crescita ha deluso le attese rispetto ai livelli insostenibili dell'anno scorso, ma si mantiene al di sopra del trend; l'euro è conveniente rispetto al dollaro; le condizioni finanziarie sono ancora accomodanti e la BCE propende per un orientamento espansivo. Una guerra commerciale potrebbe penalizzare le esportazioni dell'area euro, che però sono ben diversificate sul piano geografico, e non vi è alcun segno che le tensioni commerciali stiano frenando la crescita della spesa per investimenti delle aziende europee.
Per contro, i premi per il rischio del mercato statunitense scontano un trend super rialzista, nonostante l'incertezza relativa alla forza del dollaro, al ritmo con cui avveranno gli aumenti dei tassi e al risanamento fiscale che si renderà necessario una volta esaurito l'impatto degli stimoli fiscali.



Sui mercati in euro, privilegiamo una duration corta sui tassi dei Paesi core e semi-core, limitiamo l'esposizione sul segmento a lungo termine delle curve dei rendimenti e rimaniamo prudenti nei confronti delle obbligazioni societarie in vista del graduale ritiro del programma di QE. Tuttavia, riteniamo che i titoli di Stato italiani siano tornati su livelli interessanti in chiave tattica e, nel medio termine, giudichiamo senz'altro eccessivi i timori di un forte aumento dei rendimenti obbligazionari e degli spread legati alla graduale liquidazione delle posizioni della BCE in questi mercati.

Patrick Barbe e Jon Jonsson, Senior Portfolio Manager, Investment Grade Fixed Income, Neuberger Berman


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