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05/09/2018

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Mazzalai (Icebergfinanza): la guerra dei dazi porta alla recessione globale

L'Unione Europa non ha alcuna possibilità di sopravvivere ad una guerra commerciale simultanea, con USA, Cina ed Inghilterra

Guerra commerciale tra USA Cina ed Europa, esplosione deflattiva da debiti, la politica dei tassi della BCE, la situazione delle banche italiane alle prese con la troppo rapida svendita degli NPL e le novità in tema di restituzione dell'autonomia alle BCC. I temi sono tanti e su questi abbiamo intervistato Andrea Mazzalai, consulente finanziario private, blogger autore di Icebergfinanza.

Ormai Trump ha dichiarato esplicitamente guerra all'Europa e alla Cina. Che cosa differenzia o accomuna i due scenari?

Prima di iniziare, una importante premessa. I dati, le fonti spesso e volentieri portano a gravi asimmetrie informative. In qualunque campo l'affidabilità delle fonti è messa a dura prova dai conflitti di interesse. Dazi e tariffe, spesso e volentieri vengono calcolati e decisi sulla base di informazioni che non sempre corrispondono alla realtà, frequentemente vengono assunte decisioni che danneggiano più che migliorare la redditività di un determinato settore.


Che senso ha avviare una guerra commerciale i cui effetti positivi potrebbero essere inferiori all'attendibilità delle statistiche stesse? Usando una metafora bellica, sarebbe come mandare un intero reggimento a cercare di conquistare un territorio la cui importanza raffigurata sulle mappe non corrisponde alla realtà.
Colpire l'uno o l'altro servizio o prodotto, non ha senso se non si conoscono a fondo le conseguenze. Spesso le guerre vengono combattute senza senso logico, e le conseguenze sono sempre devastanti. Difficile però assistere al buon senso nel bel mezzo di una guerra come, per esempio, ad una seria analisi ufficiale congiunta, sui reciproci flussi commerciali.
La differenza tra i due scenari sta nella composizione dei deficit commerciali tra Cina ed Europa verso gli Stati Uniti: nulla accomuna i due scenari, o forse si. Trump recentemente ha accusato entrambi di manipolare la valuta, come il bue che dà del cornuto all'asino.
La Cina ha molte più possibilità di far fronte alle difficoltà, manipolando la sua valuta anche se rischia una fuga di capitali. L'Europa è quella che rischia di più.

La capacità decisionale dei burocrati europei è nulla in confronto a quella del governo americano o cinese. L'Europa rischia di affrontare una guerra commerciale con una struttura decisionale obsoleta, soprattutto se nel frattempo, assisteremo ad una hard Brexit.
Chi mi garantisce che Francia e Germania, tanto per fare due nomi, hanno gli stessi interessi commerciali, visto quello che è accaduto sino ad oggi?
Gli Stati Uniti hanno ragione sui dazi nel mercato automobilistico, il principale loro obiettivo è la Germania, la quale cerca un accordo, a differenza della Francia che non vuole saperne.
Draghi ha svalutato l'euro, strategia principale per salvare la zona UE, di conseguenza il resto del mondo ha dovuto assorbire l'eccedenza nelle partite correnti.
L'Unione Europa non ha alcuna possibilità di sopravvivere ad una guerra commerciale simultanea, con USA, Cina ed Inghilterra; inoltre, l'UE ha appena stipulato un accordo a tariffe zero con il Giappone, diversamente avrebbe avuto un altro nemico. Ma la Germania in campo commerciale non ha alcuna lungimiranza, loro conoscono solo le politiche mercantilistiche.


Ridicolo pensare come fa il FMI che una eventuale guerra farà scendere solo dello 0,5% il Pil mondiale: i danni saranno sensibili e diffusi. Qualcuno crede ancora che all'ultimo momento, si troverà un accordo, che qualcuno farà un passo indietro. Ma in realtà ciò accadrà, forse, solo nell'ultimo stadio di questa guerra commerciale.
Da sempre lo squilibrio della bilancia commerciale degli USA ha origine negli USA stessi. Il deficit commerciale è pari all'eccesso di investimenti del settore privato rispetto ai risparmi. Ribadisco, rispetto al risparmio che il consumatore americano non conosce. Inoltre, viene determinato dall'eccesso di spesa pubblica rispetto alle entrate fiscali. Quindi la fonte dello squilibrio commerciale americano è il consumo. E' naturale che i consumi in eccesso saranno soddisfatti dalle importazioni che saranno sempre superiori alle esportazioni.
Solo il debito ha permesso al consumatore americano di vivere al di sopra delle sue reali possibilità. Una classe media in via di estinzione. A differenza di quello che disse Connally, segretario al tesoro di Nixon, ora è il dollaro il loro problema.



Un velo pietoso è da stendere sull'accordo tra Germania e Stati Uniti per il possibile annullamento dei dazi sui beni industriali, auto escluse, in cambio di maggiori acquisti di gas e soia. Lo sa il lettore che l'Italia produce il 50% della soia europea e che il gas russo costa sensibilmente meno di quello americano? Nessuna possibilità che questo accordo vada in porto, come è successo con la Cina, solo una tregua, poi la guerra è ripresa.

Hai più volte affermato che ci avviamo verso una esplosione deflattiva da debiti, perché tale è comunque anche una guerra commerciale. Come può finire?

Per avere una risposta precisa basterebbe affidarsi alla storia, all'analisi empirica, utilizzare forse l'unico episodio degno di rilievo che accadde durante la Grande Depressione, nel 1930. L'amministrazione repubblicana Hoover, approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act, dazi medi sulle importazioni americane sino a quasi il 60%, addirittura in media sul 20% di tutte le importazioni. Questa misura favorì, il crollo degli scambi commerciali, il crollo del Pil globale sino ad allungare i tempi di risalita dalla depressione.



Nonostante questo, ancora oggi c'è chi parla di inflazione o stagflazione, dimenticando che in realtà il pericolo maggiore è quello di un'esplosione deflattiva nel tempo.
Date un'occhiata al grafico su cosa accadde all'indice dei prezzi al consumo, nei tre anni successivi all'imposizione dei dazi.
Il rischio principale non è tanto quello inflattivo, ma quali saranno le ricadute economiche di una vera e propria guerra commerciale, E' chiaro che l'effetto iniziale coinvolgerebbe i prezzi delle merci, ma le forze deflattive sono superiori, sarebbe impossibile evitare una recessione globale.
Alcuni effetti di questa tendenza deflazionaria si possono già osservare nei Paesi Emergenti e soprattutto in Cina, dove l'economia sta decisamente frenando.

Passiamo all'euro. Draghi ha annunciato sia il tapering del QE sia che i tassi rimarranno bassi a lungo. In pratica, quale scenario potremmo vedere nel 2019?

Mario Draghi nell'ultima conferenza della BCE prima della pausa estiva ha affermato che "le incertezze, in particolare quelle legate al contesto commerciale globale, rimangono importanti, nonostante la crescita dell'Eurozona continui su un percorso solido".


Una guerra commerciale "in cui si susseguono round di offensive e ritorsioni creerebbe un clima completamente diverso", ha osservato il presidente della Bce.
L'intesa annunciata da Trump e dal presidente della commissione UE Jean-Claude Juncker "è un buon segno, mostra che c'è di nuovo la volontà di discutere del commercio in una cornice multilaterale", ha detto Draghi, anche se "è troppo presto per dire di più".
Spesso e volentieri non sono d'accordo con Draghi, ma questa volta ha ragione. Pensate a quello che è successo con la Cina: più volte si parlava di accordi raggiunti o dialoghi possibili, ma in realtà nulla è successo.
I tassi resteranno bassi a lungo termine e il QE resterà a lungo con noi, semplicemente perché questa è una deflazione da debiti. Il debito globale ha appena raggiunto il nuovo massimo storico, 247.000 miliardi di dollari, una cifra assurda, in continua ed inesorabile espansione. Il rapporto debito/Pil ha superato il 318% e la Federal Reserve continua ad aumentare i tassi per prepararsi alla prossima recessione, dove i tassi scenderanno in negativo.
Il settore delle imprese è fortemente indebitato e potrebbe essere molto vulnerabile a tassi di interesse più elevati: hanno utilizzato tassi artificialmente bassi per contrarre prestiti sui mercati dei capitali.


Pure il settore privato in genere si trova nelle stesse condizioni.
Ma davvero qualcuno crede che la politica monetaria della BCE potrà cambiare? Per carità, all'idiozia non c'è limite. Il prossimo anno probabilmente Weidmann diventerà governatore della BCE e allora ci sarà da ridere.

Veniamo all'Italia e alle sue banche: il problema degli NPL come viene attualmente affrontato?

Tecnicamente la nozione Non Performing Loans comprende le categorie di crediti denominate "partite incagliate"; ovvero crediti verso soggetti in temporanea difficoltà ma che si presumono recuperabili, crediti che hanno subito un cambiamento delle condizioni contrattuali; ovvero crediti ristrutturati dovuti al peggioramento delle condizioni finanziarie del debitore, crediti non onorati da oltre 180 giorni, esposizioni scadute o sconfinanti e le sofferenze dovute all'insolvenza del debitore.
Non sto in questa sede a ricordare la differenza di trattamento nei bilanci europei tra i derivati e NPL, ma basta ricordare che secondo l'EBA, dopo Grecia e Cipro, noi siamo il Paese con il più alto ammontare di crediti deteriorati, con ben tre banche nelle prime peggiori sette.



L'incremento dei crediti deteriorati è in parte dovuto anche alle conseguenze degli eccessivi tempi di recupero. Spesso e volentieri non si tiene conto delle garanzie reali e personali che ci sono su alcuni di questi crediti, come se questo non fosse uno dei primi Paesi con la più alta percentuale di risparmio al mondo.
Gli ultimi dati ci dicono che è bastata una ripresa anemica per far scendere sensibilmente le sofferenze. La mia domanda è sempre la stessa: che fretta c'era di liquidare o svendere NPL talvolta a valori addirittura sotto i 10 centesimi?
La stessa fretta che ha prodotto la criminale riforma delle banche popolari o rischiato di consegnare il credito cooperativo del nostro Paese alla speculazione?
La stessa fretta che ha generato il bail-in o il pareggio di bilancio in Costituzione, due delle più grandi fesserie istituzionali della storia della Repubblica italiana?
Per quale motivo lo scorso anno, la BCE voleva imporre regole generalizzate pericolosissime per lo smaltimento dei crediti in sofferenza e solo ora, dopo miliardi e miliardi di NPL letteralmente gettati via, cambia idea sotto pressione e fissa regole variabili per ogni singolo istituto? Un approccio che solo ora tiene conto delle specificità dei singoli istituti, in modo da individuare un percorso graduale e sostenibile per determinare i livelli di accantonamento sui crediti.



Mi fermo qui perché rischio di fare peccato, pensando male, ma quali interessi ci sono dietro tutta questa fretta?
Colgo l'occasione, per agganciarmi alla fretta generale che ha prodotto riforme inappropriate a dir poco, parlando dell'ultimo decreto Milleproroghe che ha prodotto una riforma della pessima riforma Renzi sulle Banche di Credito Cooperativo.
Si tratta di un primo step, ma è innegabile che il testo è positivo, perché restituisce l'autonomia alle BCC meglio gestite, più virtuose. Viene messo in risalto il carattere localistico, una delle mission di una BCC, si rafforza la presenza nella holding espressa nella maggioranza dei consiglieri più due e con il 60% del capitale in mano.
Non da ultimo, il principio di proporzionalità rispetto al rischio, ovvero l'applicazione di un semaforo denominato "risk based".
Ma davvero qualcuno nel precedente governo con in testa l'ex per fortuna ministro Padoan, davvero pensava di uniformare il giudizio sul merito del credito senza distinguere una corporation, da una piccola e media impresa, un'azienda famigliare o un artigiano qualunque?
Norme contenute inizialmente nelle linee guida della BCE sui Non Performing Loans delle banche europee "significant", tra cui rientreranno anche le tre capogruppo BCC italiane.



Sono basti alcuni semplici no, per cambiare in meglio la situazione, la fretta è spesso una cattiva consigliere, forse questa volta suggerita dal conflitto di interesse.


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