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Editoriale
Obiettivo crescita del Pil

Una delle promesse di questo governo è quella di abbattere il debito pubblico. Ci sono solamente due modi per farlo: aumentare le entrate dello stato attraverso la tassazione, la compressione dei consumi interni, la drastica diminuzione degli investimenti pubblici e la deflazione salariale; oppure aumentare il Pil. L'austerity imposta dalla UE via Monti (e governi seguenti) ha scelto la prima strada, con i risultati che sappiamo. Il debito pubblico è salito (e di parecchio), la povertà della popolazione pure, e il tessuto industriale è in decomposizione.
Ora, il Pil è composto circa al 60% di consumi interni e al 20% di investimenti pubblici, e solo al 4% dalle esportazioni. Agire solo sulla supply side (l'offerta) ha portato al collasso aziende e famiglie. Se questa strada è sbagliata, è ovvio che dopo otto anni non è il caso di insistere, pena finire come la Grecia.
Questo governo ha indicato che bisogna agire sui consumi interni e investimenti pubblici (ma aumentandoli), attraverso la flat tax, una qualche forma di reddito garantito e una serie di interventi in infrastrutture. Per riuscirci occorrerà ricordare a Bruxelles che le regole di Maastricht valgono per tutti e non solo per noi, oltre al fatto che se queste sono recessive per l'Italia, sarà opportuno aggiustarle o derogarle.
Investire per aumentare il Pil significa fare debito che poi sarà sicuramente ripagato, innescando un circuito virtuoso. L'Europa questa volta non potrà fare la solita faccia cattiva invocando l'austerity ed il rispetto delle regole tanto care ai burocrati, ma sganciate dal mondo reale.
Mai come oggi ci sono scenari di euroscetticismo diffuso, con la Germania alle prese con un forte rallentamento della produzione industriale e dell'export, oltre che con una crisi politica - col rischio che Merkel vada a casa - che sembrava impensabile fino a poche settimane fa. I dazi USA iniziano a farsi sentire, oltre ai vari scandali interni. La Francia, nonostante l'attivismo di Macron, è squassata da scioperi e forte disagio sociale, oltre al fatto che la sua bilancia dei pagamenti è perennemente in deficit. E Bruxelles si avvia alle elezioni del parlamento del 2019, dove c'è un forte rischio di una maggioranza euroscettica.
Forse è proprio arrivato il momento di far sentire la voce dell'Italia, silenziata per troppo tempo. Possiamo farcela.



Claudio Gandolfo

In questo numero


 

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