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06/06/2018

idee

Manifatturiero: chi investe in tecnologia vola con l'export

Lanza (Prometeia): le imprese che hanno superato la crisi conquistano nuovi mercati, anche lontani che solo fino a 10 anni fa erano inimmaginabili

L'industria manifatturiera italiana ha archiviato un 2017 particolarmente positivo, tra i migliori anni del postcrisi: il fatturato è aumentato del 4.3% a valore e del 2.9% a prezzi costanti, grazie al contributo sia della componente interna, sostenuta dalla ripresa del ciclo degli investimenti, sia di quella estera, supportata da esportazioni in accelerazione, nonostante il rafforzamento dell'euro sul finire dell'anno. Nella prima parte del 2018 sono emersi segnali di rallentamento, effetto soprattutto dell'incertezza politica interna ed internazionale, e interpretabili come una fisiologica normalizzazione dei tassi di sviluppo, anche alla luce dell'ottimo andamento degli ordini. L'industria manifatturiera italiana vedrà un consolidamento del trend espansivo, con i livelli di attività che cresceranno del 2.4% nel 2018 e del 2.1% nel 2019, a prezzi costanti. Alla fine del biennio, il fatturato si riporterà sui valori del 2007. Nel 2020-22 si assisterà a un graduale rallentamento del ritmo di crescita dell'attività al di sotto del 2% (a prezzi costanti), coerentemente con un fisiologico ripiegamento ciclico della domanda.

Sono solamente alcune delle evidenze contenute nell'Analisi dei settori industriali, a cura dell'Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo e di Prometeia. Sulle prospettive della manifattura italiana abbiamo intervistato Alessandra Lanza, responsabile strategie territoriali presso Prometeia, società di consulenza.

Che cosa è emerso dal rapporto?

Ciò che emerge è un tessuto di imprese manifatturiere profondamente rinnovato, in termini di competenze e di dimensione. Osserviamo finalmente una piccola crescita dimensionale. Ma è rinnovato soprattutto in termini di competitività. Le nostre imprese hanno superato la crisi con un grandissimo sforzo, riuscendo ad affermarsi sui mercati internazionali, conquistando nuovi mercati - anche lontani che solo fino a 10 anni fa erano inimmaginabili - e facendolo con forza, con una quota che è riuscita a tener testa anche ai concorrenti più temibili come per esempio, la Cina.

Fattore investimenti

Finalmente nel nostro Paese le imprese, superata la fase più acuta della crisi, sono tornate ad investire.

Lo hanno fatto con decisione, puntando soprattutto alle nuove tecnologie. Penso in particolare alle tecnologie di informazione e comunicazione, a quelle 4.0 e all'alta tecnologia, tutti settori dove eravamo scarsamente presenti e dove certamente il governo uscente ha fatto la propria parte con politiche di sostegno, nuove anche nella concezione rispetto a ciò che eravamo abituati, e merito anche delle imprese che hanno risposto massicciamente. Nonostante questo nelle tecnologie 4.0 rimaniamo quattordicesimi per numero di brevetti nel mondo. La strada è ancora lunga e c'è molto terreno da coprire. Lo stiamo facendo con tassi di crescita a doppia cifra ed è importante che continuiamo su questa strada.

Quali settori saranno maggiormente beneficiati dagli investimenti?

Sicuramente quelli che hanno investito per primi, penso in particolare alla meccanica. Ma in realtà le tecnologie 4.0 sono tecnologie che potremmo chiamare estremamente democratiche, quindi tutti i settori in linea di principio. Sono tecnologie che possono aiutare i comparti del Made in Italy tradizionale, penso alla moda, all'alimentare, ai mobili.

Si tratta solo di cogliere questa opportunità.
Ad oggi i settori che più ne hanno beneficiato sono la meccanica, la filiera dell'auto, le filiere dell'alta tecnologia, per esempio l'aerospazio, e certamente la farmaceutica.

Export: quali sono le prospettive e come è cambiato nel tempo nell'ambito del vostro rapporto?

Le esportazioni hanno ancora prospettive decisamente positive, nonostante ci si muova in uno scenario internazionale che presenta molti rischi. Da un lato vi sono rischi di carattere geopolitico che dominano l'agenda di questi giorni. Dall'altro rischi legati al protezionismo, in particolare quello imposto dagli Stati Uniti. Tuttavia, le nostre imprese hanno una vocazione esportatrice radicata e di lunga data, e su questo già facevano bene cinque anni fa e adesso stanno facendo ancora meglio, tant'è che pensiamo che il saldo commerciale del manifatturiero dell'Italia al 2022 sia di 115 miliardi di euro, con una crescita esponenziale rispetto a 10 anni fa dove partivamo da 30 miliardi. E soprattutto con una crescita diffusa a tanti settori: fa impressione la meccanica che di questi 115 miliardi se ne porta a casa ben 25, ma fanno forse ancora più effetto il sistema moda e gli alimentari - comparti tradizionalmente in deficit commerciale - che tornano in attivo, avendo intrapreso un percorso di internazionalizzazione più tardivo, ma di grande successo.




Costo del lavoro italiano: non rischia di essere un freno per l'export?

Facciamo una serie di puntualizzazioni. Il costo del lavoro in Italia è più alto rispetto all'estero. Ma quale estero? Rispetto a quello cinese verosimilmente si, anche se è molto a macchia di leopardo. Dipende di che Cina stiamo parlando: è un continente che è partito sicuramente facendoci concorrenza basandosi sul costo del lavoro, ma oggi in alcune aree cinesi, maggiormente popolate, con più tecnologie e più crescita hanno sicuramente costi del lavoro che cominciano ad essere vicini a quelli occidentali. I concorrenti francesi e tedeschi hanno costi del lavoro estremamente più alti di quelli italiani. Quando diciamo che questo costo in Italia è alto, quello che in realtà stiamo dicendo è che il cuneo fiscale è alto, che è cosa diversa. In termini semplici, un operaio tedesco guadagna più del doppio di un collega italiano. La differenza la fanno la fiscalità e la previdenza sia sulle nostre imprese sia sui lavoratori. Questo è un freno al nostro export? Se lo è, lo è sempre stato. Non c'è stato un peggioramento sotto questo punto di vista, se lo guardiamo in termini dinamici.


E' evidente che la fiscalità è un termine rilevante per le imprese e per tutto il Paese. Tuttavia, in alcuni casi, si tratta probabilmente solo di fare ordine: non abbiamo una fiscalità particolarmente penalizzante rispetto, per esempio, alla Germania. Tutti i Paesi sviluppati hanno una fiscalità importante, che però si traduce in servizi. Quello che probabilmente è da "rioliare" come meccanismo non è tanto dare benefici fiscali, quanto far si che questi benefici fiscali si traducano poi in un "level plain field" per le nostre imprese che le renda competitive. In pratica, meno burocrazia, meno costi per la giustizia, che deve essere più veloce e assicurare la certezza del diritto (che non sia diverso tra Trento, Pescara, Padova o Palermo); e poi assicurare il diritto del lavoro, quello commerciale e quello per le imprese, pubblico o privato.
Quindi il tema della fiscalità va guardato in un orizzonte più ampio, dove si pesino costi e benefici.

Guardando ai settori, quali sono le prospettive?

I comparti che vediamo maggiormente attrezzati per beneficiare ancora di questa fase di crescita sono quelli che in parte hanno investito e innovato di più.


Penso alla farmaceutica, alla filiera dell'auto, certamente alla meccanica, ma anche ad alcuni settori del Made in Italy tradizionale, che hanno una vocazione all'export molto accentuata. Per esempio, il sistema moda. Ci sono settori che faticano di più, in cui abbiamo perso molta capacità produttiva, come l'elettronica o gli elettrodomestici. E, pur non essendo manifatturiero, anche il comparto delle costruzioni è un settore che soffre ancora molto.


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