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16/05/2018

economia

Mercati emergenti: le prospettive sono positive

Giannico (Raiffeisen CM): interessanti anche i mercati di frontiera, ma possono avere impatti di rischio dal punto di vista politico

In un'ottica di differenziazione dei portafogli, i Mercati Emergenti da tempo sono presenti tra le scelte degli investitori. Sono interessanti perché offrono possibilità maggiori rispetto a Europa e Stati Uniti. Ma occorre conoscerli poiché non sono affatto tutti uguali. Ne abbiamo parlato con Donato Giannico, Country Head Italy, Raiffeisen Capital Management.

Qual è il vostro outlook sui Mercati Emergenti per il 2018?

Intanto dividiamo il reddito fisso dall'azionario. L'outlook è comunque positivo per entrambi perché, in primo luogo, sul reddito fisso i Mercati Emergenti (ME) sono comunque ancora "appetitosi" visto che offrono un rendimento, sia in valuta locale sia straniera, ancora molto interessante rispetto a quelli della zona euro. Possiamo contare su spread che stanno da 200 a 300 basis point. Nel local currency, ovviamente, al lordo di quelli che sono gli impatti valutari.
Sulla parte equity i Mercati Emergenti hanno un track record migliore rispetto ai mercati sviluppati, anche nel lungo termine.

Devo dire che negli ultimi anni sono stati sottoperformanti i mercati sviluppati. Il che significa che i nostri sistemi di analisi fanno si che i ME abbiano un occhio di riguardo, proprio perché sul tema azionario, se devo parlare dei mercati più interessanti dal punto di vista, per esempio, del price earning o di altri indicatori, i mercati sviluppati sono molto più arrivati di quelli emergenti.
Poi va fatta una distinzione: tendiamo a considerare i ME come un tutt'uno, ma non è così.
Le dinamiche di crescita della Cina non sono quelle dell'America latina, piuttosto che dell'Asia in senso generale. Tra questi, India e Cina sono mercati emersi, ma hanno tassi di crescita, malgrado siano inferiori a quelli degli anni precedenti, sono molto superiori a quelli usuali dei mercati sviluppati, come Europa o USA.
Se devo identificare dei mercati di frontiera direi quelli dell'ASEAN, quindi Thailandia, Filippine, o Vietnam. Questi sono mercati che noi consideriamo "di frontiera" per motivi importanti. Il primo è che hanno una domanda interna superiore al 70%, quindi si autosostengono soprattutto sulle materie prime.

Il secondo è che hanno tassi di crescita ancora maggiori di quelli che noi oggi vediamo in India e Cina, toccando anche il 9-10%.
Chiaramente sono mercati che possono avere impatti di rischio dal punto di vista politico, per esempio Duterte nelle Filippine, piuttosto che altre situazioni. Quindi quando parliamo di mercati di frontiera non dobbiamo dimenticarci che i tassi di crescita del PIL sono maggiori di quelli emergenti, e che il rischio politico è maggiore rispetto a quelli emersi.

Che influenza possono avere sui ME i tassi americani?

Sembrerebbe che a questo giro hanno un'influenza molto minore di quella avuta nel 2013, quando a maggio Bernanke (ex presidente della FED) aveva parlato del "tapering" - inizio della diminuzione del Quantitative Easing - ed il Treasury americano decennale era arrivato quasi al 3% di interesse. Oggi siamo sugli stessi livelli ma gli impatti, poiché ci siamo arrivati in maniera molto soft e non attraverso una dichiarazione, sono stati molto più morbidi e non abbiamo visto grandi deflussi dai Mercati Emergenti come li vedemmo nel 2013, quando alcuni Paesi videro i loro bond crollare anche del 10-15%.



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