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Editoriale
Un PIL 2018 che preoccupa
L'Istat ha comunicato che nel III trimestre 2017 Pil +0,4% sul trimestre precedente e +1,7% sul III trimestre 2016, e parla con ottimismo di rafforzamento della crescita a breve termine (non si sbilancia medio termine). L'Ocse alza la stima di Pil 2017 all'1,6% ma per il 2018 vede un +1,5%. L'FMI prevede un +1,5% per quest'anno e un +1,1% per quello successivo. Giudizi analoghi anche da parte di agenzie di rating e altri enti finanziari. Però, se fossero confermati questi dati, perché nel 2018 è prevista una crescita inferiore? Una crescita consolidata, che prende slancio, sulla scorta di un'economia che, come quotidianamente ci viene narrato, vede "la crisi ormai alle spalle", perché dovrebbe frenare? Le motivazioni sono molteplici, ma possono essere semplificate: nel 2017 l'Italia è stata trainata nella crescita dall'intera eurozona, verso cui esportiamo la stragrande parte dei nostri beni e servizi, che ci garantiscono una bilancia commerciale fortemente attiva. Ma non cresciamo al nostro interno, anzi. Non è un caso se il nostro dato di incremento del PIL è una delle peggiori performance tra gli stati della moneta unica. E che le cose vadano peggiorando in vista del 2018 lo segnalano una disoccupazione che non scende, il debito pubblico al record e i consumi stagnanti, mentre invece è in calo l'inflazione, che si avvicina ormai pericolosamente alla soglia psicologica dell'1%. Se, come previsto da molti, il prossimo anno l'eurozona andrà incontro ad un rallentamento - dovuto a diversi fattori, compreso il tapering di Draghi e le incognite del governo in Germania e Italia - temiamo che la nostra situazione possa peggiorare rapidamente.
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