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Editoriale
I morti del Patto di stabilità
Gli ultimi casi di pioggia torrenziale di Roma e Livorno hanno come al solito scatenato le polemiche politiche. Le stesse che da qualche anno scandiscono qualsiasi tragedia imputabile alla meteorologia, specialmente se ci sono vittime. Il fatto è che le relative promesse di "interventi di mantenimento e bonifica del territorio", sono ormai vane parole da parte di chiunque le pronunci. Il perché è semplice e si chiama Patto di stabilità. In pratica, lo stato ha tagliato in modo esagerato i trasferimenti a Comuni e Regioni, obbligandoli a loro volta a tagli sulle spese per il territorio. Per abbassare il debito pubblico (la spending review) si è "risparmiato" tagliando quello delle amministrazioni locali che, secondo la Cassa Depositi e Prestiti, è passato da 115.803 del 2011 a 89.144 miliardi di euro nel 2016. Va da sé che quello dello Stato centrale non è affatto diminuito, passando negli stessi anni da 1.791.843 a 2.128.403 miliardi di euro. E' chiaro che meno fondi e possibilità di finanziare sanità, opere pubbliche e manutenzione del territorio portano poi alla situazione attuale. Per un comune, dover scegliere tra la ripulitura e messa in sicurezza dell'alveo di un fiume e le spese per il sociale o l'ordine pubblico (ormai esplose) è una decisione obbligata. Se i fondi a disposizione sono quelli, li si destina ai cittadini e si spera che non piova o nevichi. O che non si formino buche nelle strade. Se i maggiori risparmi sono stati fatti dai comuni, cioè dagli enti più vicini e rilevanti per la popolazione, si spiega in modo tangibile perché da un lato le nostre città siano così mal tenute, dall'altro come i cittadini sentano pesantemente l'assenza di una mano pubblica. Certo, molti sindaci sono ampiamente criticabili per il loro modo di operare, ma i veri colpevoli sono altrove. Da ricordare prima di stracciarsi inutilmente le vesti ai prossimi morti.
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