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Editoriale
La lezione dimenticata di Olivetti
La liquidazione milionaria di Cattaneo per l'uscita da Telecom, le buonuscite altrettanto milionarie di Arpe, Profumo e altri dirigenti bancari, senza contare indietro nel tempo quelle di De Benedetti dal Banco Ambrosiano o di Romiti dalla FIAT, danno il senso di quanto da tempo certi emolumenti siano totalmente scollati dalla realtà.
Solo che in un periodo di grave crisi, con alta disoccupazione e povertà sempre più diffusa, sono in molti a levare gli scudi contro queste pratiche. Pratiche che per altro sono "legittime" in quanto messe in atto tra privati.
Però vedere che si elargiscono buonuscite milionarie a dirigenti cacciati (chissà perché) e contemporaneamente notare che le stesse aziende preparano o hanno effettuato massicci piani di esuberi, con annesse CIG o scivoli pensionistici a carico dell'INPS - che siamo ancora noi cittadini - stride con il buon senso ed il buon gusto. Anzi, sembra proprio una porcata.
Si danno milioni di euro a decine per allontanare un dirigente, magari impunito dopo che ha combinato disastri, e si lasciano a casa moltissimi lavoratori incolpevoli che guadagnano poche migliaia di euro all'anno. Non c'è un minimo di logica né di equità.
Dovrebbe valere sempre ciò che disse Adriano Olivetti, probabilmente il più grande imprenditore che l'Italia abbia mai avuto: tra il vertice dell'azienda e l'ultimo dipendente lo stipendio non può esser superiore più di 10 volte. Questione di giustizia sociale.
Un concetto che il turbo capitalismo e lo sfrenato liberismo hanno spazzato via.
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