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07/06/2017

leisure

Investire in cultura

Nel libro di Francesco De Biase si analizzano le professioni dell'animatore culturale, del mediatore culturale, del cultural planner, del manager culturale e dell'audience developer. Con un occhio alle imprese del settore

Da molti anni analizza e studia i processi e le dinamiche relative alla partecipazione e ai consumi culturali nel nostro paese. Con "Cultura e partecipazione. Le professioni dell'audience", (editore Franco Angeli) Francesco De Biase, dirigente servizio Arti visive, Cinema, Teatro della Città di Torino, prosegue il lavoro svolto in questi anni analizzando come finalità quali: partecipazione, inclusione, condivisione, creatività, sono state perseguite e quali figure professionali sono nate e/o si sono sviluppati al fine di dar "corpo" a tali obiettivi.
In questi anni, infatti, le metodologie e le prassi elaborate e utilizzate vanno dalla festa alla spettacolarizzazione, dalla rassegna al festival, dal piano strategico al business plan, dagli happening alle parate, dalla performance ai flash mob, dal decentramento all'animazione. Un'enorme bagaglio di esperienze accumulatesi negli ultimi sessant'anni che richiede un'attenta lettura e ricomposizione, al fine di poter individuare e realizzare percorsi di formazione e aggiornamento sull'audience development, audience engagement, temi finalmente al centro delle agende di enti nazionali e internazionali e delle organizzazioni culturali.

Abbiamo intervistato l'autore.

Ci fornisce un quadro di quanti sono e cosa fanno gli "attori culturali"?

Nel testo analizzo in modo particolare le professioni dell'animatore culturale, del mediatore culturale, del cultural planner, del manager culturale e dell'audience developer. Tali professioni, che nel testo definisco "attori culturali", necessitano della conoscenza di strumenti per la lettura dei bisogni e delle modalità di fruizione e consumo, per la progettazione di attività ed eventi, per la pianificazione organizzativa ed economica delle iniziative, per l'analisi e valutazione dei risultati.
Il denominatore comune tra queste professioni è il pubblico. Il pubblico da trovare, da inventare, da formare, da sostenere, da incontrare.
Le finalità, i metodi, gli strumenti e le azioni che sono state create per realizzare tali obiettivi, sono frutto di specifici periodi storici in cui tali professioni si sono delineate. Le ideologie che hanno caratterizzato la storia del nostro paese; le diverse problematiche socio-economiche, i movimenti e le pratiche artistiche del novecento, hanno ispirato le pratiche di molti di queste figure professionali.

Queste figure operano in numerosi ambiti e settori: beni culturali, turismo, tempo libero, media, arti visive, arti performatiche, industrie creative, sport, assistenza sociale e sanità, ecc.

Come si è evoluta negli ultimi anni la domanda di offerta culturale?

Le dinamiche dell'offerta e della domanda nel nostro paese è molto complessa e articolata. Si tratta di interrogarsi, da una parte su cosa intendere oggi per partecipazione e consumo culturale, dall'altra su come e che cosa misuriamo e sull'attendibilità degli strumenti che utilizziamo per fare le ricerche.
Indagini condotte su una gamma tradizionale di tipologie di attività (teatro, cinema, musica, danza, arte) non dà conto della varietà odierna dei prodotti culturali e neanche dei luoghi, delle modalità e delle piattaforme con cui vengono fruiti. Una datata concezione di cultura che suddivide in generi, modalità e luoghi che ne fanno parte e in altri che ne sono esclusi, rende difficile sia comprendere la diversificazione e la complessità del mondo culturale odierno, sia individuare adeguati strumenti di raccolta, analisi e valutazione. Che cosa sono film e musica scaricata, lettura attraverso e-reader e tutto ciò che avviene e viene prodotto e fruito al di fuori degli spazi e dai circuiti (teatri, cinema, musei, gallerie, auditorium) culturali ufficiali? Come possono essere intercettati e analizzati?
Per una corretta analisi della fruizione culturale, non è pensabile "non prendere in esame altre discipline, modalità e pratiche di consumo, alcune delle quali avvengono tramite canali e media di recente realizzazione quali cellulari, internet blog, social media, iPad, iPod, Iphone, eReader, ecc.


)" e in luoghi diversi dai quelli deputati come: edicole, aeroporti, palestre, ecc.
Altrettanto difficile è conoscere l'uso che si fa dei prodotti culturali e valutare se le modalità di fruizione siano adeguate e si concretizzino in vere e proprie esperienze che permettano un arricchimento ed una crescita culturale, oppure se ci si trovi di fronte ad un rituale sociale massificato con poco impatto di tipo conoscitivo, emotivo ed esperienziale sull'individuo.
Per avere un'idea della mole di spettacoli, concerti, mostre, che vengono realizzate in Italia si possono analizzare i dati più recenti a disposizione e che riguardanti l'anno 2015, pubblicati dalla SIAE. Sono stati realizzate 137.696 spettacoli teatrali, 57.627 mostre ed esposizioni, 39.566 spettacoli di attività concertistica, 3.096.351 spettacoli cinematografici, 769.706 spettacoli di ballo e concertini, 22.660 attrazioni dello spettacolo viaggiante, 50.716 attività con pluralità di generi. Sempre l'indagine della SIAE segnala una generale crescita delle presenze e della spesa delle famiglie italiane per la cultura. Infatti nel 2015 è aumentata l'offerta di spettacoli (2,86%), gli ingressi sono cresciuti del 4,89%.


Anche gli indicatori economici sono in crescita: spesa al botteghino +8,63%, spesa del pubblico +10,80% e volumi di affari +10,20%.
Come ho già sostenuto più volte, i numeri, le statistiche devono essere interpretati e analizzati contestualmente e in relazione a più fattori. Se confrontiamo i dati relativi alla fruizione in relazione alla parte di popolazione complessiva che vi prende parte risulta evidente come in alcuni settori permanga e vi sia un consumo elitario, spesso concentrato in delimitate aree del paese. Infatti da alcune indagini risulta che Il 70% degli italiani non va mai in un museo o a visitare una mostra, l'88% non assiste mai a concerti di musica classica, il 45,3% al cinema, il 78% non va mai a teatro, il 74% in sale da ballo o discoteche. Oltre il 42% non legge quotidiani e il 50% non legge libri.
Le variazioni percentuali che fanno gridare, in alcuni casi, al miracolo "gli italiani onnivori culturali", in altri "gli italiani scappano dalla cultura", se intese come indicatori di un allargamento del pubblico italiano che fruisce di tali occasioni culturali, in realtà ci deve far porre delle domande. Siamo di fronte a nuovi pubblici che fruiscono di tale iniziative oppure sono "i soliti" che hanno incrementato i loro consumi?
Sarebbe interessante indagare se alcune agevolazioni introdotte quali economiche introdotte, quali l'accesso gratuito ai musei e ai teatri, il bonus cultura per i giovani o l'incremento della pluralità di offerte abbiano agevolato l'arrivo di nuove fasce di popolazione differenti dalle "solite", ad esempio per reddito e per età.




Che ruolo hanno le imprese nello stimolo di questa domanda?

Le imprese culturali, intendendo con ciò tutti i soggetti che operano in svariati ambiti, possono e debbano avere un ruolo fondamentale per l'elaborazione e la messa in atto di strategie e azioni inerenti l'audience development, l'audience engagement. Troppo spesso è accaduto che aziende, operatori, artisti, enti pubblici e privati hanno posto scarsa attenzione verso le dimensioni e le dinamiche dell'accesso e della fruizione culturale. Sono state assenti strategie per scoprire nuovi pubblici e per incrementarne la quantità o la fidelizzazione. Poco si è indagato sulle tendenze, i gusti, i bisogni, i consumi di coloro che consumano cultura, ma ancor meno si sa di coloro che ingrossano le file del "non pubblico", non tanto per il loro scarso consumo di prodotti culturali, quanto perché raramente o mai mettono piede in teatri, cinema, musei, centri culturali, nei luoghi cioè a cui si limita perlopiù la conoscenza del pubblico "istituzionale".
In una prospettiva di audience development, le organizzazioni culturali, lo stato, gli enti pubblici e enti privati devono agire al fine di individuare strategie per favorire strutturalmente e permanentemente l'accesso in termini quantitativi e qualitativi alla cultura.


Strategie improntate ad una maggiore partecipazione alla vita culturale delle comunità, superando vecchi schemi di contrapposizioni tipo consumo/fruizione, cultura alta/ cultura bassa.

Le tecnologie informatiche e i social che ruolo hanno avuto in questo percorso di crescita?

Media, tecnologie e social hanno modificando completamente le modalità di creazione, produzione, distribuzione e fruizione dei prodotti e delle iniziative culturali. L'economia, il tempo libero, la cultura, il turismo, l'industria sarebbero stati caratterizzati non più dalla produzione di prodotti e servizi da acquistare ma dalla possibilità di fruirne senza averne la proprietà. L'accesso sarebbe diventato la chiave di volta di tutte le società del XXI secolo, interessando beni, notizie, relazioni e attraverso le reti: leasing, commercio on line, transazioni, download (musica, cinema, ecc.), arte, radio, viaggi, on banking, bancomat, editoria, politiche, consultazioni, gioco,
Secondo Rifkin le divisioni sociali non sarebbero più solo tra chi possiede e chi no, ma tra chi è connesso e chi non lo è. In questa prospettiva sarebbe diventato sempre più determinante il ruolo dei Gatekeeper che controllano e stabiliscono le regole e le condizioni per l'accesso.


Altri studiosi ed esperti vedono la rete, le tecnologie e i media anche come strumenti in grado di produrre processi di intelligenza collettiva in grado di favorire la partecipazione e la democrazia diretta, sviluppare e potenziare la creatività, le relazioni umane, il commercio, il divertimento.
Tecnologie e rete funzionano come strumenti di comunicazione, relazione, informazione, ma anche come mezzi di produzione culturale. Possiamo produrre film, musica, dvd, fumetti, libri, foto e sempre grazie alla rete, distribuirli. Alcuni dati dell'auto - produzione in rete sono impressionanti. In un solo minuto in internet vengono: scambiate 240 milioni di email, caricate 30 ore di video su Youtube, pubblicate 80.000 fotografie su Facebook, pubblicate 28.000 fotografie su Istangram, inviati 90.000 tweet. Dati in continuo incremento.
Media, tecnologie e social stanno cambiando completamente lo status e la concezione di spettatore/cliente/utente e contemporaneamente anche quello di molte figure di mediatori e attori culturali.

Come si formano questi professionisti?

Da più parti viene denunciata la situazione di contesti formativi pubblici e privati non più corrispondenti alle esigenze odierne: contesti rigidi, assenza di ottiche contemporanee, miriadi di percorsi e di master, iter burocratici, distanza dalle necessità del mercato e delle istituzioni, modalità didattiche di altre epoche, mancanza di sbocchi professionali.



Oggi si pone la questione di quali figure professionali abbiamo bisogno. Serve ripensare a quanto è accaduto in questi decenni per riformare i percorsi formativi e i futuri assestamenti delle organizzazioni culturali. Per quanto concerne l'audience development si sta sviluppando un dibattito in riferimento alla direzione da intraprendere: delineare e formare un'unica figura professionale oppure creare una forte e permanente sensibilità e attenzione nelle organizzazioni culturali verso questo tema? Senza dubbio ci vorrà del tempo per capire tutte implicazioni di una scelta nel confronto dell'altra. La prima pone il rischio, che istituzioni e organizzazioni culturali deleghino le attenzioni e le funzioni dell'AD esclusivamente a tale figura, ponendola ai margini del loro operato, mentre ciò di cui abbiamo bisogno è che tutta l'organizzazione, in tutte le sue componenti abbia tale attenzione strategica. Dall'altro canto una generica attenzione diffusa rischia di far perdere impatto ed efficacia alle strategie e alle azioni da intraprendere. In ambito formativo sarebbe opportuno dar vita a percorsi di base comuni e successivamente alle differenti specializzazioni.


Uno degli asset fondamentali, anche per gli operatori culturali di oggi, è il lavorare e il saper lavorare in team. Qualsiasi mestiere e professione richiede interazioni e integrazioni con molteplici discipline e saperi.
Abbiamo bisogno di figure professionali ibride per quanto riguardo conoscenze, strumenti e competenze, ma sicuramente ognuno è chiamato a declinare e a personalizzare soprattutto in questi ambiti, il proprio percorso formativo e professionale.

Titolo: Cultura e partecipazione. Le professioni dell?audience
Autore: Francesco De Biase
Editore: Franco Angeli
Pagine: 112
@federicounnia - Consulente in comunicazione


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