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Editoriale
Referendum: ci risiamo con la strategia della paura
Sarebbe anche la terza volta per quest'anno particolare. Ad ogni votazione popolare espertoni, media, economisti vari e assortiti affermano che se vincesse ciò che loro non prevedono (e vorrebbero) come vincitore, per il Paese sarà una catastrofe. Si chiama strategia della paura. E' accaduto in UK con la Brexit. E' successo negli USA con Trump Presidente. E adesso tutti sempre compatti per il referendum italiano.
Istituzioni internazionali, grandi banche d'affari, esponenti politici affini ai promotori del referendum a evocare le 7 piaghe d'Egitto e l'apocalisse. E dopo l'immarcescibile Confindustria che prospetta la fine degli investimenti se non vincesse il Sì (loro erano quelli del "Fate presto!"), buon ultimo arriva il Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". (qualcuno dirà magari...).
Poi c'è chi manda segnali più tecnici, ma non meno subdoli, come l'aumento senza motivo dello spread (già sentito?). O in modo più terra-terra chi, ministro al governo, minaccia di togliere gli 80 euro in busta paga, squarciando il velo dell'ipocrisia sulle reali intenzioni di quel decreto pre-elettorale. Non si capisce però bene come mai se l'esito del voto non è quello che gradisce l'establishment, si preveda un tracollo per il Paese. Ogni volta è sempre una chiamata alle armi contro un cataclisma, senza però mai entrare nel merito. E' vero che tutto è ormai globalizzato, ma sentir strillare l'opinione di banche d'affari e media ormai con pochissima credibilità (causa conflitti di interessi e faziosità) lascia del tutto indifferenti. A Totò partirebbe un pernacchio...
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