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27/07/2016

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Per l'export agroalimentare italiano obiettivo 50 miliardi di euro entro il 2024

Goldstein (Nomisma): dobbiamo affrettare il passo, investendo maggiormente su mercati a più alto tasso di crescita economica come quelli asiatici. Possiamo farcela se riusciamo a combinare la buona reputazione dei nostri prodotti con strutture aziendali che promuovano la crescita accelerata

Con 2 milioni di imprese, 3,8 milioni di addetti, 130 miliardi di euro di valore aggiunto e 47 miliardi di export, la filiera agroindustriale italiana - dai campi agli scaffali considerando anche la meccanica per il Food&Beverage - è un settore chiave per l'economia nazionale, con potenzialità competitive ancora inespresse. La concorrenza estera sempre più agguerrita e organizzata sta però erodendo quote sui mercati globali alle nostre imprese, che scontano la microdimensione e strategie di internazionalizzazione spesso frammentate. L'appeal del Made in Italy agroalimentare sulle tavole straniere è ancora intatto ma la crescita dell'export sta rallentando (+1,7% nel primo trimestre 2016) e questo sposta al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di euro di vendite oltreconfine.
La piattaforma Agrifood Monitor, lanciata da Nomisma e CRIF, condensa in un unico strumento dinamico dati di fonti diverse per delineare un quadro di analisi completo, dalla struttura del settore in Italia ai trend sui mercati internazionali, (partendo da due focus sul dairy in Gran Bretagna e sulle tendenze d'acquisto negli Emirati Arabi Uniti).


Non c'è solo Brexit a turbare il sonno degli imprenditori agroindustriali italiani, in particolare di quelli che oggi esportano circa 3,6 miliardi di euro di prodotti finiti e macchine per il food nel mercato britannico. I negoziati per gli accordi di libero scambio (Ceta, TTIP) sono al palo, il commercio internazionale sta rallentando, mentre sale la pressione concorrenziale da parte di competitor globali e cambiano radicalmente le abitudini e gli stili di consumo dei consumatori occidentali.
In effetti, dopo il piccolo recupero dei consumi alimentari sul mercato interno (+1,1%) avvenuto nel 2015, i primi 5 mesi del 2016 evidenziano - secondo dati Nielsen - un nuovo stallo (-0,2%). Ed anche sul mercato internazionale il primo trimestre mostra una crescita del nostro export agroalimentare di appena l'1,7%, troppo poco se si vuole arrivare al fatidico traguardo dei 50 miliardi di euro entro il 2020. Senza contare, infine, le problematiche strutturali che connotano il nostro sistema agroindustriale (dal nanismo delle imprese ai gap infrastrutturali del Paese o alla mancanza di catene della Grande distribuzione italiana all'estero) e che in parte spiegano perché la propensione all'export delle aziende alimentari tedesche è pari al 33% contro il 23% delle nostre.


Sono solo alcuni dei dati fotografati da Agrifood Monitor, con l'obiettivo di offrire alle imprese italiane una bussola completa e aggiornata oltre a benchmark di immediata comprensione a supporto dello sviluppo di efficaci strategie di internazionalizzazione e di marketing.
L'approccio è nuovo, perché mette a fattor comune dati di fonti diverse per una lettura sistemica e dinamica delle informazioni in ottica di filiera e perché è aperto a costanti arricchimenti nel tempo sia di contenuti trasversali sia di focus specifici su settori e mercati.
"Se vogliamo arrivare al traguardo dei 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 dobbiamo affrettare il passo, investendo maggiormente su mercati a più alto tasso di crescita economica come quelli asiatici: le nostre stime ci dicono infatti che, con lo scenario economico attuale, rischiamo di raggiungere l'obiettivo solo nel 2024", afferma Andrea Goldstein, managing director di Nomisma.
Sebbene nell'ultimo decennio l'incidenza si sia ridotta per le nostre esportazioni, il mercato europeo continua a pesare per il 63% nel caso dei prodotti alimentari, per il 57% per le macchine agricole e per il 35% in riferimento ai macchinari per il Food&Beverage.



"Dobbiamo aumentare la nostra presenza nei mercati extra-europei, dove oggi il nostro export alimentare pesa per meno della metà di quello francese o addirittura di un ottavo di quello statunitense" ribadisce Goldstein. "Possiamo farcela se riusciamo a combinare la buona reputazione che i nostri prodotti vantano in giro per il mondo con strutture aziendali che promuovano la crescita accelerata".
La conferma arriva da una survey svolta sui consumatori di prodotti alimentari degli Emirati Arabi Uniti, un mercato dove la quota dei prodotti italiani è ancora inferiore al 3% delle importazioni alimentari complessive, ma dove il reddito pro-capite dovrebbe passare dagli attuali 40mila dollari ad oltre 53mila nel giro di dieci anni.
L'indagine di Agrifood Monitor ha messo in luce come al Made in Italy venga riconosciuta un'elevata qualità derivante da unicità di gusti e tradizione produttiva, fattori che fanno preferire i prodotti italiani non solo a quelli francesi ma a quelli di tutti i concorrenti.
L'andamento del credito all'export erogato alle imprese della filiera agrifood conferma la crescente internazionalizzazione del settore: da un 16% di imprese che utilizzavano finanziamenti all'export nel 2013, si è arrivati oggi al 41%.



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