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16/03/2016

economia

Globalizzazione in ritirata?

L'espansione del commercio internazionale comportava l'aumento della ricchezza. Siamo di fronte a una battuta d'arresto? Un'analisi di Deutsche AM prova a dare delle risposte

Lo scorso novembre, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato un outlook economico dai toni decisamente negativi. Secondo il Segretario Generale Angel Gurría, preoccupato per la debole dinamica del commercio internazionale, "una robusta crescita del commercio va di pari passo con una solida crescita globale". L'Outlook dell'OCSE esprime particolare preoccupazione per il calo delle esportazioni mondiali in termini di dollari USA, causato tra l'altro dalla flessione dei prezzi delle materie prime e dalla bassa crescita globale degli ultimi anni.
Il rapporto tra esportazioni e crescita non è una novità: quando l'economia cresce, le società acquistano più prodotti intermedi all'estero e questo fa aumentare le importazioni. Poiché le importazioni di un Paese sono le esportazioni di un altro, import ed export cresceranno di pari passo. Colpisce, tuttavia, che negli ultimi decenni le esportazioni globali siano aumentate molto più velocemente del prodotto sociale mondiale. Questo sviluppo rivela una sempre maggiore divisione del lavoro a livello internazionale.



Il commercio genera ricchezza

La teoria tradizionale del commercio internazionale spiega perché: la produzione in grandi quantità presso poche sedi produttive comporta una riduzione dei costi fissi per unità. In un contesto di libera circolazione di beni e capitali, le società approfittano dei differenziali in termini di produttività, salari e tassi di interesse tra i diversi Paesi per ridurre i costi di produzione. I consumatori, a loro volta, beneficeranno di prezzi più bassi. Un potere d'acquisto più elevato implica maggiore crescita, inoltre la libera circolazione dei beni consente ai consumatori di scegliere tra una più ampia varietà di merci.
Questi vantaggi hanno reso sempre più importante il processo di globalizzazione, dopo le battute d'arresto dovute alle due guerre mondiali del XX secolo. Nel 1989 altri sviluppi rilanciarono la globalizzazione: con il crollo del comunismo molti Paesi asiatici e dell'Europa dell'est aprirono i propri mercati dei beni e dei capitali e nello stesso periodo la Cina e l'India accelerarono le riforme per un'economia di mercato.

Le aziende dei Paesi industrializzati poterono quindi beneficiare dei differenziali di costo e produttività legati alle nuove fonti di fattori di produzione e iniziarono a costruire siti produttivi in questi Paesi emergenti, determinando una più ampia distribuzione della catena di valore tra le varie economie e quindi una maggiore divisione del lavoro a livello internazionale.
Questo è uno dei motivi per cui, dal 1990 al 2007, le esportazioni globali - reciproco delle importazioni globali - sono aumentate molto più velocemente del prodotto sociale mondiale.
L'indebolimento della crescita globale a partire dal 2008 ha senza dubbio contribuito al rallentamento del commercio mondiale, penalizzato anche dal fatto che, negli anni precedenti, i salari e i corrispondenti costi unitari del lavoro erano aumentati assai più velocemente nei mercati emergenti rispetto ai Paesi industrializzati. Si è quindi perso l'incentivo a spostare la produzione. Il livello generalmente elevato di indebitamento delle famiglie, delle società e dei governi nelle economie avanzate ed emergenti è stato un ulteriore freno per la crescita.


Gli elevati indici di indebitamento globali e la diminuzione dei vantaggi di un'ulteriore divisione del lavoro sono fattori strutturali che sostengono la prospettiva di dinamiche di crescita più deboli per il commercio internazionale e la crescita economica globale in futuro.

Le materie prime come aggravante

Un ulteriore fattore ciclico da considerare sono le materie prime. A metà del 2014 i prezzi delle commodity e le aspettative di crescita avevano raggiunto livelli elevati sui mercati emergenti, con un forte ampliamento della capacità mineraria ed estrattiva.
Ma a partire dal secondo semestre del 2014 questo eccesso di capacità ha innescato una pesante ondata di vendite che ha ridotto i ricavi delle esportazioni dei Paesi esportatori di materie prime, i quali, a loro volta, hanno cercato di stimolare il risparmio interno tagliando le importazioni dai Paesi industrializzati.
Risultato: un drastico calo del tasso di esportazione a livello mondiale. Gli effetti sul prodotto sociale mondiale non vanno comunque sovrastimati, in quanto i prezzi più bassi delle commodity comportano al tempo stesso un potere d'acquisto più elevato e maggiori consumi nei Paesi importatori di materie prime.


Considerati tutti questi fattori, per la produzione economica globale sembra trattarsi di un gioco a somma zero.  


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