Editoriale - L'inutilità dei quantitative easing
Ormai l'hanno capito tutti: l'economia globale sta frenando. E parecchio forte.
Se desta preoccupazione la Cina (che non riuscirebbe a raggiungere un +7,0%), cosa dire di un Brasile o di una Russia che addirittura andranno in recessione?
E se guardiamo all'eurozona o al Giappone non vediamo affatto scenari rosei, con una crescita a livello di qualche punto percentuale e un'inflazione a zero.
Per non parlare degli USA, che con un target di crescita del 3,0% non arriveranno alla metà.
In questo scenario le banche centrali hanno finora avuto una sola strategia: stimoli monetari (quantitative easing). Ma per farci che cosa?
Il Giappone ha un QE che ormai dura da quasi 20anni e la sua crescita è sempre inchiodata. La FED dopo aver inondato di liquidità il mercato post 2007 si ritrova alle prese con il dilemma se alzare i tassi (i dati sconfortanti dell'economia locale lo sconsiglierebbero) o ricomiciare ad aprire i rubinetti (contro le aspetattive dei mercati), finanziando così altre bolle.
La stessa BCE, nonostante tassi negativi e liquidità a buon mercato come non mai, ha sottolineato che per l'economia i rischi sono più verso un downside e di essere pronta a nuovi interventi.
Ma se finora - ovunque nel mondo - il QE non ha avuto effetti benefici (un buon anestetico per i mercati obbligazionari) se non per pochi, perchè continuare?
Tutti, investitori compresi hanno capito che che la massa monetaria non arriva all'economia reale, fermandosi solo al substrato finanziario.
In pratica, si distribuiscono altre fiches per giocare alla roulette.
Claudio Gandolfo
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