Editoriale - Ma quanto ottimismo c'è nell'aria
Dopo averci descritto come un attentato alla stabilità dell'eurozona negli ultimi anni, alcune grandi banche d'affari e istituzioni finanziarie esprimono giudizi lusinghieri sull'Italia. Nel 2015 annunciano che saremo i migliori dell'eurozona: grazie al QE di Draghi il debito pubblico costerà di meno e con il petrolio ai minimi storici così come la quasi parità sul dollaro dell'euro, anche le imprese ne beneficeranno in termini di export, aumentando il nostro surplus.
Gli ''esperti'' affermano che se si guarda il dato aggregato di debito pubblico pi&grave debito privato in percentuale al PIL, l'Italia è tra i Paesi meglio posizionati. Ci hanno messo un po', ma alla fine ci sono arrivati.
Solo che, per quanto si possa risparmiare sugli interessi, il debito pubblico continua a salire e non scende (siamo vicini al massimo storico di 2.167,7 miliardi di luglio del 2014), e con la svalutazione dell'euro si è perso il 30% di capacità di spesa fuori dalla moneta unica (vedi alla voce import).
Anche se il denaro costa meno alle banche, non è così per le imprese, che trovano sempre e comunque le porte del credito chiuse. I meriti della futura e imminente ripresa di cui si parla (ricordiamo ancora la ''luce in fondo al tunnel'') sono anche attribuiti alla ripresa fiducia dei consumatori (!) e alle mitiche riforme, come il Jobs Act e quelle annunciate via Twitter.
Nel frattempo i numeri reali ci raccontano un'Italia - e un'Europa - ancora in deflazione, con i consumi interni in costante diminuzione, al contrario delle tasse, e la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia. E quand'anche ci fosse una crescita, sarebbe di parecchio inferiore all'1%, che rappresenterebbe solo un tenue segnale, anche perché veniamo da un trend di produzione industriale in costante calo da anni.
In fondo, anche la Spagna è in crescita,ma dopo esser stata rasa al suolo dalla Troika e con circa il 25% di disoccupazione.
Claudio Gandolfo
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